Quando succede di avere lo sport come base principale per la maggioranza delle attività della tua vita, ti accorgi di entrare in una modalità quasi automatica.
Ti abitui a rispettare gli orari, ti abitui a rispettare gli altri, (non) ti abitui a mantenere il peso forma.
Ecco la parentesi è d’obbligo, per me certamente ma sono sicura di parlare anche per molti altri sportivi.
Normalmente una crescita sana prevede alimentazione equilibrata e movimento tutti i giorni e, anche se sembra la pubblicità di un integratore contro il colesterolo e il logorio del pensiero moderno, c’è da star sicuri che è l’equazione perfetta: non sto nemmeno a ripetere i consigli dei pediatri riguardanti un apporto calorico bilanciato, la somministrazione di fibre e verdure, lo svolgimento di attività fisica più elaborata di una partita ai videogiochi.
Nell’ambito sportivo la questione alimentare diventa importante quanto (e forse più) dell’allenamento tecnico, e sullo stesso piano va istruita e perseguita con cura.
Io che non sono fortunata e che non “posso mangiare quel che voglio che tanto non ingrasso” ho dovuto combattere con questo aspetto tutta la vita. Una lotta per davvero, perché non ho mai avuto una buona educazione da questo punto di vista; c’è da dire che sono figlia di quella generazione di genitori che avevano ben saldo in testa che un figlio sano era un figlio ciccio. Perciò la cura per la prole in molte occasioni era dimostrata e portata a termine a suon di piatti di pasta; ringraziando il cielo i miei seguivano scrupolosamente le indicazioni mediche e dietetiche che arrivavano loro da professionisti, quindi raramente si vedevano fritti, dolci e altre amenità. Solo che per loro io stavo bene se avevo mangiato, e se non mangiavo non ero mica tanto brava: partire da qui per formare la propria identità capite che era come andare in bici sul Pordoi.
Ho sempre faticato a mantenere il mio peso forma, ogni lunedì era un’angoscia totale dover salire su quella bilancia. Dovevo fare attenzione a quello che mangiavo e soprattutto a come lo mangiavo: educazione e costanza.
Parlo al passato ma non ho mai fatto pace con questo aspetto, tutt’ora pongo molta attenzione al cibo, forse troppa.
Ammetto d’altro canto che lo sport mi ha regalato la base di tutta la mia conoscenza alimentare, che è certamente non professionale ma molto radicata: avere la possibilità di parlare con i nutrizionisti, con i dietologi e gli altri esperti dell’alimentazione mi ha resa molto consapevole di quelle che sono le mie esigenze e di come cogliere il massimo relativamente alle mie necessità.
Avere coscienza del proprio corpo, di come trattarlo il meglio possibile, è l’aspetto migliore di questo peregrinare tra vaporiere e bilance da cucina, ed è di sicuro un metodo educativo per i ragazzi che vivono lo sport in modo intenso. Troppe volte ci spaventiamo a sentir parlare di disturbi alimentari dei giovani, con relativi annessi e connessi e tragici aspetti psicologici e sociali; mi pare che la distorsione che esiste tra realtà e percezione del corpo rispetto agli standard proposti dai media, all’interno della logica e del rigore sportivo venga di molto ridimensionata, dando modo di sacrificarsi in nome di un progetto strutturato e mirato ad un buon esito.
Equilibrio e costanza, nello sport come altrove: difficile realizzazione ma risultati assicurati.
– di Lucia Busca –
Da ex agonista condivido e anche da figlia con genitori che pretendevano mangiassi ogni giorno la bistecca perchè sennò non ero brava, che tuttora mi dicono che non devo dimagrire troppo (e sono tutto fuorchè magra) e che diventano ansiosi se la nipote non cena.