Volevate il part-time? E adesso lo avete

Lorenza non si ferma neanche a fine luglio. Del resto è una lavoratrice autonoma, lo dice l’Istat. E il lavoratore autonomo non si ferma mai. Poi c’è il lavoratore “atipico”, che vorrebbe non fermarsi, ma viene fermato pure troppo spesso. E in mezzo ci sono 450.000 eroi.
La conciliazione è tra lavoro e famiglia o tra diverse forme di povertà?
Articolo amaro, non ce ne vogliate: ce n’è bisogno.

Mi sto interrogando molto, in questo ultimo periodo, sul tema della conciliazione in rapporto alla crisi economica e ai mutamenti del mercato del lavoro nel nostro tempo, e soprattutto nel nostro Paese.
Rimango convinta che il tema della conciliazione tra famiglia e lavoro, che per me rimane fondamentalmente diverso dal tema del bilanciamento tra vita e lavoro (single, coppie senza figli, sparatemi: ma io continuo a pensare che avere tempo per curare un figlio rimanga comunque, dal punto di vista valoriale, diverso da avere tempo per andare in palestra) sia un tema centrale.
Mi chiedo che forme, però, stia assumendo la conciliazione e quali forme assumerà in futuro: ormai la battaglia sulla flessibilità degli orari in ufficio e sul welfare aziendale è stata combattuta, vinta o persa che sia. What’s next?

Poi mi è capitato di leggere nei giorni scorsi il Rapporto Annuale 2013 dell’Istat e ho scoperto un po’ di cose interessanti. A parte lo sconforto a fine giornata, riassumibile sinteticamente così:

tweet-lorenza

L’Istat ogni tanto usa delle espressioni meravigliose. Una di queste era: «il lavoro standard perde peso».
I lavoratori a tempo indeterminato full time sono “rimasti” il 54% del totale dei lavoratori: tutti gli altri sono autonomi (a tempo pieno un buon 20%), dipendenti part-time, dipendenti con contratti a termine, collaboratori (ecco, se poi ci sommiamo il 12% di disoccupati… Fate voi i conti che siete sicuramente più bravi di me).

Il part-time nel 2012 è cresciuto molto, ma (per uno di quei paradossi tutti italiani) non necessariamente per chi lo chiedeva: molto part-time è involontario, molto è part-time per i giovani (commessi, servizi ecc.). È aumentata anche la quota di autonomi che lavorano part-time e, in barba a tutte le riforme Fornero, il lavoro atipico (ma questo, guardate un po’, è successo in tutta Europa, pare, tranne che in Germania: in Francia, in UK, anche lassù in Danimarca e Svezia).

Vi risparmio tutti i dati sconfortanti in proposito, tranne uno: la metà dei quasi tre milioni di “precari” (l’Istat li chiama «atipici», e la differenza che fanno le parole mi fa sempre pensare) ha un’età compresa tra i 30 e i 49 anni (parliamo di 1,4 milioni di persone) e il 36% è genitore (fate voi i conti che io mi sono persa, credo che faccia suppergiù 450.000 persone, giusto?).
Attenzione che nei precari non rientriamo noi, che siamo autonomi (gli autonomi senza dipendenti fanno altri 3 milioni).

Vi risparmio tutti i dati deprimenti, soprattutto quelli sul lavoro delle donne (ah no, una cosa buona c’è: nelle professioni intellettuali e scientifiche le donne pareggiano gli uomini) (per il resto la storia delle donne che mantengono famiglia è una bufala: sono nella stragrande maggioranza donne con professioni medio basse e mariti disoccupati – poi possiamo aggiungerci anche alcolizzati e violenti, e il quadro dickensiano è fatto).

E quindi.
Quello che viene da pensare, leggendo questi dati, è poveri e concilianti: lo sperimenteranno quelli che hanno il part-time obbligato, e questo lo sperimentiamo abbondantemente noi che lavoriamo da autonomi senza dipendenti (qualcuno anche con, ma insomma) e affrontiamo stoicamente questi tre mesi di vacanze estive con un occhio sul pc e uno su quei mostruosi quaderni dei compiti delle vacanze (sentendoci chiedere in continuazione da molti clienti, che non sanno esattamente dove tu sia ubicato: “Ma sei in vacanza?!?” e tu avresti voglia di rispondere “Vacanza ‘sta cippa” ma poi le buone maniere che ti hanno insegnato hanno sempre il sopravvento) e abbiamo figli che la domenica sera guardano uno dei due genitori, quello con il lavoro «standard» secondo l’Istat, e chiedono: “Ma dove vai tu?” “In ufficio, a lavorare” e si chiedono perché uno lavori da casa, e quell’altro dall’ufficio, cercando un senso e un nesso logico.

Poi ci sono i poveri e non concilianti, che sarebbero i precari che devono andare in ufficio con orari standard e hanno uno stipendio inferiore di oltre il 25% dei loro colleghi a tempo indeterminato, perché non hanno gli scatti di anzianità, e non usufruiscono di tutti quei benefici del welfare aziendale che tanto aiuta a conciliare, là dove c’è. E son sempre di più, e restano precari (scusate, «atipici») per sempre più tempo. E saranno sempre di più, e speriamo che non aspettino di diventare «standard» per avere figli «standard».

A me viene da pensare a questi 450.000 genitori, che sono degli eroi. E vorrei sapere le loro storie, e come fanno, al netto dei nonni e delle vacanze scolastiche.

– scritto da Lorenza di Milano e Lorenza

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14 thoughts on “Volevate il part-time? E adesso lo avete”

  1. Io il salto nel buio l’ho fatto.
    Volevamo un altro figlio e l’abbiamo fatto, tra un contratto e l’altro.
    Indispendabile l’aiuto dei nonni: quelli che non ci sono più hanno lasciato la casa, che un mutuo in queste condizioni sarebbe impensabile; e quelli che ci sono rimangono a disposizione per le bimbe, con pochissimo preavviso.
    Sì, perché io di lavoro ne ho sempre trovato, ma quando ti dicono “cominciamo prima possibile” la mia risposta è sempre stata “anche domani”, e questa disponibilità è dovuta alla nonna sempre presente; sono passata da un part time che mi permettevano di andare a prendere la pupa al nido, a periodi di disoccupazione, a full time, e non è che una bimba di due anni si può mollare a una baby sitter a lei sconosciuta, né posso fare richieste sull’orario di lavoro: devo solo essere grata di avere di nuovo uno stipendio.
    Alla fine ci è andata bene, perché ho trovato un lavoro mentre ero incinta e mi rivogliono appena finisce la maternità obbligatoria, “cinque mesi ti aspettiamo, di più non ce la facciamo”. E io a dire di sì, perché è il lavoro che cercavo, perché mi sono trovata bene, perché essere assunta incinta non me lo aspettavo, ma ho un magone che non passa, mia figlia ha due mesi e mezzo e tra tre settimane riprendo a lavorare. Però questa volta sull’orario ho contattato, eccome.

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  2. @Pentapatata e @M di Ms: il problema è che il fatto che le pensioni dei nonni siano “messe a sistema” e considerate da tanti politici un aiuto alle famiglie; ho sentito un sottosegretario all’economia fare della filosofia in proposito!

    @Camilla: il tuo commento mi ha fatto commuovere, davvero. Purtroppo non ho risposte…

    @Giuliana e @Vans: l’eroismo non sta nella sfiga di essere precari, ma nel fatto di essere genitori!! 😉

    @Lorenza, la mia nemesi, dove sei?!? [il tuo commento avrei potuto scriverlo davvero io]. Quando trovi una risposta alla domanda: “Perché io no?” chiamami!

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  3. Che tristezza!
    E pensare che grazie a madama fornero adesso anche molti tempi indet si possono trovare precari dall’oggi al domani

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  4. Noi siamo nella media italiana: un genitore a tempo indeterminato (TI) e uno ex precario che “si sta guardando intorno” (metafora soft per dire che non trova lavoro perché “troppo qualificato”).
    Non è eroismo, è sfiga. Sfiga perché il genitore ex precario ha le stesse capacità e qualifiche di chi non lo è, magari anche un pelino in più, ma per una serie di circostanze è entrato nel mondo del lavoro col piede sbagliato: il primo contratto è stato atipico e i successivi anche, perché un conto è chiedere un TI se già ce l’hai un conto se non ce l’hai.
    Ogni volta si riparte da zero e si cerca di essere ottimisti, ma ogni volta è più difficile. E ci si trova a chiederci “perché io no”?

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  5. credo di far parte della categoria “poveri e concilianti”. cioè. più che altro cerco di conciliare la tata e il mutuo: chiuse le scuole, tutti e due non ci stanno. quindi lavoro da casa (cosa che detesto), con i compiti delle vacanze e spesso anche gli amichetti che giocano alla wii.
    i nonni sono lontani e comunque troppo malmessi per poterli usare, sia come supporto logistico che economico, che la vecchiaia, signora mia, è una brutta cosa, non si sa per quanti anni dovremo mantenere la badante.
    non ci trovo niente di eroico, solo ogni tanto penso al casino che è successo in azienda quando sono rientrata dalla maternità e mi dico che oggi saprei cosa rispondere alla capa del personale che mi ha silurato perché “le mie priorità sono cambiate”. oggi l’accetterei. con l’accetta, appunto. in nome della conciliazione.

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  6. Ottimo post, ma quanta amarezza.
    Si sa che molte famiglie precarie sono aiutate dal welfare dei nonni.
    Ma anche qui sta il punto. Preferiscono darci la mancia piuttosto che abbassare le pensioni più elevate.
    P.S. in Grecia, in Spagna per uscire dalla crisi tagliano le pensioni e licenziano dipendenti pubblici, da noi no. Ma forse sto divagando.

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  7. Ciò che scrivi mi fa’ riflettere
    su argomenti a cui penso spesso e tocca l’eroismo
    di quelle coppie precarie che comunque
    decidono di crescere un figlio: vorrei avere quel
    coraggio. Il mio compagno e’ autonomo senza dipendenti
    e le pensa tutte per riuscire a portare qualcosa a casa e
    pagare le tasse, ma non bastano mai ed io ad oggi sono una restauratrice
    dipendente indeterminata, in cassa integrazione per alcuni
    mesi con speranze di ricominciare ridotte al lumicino. Abbiamo
    Tommaso 3 anni e mezzo e sogno un fratellino, ma così ( senza
    nessun aiuto di tempo e denaro da parte di nonni) mi sembra impossibile.
    Il nido ci è costato 540€ al mese, più baby sitter per malattie e il mutuo da
    pagare ancora per 10 anni. Si compra solo il minimo necessario, si accetta con orgoglio
    prestiti materiali e doni, i vestiti e i giochi di Tommaso sono al 95% passati da
    altri bimbi.Cio che mi rammarica e’ che tutte queste rinuncie che non mi pesano affatto non bastano per un’altro bimbo. Che faccio ragioni conti alla mano come mi consiglia un amica o mi butto, tanto qualche santo provvederà come dice un altra?

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  8. lunga vita ai nonni che con le loro pensioni, tempo e investimenti passati consentono alla mia generazione di galleggiare. Credo che tutto sarebbe molto diverso anche in termini di indignazione e incazzatura, senza mammà che magari ha aiutato a comprare casa ( sacrosanto se si può ), che fa il regaluccio magari a 4 ruote, ci cambia la tv, regala la sdraio vicino alla sua ai bagni marini e tiene il figliolo per tre mesi risparmiando l’emorragia baby sitter (o limitandola di molto), ecco senza tutto questo aiuto di sponda i soldi non basterebbero, perchè con 1200 euro al mese non puoi fare fronte a tutte le spese tutte.
    Quando l’ammortizzatore sociale nonno tornerà a correre nelle praterie con il grande spirito saranno cazzi amarissimi

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  9. Grazie a Close the Door per il link e per tutte le aggiunte, che sottoscrivo in pieno… Continuo a pensare che il tema della conciliazione sia sempre più legato a una riforma sostanziale del mercato del lavoro e anche degli ammortizzatori sociali, la Fornero ha provato a fare un esperimento di ingegneria lavoristico-sociale e le è andata male, anche perché come spesso accade da noi è rimasta a metà strada – ed è proprio lì al bivio che si trovano tutti i precari, che nonostante tutto hanno scelto di avere dei figli. Mi piacerebbe che nel nostro paese si parlasse di professionalità, di merito, di qualità del lavoro (e non solo di quantità, che pure è importante ma insomma…), di innovazione, di stipendi, di come il lavoro autonomo aiuta in effetti la conciliazione e di come tutti i dipendenti potrebbero essere un po’ più “autonomi”.

    Mi piacerebbe anche che passasse alla storia che i veri eroi del nostro tempo, e non gli sfigati epocali come sono sempre descritti, sono tutti quelli al bivio che hanno comunque avuto il coraggio di dare una chance di vita a un piccolo d’uomo! 😀

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  10. Segnalo un bell’articolo (in francese) sul tasso di natalità in Francia, che rimane eccezionalmente alto nonostante la crisi e la cosiddetta “génération stage” di precari che passano da un tirocinio non pagato all’altro. In sintesi, si dice che entrambi gli schieramenti politici attuano politiche a sostegno della famiglia, mentre altrove in Europa uno dei due schieramenti quando va al governo azzera il sostegno alle famiglie. http://www.atlantico.fr/decryptage/vraies-raisons-derriere-bonne-fecondite-francaise-francois-heran-683367.html

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  11. Io appartengo alla categoria degli autonomi senza dipendenti, che vanno al mare col pc e lavorano anche in spiaggia, che quest’inverno sono finite in ospedale per aver preso troppi lavori – perchè il lavoro oggi c’è e domani no per cui non si dice NO a niente – e non hanno preso un euro di malattia.
    E sono comunque fortunata, perchè almeno fino ad ora ho lavorato e ho lavorato con una remunerazione che ritengo più o meno giusta.
    Ma ho una marea di amici che non riescono a trovare lavoro, che lavorano precari senza ferie o diritti di nessuna sorta, che lavorano con finte partite iva senza riuscire a pagare l’affitto, che lavorano a chiamata – dall’oggi al domani – senza potersi programmare nemmeno un giorno al mare.
    E delle amiche che ho, con bambini, sono molte a non lavorare affatto.
    La situazione è molto, molto più+ che sconfortante. 🙁

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  12. Purtroppo Elsa Fornero ha firmato una riforma del lavoro fallimentare, mi dispiace mille volte perché è stato l’unico personaggio politico che abbia dichiarato pubblicamente che per permettere alle donne di fare figli bisogna offrire dei servizi alla maternità, non costringerle ad abbandonare il lavoro. Da noi invece lo schieramento conservatore ha ancora quest’idea della donna “carrierista” che insegue il lavoro e mette da parte la maternità – quindi bisognerebbe scoraggiare le donne dal lavorare in modo da far crescere il tasso di natalità, mentre lo schieramento progressista (ce n’è ancora uno? facciamo finta di sì) sostiene che il problema si risolverà magicamente facendo entrare X immigrati e soprattutto immigratE, che fanno 5 o 6 figli ciascuna e ci pagheranno le pensioni. Nessuno però in Italia sembra rendersi conto del fatto che gli immigrati, vedendo quanto costa un figlio da noi, si allineano subito ai nostri standard facendo mediamente 1 o 2 figli per coppia. Non solo, ma i bambini degli immigrati – data la penuria di servizi appunto – vengono spesso spediti nel paese di origine dai nonni finché non compiono 5 o 6 anni e sono pronti per andare a scuola. Così questi bambini sradicati porteranno avanti molto probabilmente un disagio generazionale che vedremo fra un po’.

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  13. Mi fa molto pensare, questo post. Intelligente e vero. Ancora una volta mi trovo a pensare che la politica italiana continua a dare ripetute dimostrazioni di non avere propria idea di tutto ciò. Qualche frase a effetto, qualche slogan, talora anche qualche provvedimento a casaccio. Ma la realtà vissuta sembra proprio fuori dai radar di chi ci governa, su questo come su molti altri temi.

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  14. Che si dovrebbe avere tempo sia per i figli che per se stessi è sacro: ho provato a far capire, senza successo, a mia suocera, che dovrebbe guardarmi le bimbe non solo se devo lavorare ma anche se ho bisogno di fare la ceretta…

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