Relazioni sociali al tempo dei social media

I social media portano mondo reale e mondo virtuale a coincidere. I due mondi non sono più separati, ma l’uno è il proseguimento dell’altro. Come cambia la capacità di relazionarsi con gli altri? come possiamo insegnare ai nostri figli a sopravvivere nella giungla del web? Da quali segni capiamo se qualcosa non va?

Foto ©Georgie Pauwels utilizzata con licenza Creative Common
Foto ©Georgie Pauwels utilizzata con licenza Creative Common
La rete è una giungla nello stesso modo in cui lo è il mondo fuori casa, la strada, persino la scuola. Nei posti che non conosciamo possiamo fare anche pessimi incontri e, se non abbiamo una mappa o una bussola o adeguate informazioni, ci possiamo perdere.
Non lasceremmo mai i nostri bambini avventurarsi per strada da soli senza averli accompagnati prima per mano per un periodo più che sufficiente a dar loro l’orientamento utile a non perdersi e a non mettersi nei guai; senza aver detto loro che da quella parte non si va e che la strada non si attraversa se il semaforo non dà la luce verde; o senza essere sicuri che abbiano capito che se qualcuno si avvicina con intenzioni dubbie, si allunga il passo, ci si rivolge a un adulto fidato, se possibile si chiama casa. Naturalmente, per dar loro consigli utili, è utile che noi stessi conosciamo le strade che percorreranno per andare a scuola o dai loro amici o dovunque abbiano bisogno di andare una volta che non li terremo più per mano.
Poi, quando avranno sufficiente pratica con quel determinato percorso e magari avranno tentato qualche variante per passare a comprare la merenda, avranno imparato non solo ad andare a scuola, ma ad andare per la strada: e, senza pensieri, troveranno la direzione per andare in un posto nel quale non sono mai stati prima. Si impara e poi, quando si è imparato, si impara ad imparare.
Le ricerche scolastiche, la ricetta della crostata, le foto condivise dei parenti lontani, un video interessante: qualunque occasione può essere buona per mettersi lì con loro e muoversi insieme nel web; per insegnare loro come si fa una ricerca su un motore, come si riceve una email, come si scarta tutta quella corrispondenza molesta e qualche volta pericolosa che ci intasa le caselle, come si evita di cliccare su qualche link inopportuno durante la navigazione. Per chi volesse, è facile informarsi sui sistemi di “parental control” che il suo browser mette a disposizione, limitando i rischi quando a navigare è un minorenne. Ma non sono così sicuri. La navigazione consapevole resta ancora la migliore protezione.

Dipendenza da internet

Un altro valore che diamo alla parola “giungla” è quello di un posto nel quale si può entrare ma diventa quasi impossibile uscirne. Il gran parlare che si fa della “dipendenza” da internet ci fa immaginare ragazzi ipnotizzati dal video che, risucchiati da quel mondo illusorio, rinunciano alle relazioni in carne ed ossa col mondo che sta fuori la porta di casa. A me è capitato, nel mio lavoro, di incontrare parecchi giovani e meno giovani che passavano il loro tempo nella loro stanza a comunicare in gran parte attraverso i social network o le chat. Beh, in nessun caso mi è venuto da pensare che se non avessero avuto il computer e la connessione avrebbero avuto una vita di relazione, e magari sentimentale, ricca e soddisfacente. Anzi, notavo piuttosto che nella povertà del loro mondo relazionale, ridotto al minimo per tante altre complesse ragioni, l’unica — certo: limitata, spaventata, parziale — disponibilità all’apertura verso il prossimo passava di lì, grazie alla protezione fornita dalla distanza e dal sostanziale anonimato. Non una vita di relazione particolarmente eccitante, ma probabilmente in quel momento era tutto quello che potevano permettersi. Se non avessero avuto nemmeno quella, sarei stato ancora più preoccupato. Ma insomma, i problemi erano altri: non internet.

Incontri in rete: social media e cyberbullismo

Detto tutto questo, nella vita i pericoli esistono e, così come a scuola può capitare di diventare vittima di un prepotente, anche on line si possono fare incontri molto poco edificanti. Anzi, essere vittima di persecuzioni via internet o telefono può essere anche più doloroso che cadere nelle grinfie del bullo della scuola: perché in quel caso uno sa che quando suona il campanello può sottrarsi, almeno fino al giorno dopo, alla persecuzione. Mentre il cosiddetto cyberbullismo colpisce a tutte le ore del giorno e della notte. Per la stessa ragione, d’altra parte, è più difficile da nascondere; e le ragioni per cui un ragazzo può scegliere di nasconderlo anziché chiedere aiuto sono tante: mostrarsi vittima e disprezzato non piace, oppure si pensa che gli adulti sottovaluteranno, o non capiranno, o non saranno in grado di fare qualcosa di utile. Ma, circolarmente, la difficoltà nel chiedere aiuto rende più soggetti a certe forme di persecuzione. In generale, sapere di avere degli alleati è un sentimento che di per sé protegge contro le angherie dei bulli, quelli in carne ed ossa e quelli virtuali.
Nei casi in cui si è vittima di vessazioni online, accade che l’esperienza della navigazione diventi improvvisamente ansiogena, che un ragazzo chiuda la comunicazione repentinamente, che perda la curiosità che aveva verso le relazioni virtuali e che al posto di quella mostri ansia e paura. Tutti segnali che è possibile riconoscere, con un minimo di attenzione.
Dicevo l’altra volta: non pensiamo che le cose di Internet richiedano regole speciali, diverse da quelle che applichiamo per il tempo libero e i giochi tradizionali. Aggiungo: attenti a pensare che richiedano capacità o competenze da esperti. Saper guardare in faccia i figli e domandar loro qualche volta “come stai? Posso aiutarti in qualcosa?” resta ancora il modo più affidabile per capire se sono sereni o no, e questo vale sia per le esperienze che fanno a scuola e in strada, sia per quelle online. E quello che rende davvero più forte chi si sente perseguitato è sapere che a qualcuno importa.
E se c’è bisogno, non dimentichiamo anche che esistono autorità predisposte a proteggere la nostra vita online, alle quali ci si può rivolgere nei casi particolarmente efferati.

– Massimo Giuliani, psicoterapeuta, Centro Milanese di Terapia della Famiglia. www.massimogiuliani.it

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