La pancina laureata al classico

Ho un contatto che almeno una volta al giorno condivide uno screenshot del Signor Distruggere sulle mamme pancine.

Ritrovandomi a leggere questi post desolanti – un po’ comici, è vero, ma soprattutto dolorosi per la condizione di ignoranza e impotenza delle protagoniste – mi sono resa conto che nel calderone del pancinismo finiscono, assieme ai doccini anticoncezionali, alle lezioni di petalogia e a una concezione generale del sesso e dei rapporti uomo-donna che uno daterebbe al Pleistocene (ma purtroppo, appunto, no) alcune pratiche legate alla nascita e alla sessualità femminile che non sono affatto appannaggio esclusivo di analfabete, represse e psicolabili, ma che vengono adottate da donne istruite, “emancipate”, di cultura media o alta – insomma, dalle “maestrine laureate al classico“.

Kathleen Turner in “serial Mom” del 1994

Le questioni, perciò, sono due: una notevole confusione fra morbosità e normalità da un lato, un profondo degrado sociale dall’altro.
Volendo scremare da questo discorso cose che possono più o meno piacere o interessare, ma che col pancinismo in quanto tale non c’entrano niente, pensiamo per esempio all’allattamento a termine (detto impropriamente “prolungato”): sembra incredibile ma ancora molti ignorano che l’OMS consiglia di allattare fino a 2 anni e oltre senza suggerire un’età giusta per smettere.
Allattare fino a 2 anni non è ancora abbastanza diffuso, ancor meno lo è allattare oltre questa età e, aspetti immunitari e nutrizionali a parte, dal punto di vista psicopedagogico, il discorso sulla positività dell’allattamento oltre il primo anno è troppo complesso per riassumersi in poche righe: diciamo che la pratica da sola non è né buona né cattiva ma può diventare buona o cattiva a seconda del contesto e dei fattori concomitanti. Le donne che allattano un figlio di 3 o 4 anni (e non di 36 o 48 mesi!), comunque, normalmente non sono invasate della maternità, magari hanno un lavoro normale, interessi normali e un compagno che è padre attivo e presente.
Chiaro è che se le madri che allattano insultano quelle che non allattano, o se promuovono gerarchie e premiazioni più o meno ludiche, ma di fatto dando contro alle madri che allattano meno a lungo, siamo sempre nel campo del bullismo più o meno social. Ma anche questo, a ben vedere, è poco specifico del pancinismo.

O ancora, il taglio del cordone ritardato di alcuni minuti anche questo raccomandato da autorevoli istituzioni sanitarie, dovrebbe essere la prassi e invece viene raccontato come mostruosità pericolosissima. Il lotus birth invece (nessun taglio del cordone, si aspetta che si stacchi da sé qualche giorno dopo) è una pratica scientificamente discussa (non ci sono forti evidenze né a suo sostegno, né contro) che può essere attuata in sicurezza, ha una serie di benefici pratici e viene scelta anche da genitori con titoli postuniversitari e una posizione professionale elevata.

O ancora, menziono con timore lo spaventoso mondo delle preparazioni col latte materno. Qui è facile scadere nel triviale e nel disgustoso, e confondere l’equilibrato e il patologico, ma questo avviene essenzialmente perché il modo in cui funziona l’allattamento per molti è più misterioso del ciclo riproduttivo femminile – e a questo proposito, sono tutti bravi a sfottere la mamma pancina che non sa come si fanno i bambini, ma la quantità allarmante di uomini adulti, sessualmente attivi, di ogni livello culturale, che non conoscono il funzionamento del ciclo femminile e la differenza, per esempio, tra ovulazione e mestruazioni, o che non sanno che il coito interrotto e i lavaggi post-rapporto non sono sistemi contraccettivi, dovrebbe farci riflettere (e incazzare).
Quindi spieghiamo a tutti i cittadini: il latte materno, che ha delle proprietà antibatteriche, viene normalmente utilizzato – anche qui, da madri sane di mente e dotate di proprietà di linguaggio, magari avvocate, mediche, docenti, ministre, chessò – per una serie di operazioni quotidiane a beneficio del bambino come ad esempio lavaggi nasali, applicazioni contro l’irritazione della pelle e ghiaccioli refrigeranti per la dentizione; e questo perché una madre in allattamento produce una quantità abbondante, a volte sovraeccedente di latte, ma anche perché il latte ha appunto proprietà salutari ed è facile da estrarre (in alcuni casi è necessario farlo per alleviare una tensione dolorosa).
Le madri possono inoltre voler fare delle scorte del proprio latte, per diverse ragioni. Per esempio perché ne producono più di quel che serve al neonato (volendo si può anche donare: esistono le Banche del latte che operano nelle TIN e in neonatologia), o perché dovranno assentarsi lasciando il piccolo al nido o a un’altra persona che lo accudirà, o perché dovranno sospendere temporaneamente l’allattamento per ragioni di salute ecc. Se dalla scorta avanza qualcosa, si può persino – orrore degli orrori! – cucinare al bambino un budino, una pappa, un purè con quel latte che (sempre da raccomandazioni OMS) resta la base prevalente della sua alimentazione fino all’anno, e resta una parte non prevalente fino al compimento del secondo anno. Lo so che vi fa schifo, ma pensate che alcuni popoli mangiano gli insetti (e che forse fra 20 anni lo faremo tutti noi) e capite che, se spremiamo le mucche per fare il cappuccino, forse in questo caso basta spostare leggermente la prospettiva.

Detto ciò, e considerando anche che l’allattamento, se praticato, è molto impegnativo e molto coinvolgente e può facilmente diventare un elemento centrale nella relazione affettiva che si va formando fra la madre e il bambino, non si capisce perché gridare allo scandalo o scomodare la mistica della maternità se una donna, con qualche goccia del suo latte, decide di farci un gioiello per trattenere il ricordo di quel periodo.
I tatuaggi, esempio a caso, sono ugualmente simboli che mettono in gioco il corpo e l’intimità: non stupiscono più nessuno e chiunque sceglie di fare il suo dove, come e perché preferisce. Come sopra, i gioielli di latte non sono indicativi del sottosopra pancino, ma vengono indossati da madri di qualsiasi livello sociale e culturale.
E’ chiaro però che se una donna inizia a cucinare interi menù col suo latte e a servirli al marito e ai parenti, stiamo parlando di un’altra cosa.
Così come stiamo parlando di un’altra cosa, quando parliamo di ossessioni varie legate al simbolismo riproduttivo, e soprattutto dei contesti e dei modi in cui questi simboli vengono utilizzati: pantofoline fatte di assorbenti, vagine di stoffa, pezzi di cordone ombelicale essiccati, ecc.

Lo scenario raggelante delle mamme pancine non si estrinseca nell’allattamento a termine, il parto in casa o i rimedi placentari (fondati banalmente sui principi dell’omeopatia: ora, lo so che mantenere online un contegno rigorosamente scientista è diventato d’obbligo, e in tanti si sentono in dovere di mettere like ai post di debunking, ma magari sono gli stessi che non capiscono realmente perché stanno mettendo quel like, e fino a ieri prendevano le loro pilloline Boiron sentendosi scaltri e anti-sistema, oppure continuano a farlo perché chissà, ovviamente di nascosto – nb: chi scrive non è una utilizzatrice di omepatia).
Quello che deve sconvolgerci è che si tratta di donne che non hanno idea di come funziona il proprio apparato riproduttivo, che a volte non sanno nemmeno dove hanno i genitali, che considerano il sesso un argomento tabù e hanno una concezione più ancora che mistica, pesantemente superstiziosa, che fanno figli senza sapere come, che si affidano indistintamente a medici e maghi senza capire la differenza, che descrivono una sessualità e un’affettività in cui sono pupazzi consapevolmente arresi a qualsiasi iniziativa maschile.

Delineare i confini fra ciò di cui parliamo è fondamentale, perché già la maternità in quanto tale è circoscritta in un immaginario ghettizzato e folcloristico, in più il pancinismo, così rappresentato, sta aiutando a rinforzare i pregiudizi, l’ignoranza e il disinteresse tradizionalmente dedicati al tema.
Anziché prenderle per il culo e in molti casi colpevolizzarle senza motivo (come se emanciparsi sia la cosa più facile del mondo e tutta questione di “buona volontà”), dovremmo preoccuparci seriamente per queste persone, il contesto in cui vivono e come crescono i loro figli, perché davvero, non è possibile in Italia e nel Ventunesimo secolo. Non è possibile, ma è reale. E’ terribile, è pericoloso e giustamente tanti restano increduli alla lettura di post e relativi commenti, chiedendosi quale sia lo scarto fra realtà e autorappresentazione.

Quali sono le cause e come rimediare, nel paese in cui il Vaticano continua ad avere un’influenza fortissima? Ma soprattutto in cui all’educazione (tutta, figuriamoci quella sessuale e affettiva), alla ricerca e alla salute vengono tolte sempre più valore, attenzione e risorse, nel paese che è al di sotto della media mondiale per eguaglianza salariale e politiche di conciliazione?
La maternità se ne sta invisibile e incomprensibile, avvolta da una nebbia fatta di retorica, stereotipi, fastidio e indifferenza. Cosa che probabilmente non fa che rinforzare l’ignoranza delle donne più deboli.
In fondo, il bisogno di esaltare maternità, figli, femminilità fino a livelli deliranti sembra l’altra faccia di un profondo abbandono, di una desolante incoscienza di sé. Sembra un tentativo di risposta positiva a un’autopercezione molto negativa, o addirittura assente.
Quando si vive la maternità con pienezza, serenità e senso di autocompetenza, pur nella fatica di compiti e relazioni impegnative, il bisogno di rappresentarsi e raccontarsi come madri diminuisce. Mentre può essere molto forte, specie all’inizio, per colmare una mancanza di memoria, una mancata trasmissione intergenerazionale e una fluidità comunicativa, una mancata continuità fra un “mondo” – quello prima dei figli – e l’altro – quello da genitori.

guestpost di Tullia Della Moglie – Educatrice prenatale e neonatale – Consulente del Portare – Redattrice Editoriale – Esperta in mediazione artistica e pedagogia dell’espressione

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4 thoughts on “La pancina laureata al classico”

  1. Mentre concordo con tutto l’articolo, mi lascia in disaccordo la chiosa.
    Il bisogno di raccontarsi e rappresentarsi come madri, soprattutto all’inizio, credo che sia un “mezzo sano” di elaborare una nuova fase della vita e di interiorizzare questo nuovo aspetto del Sé. Certo lo sconfinamento negli eccessi è…un attimo! 🙂

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  2. Grazie davvero. Io ho scoperto da poco tutta la storia e devo dire che non trovo molto divertenti certi post, ma effettivamente desolanti. Trovo che lui sia un po’ il figo della classe che preda per il culo le più deboli e la cosa non è che mi faccia particolarmente ridere, anzi.
    La cosa tragica è che lo seguono in tanti, proprio come farebbero i compagni di classe di quello figo…internet è proprio come la vita reale!

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