Così diceva Mario Soldati. E si sa, tradizionalmente i padri non sono granché con i sentimenti. Però, altrettanto tradizionalmente, sono loro che guidano, che tengono la mappa, che spiegano il dove e il come del viaggio.
Se il viaggio è un sentimento, i chilometri non significano niente. I sentimenti non li misuri con le distanze, ed è per questo che anche la propria stanza può essere grande come il mondo. Da Jules Verne (Le tour du monde en quatre-vingts jours) a Xavier de Maistre (Voyage autour de ma chambre), sono le esperienze vissute col corpo e con l’anima a costruire un viaggio: se lasci a casa uno dei due, fermo dove è sempre stato, non stai viaggiando affatto.
Quando ci si muove dal luogo che conosciamo a uno che non conosciamo, è un bel problema usare i sentimenti. Le mille preoccupazioni pratiche – specie quelle che riguardano i figli – sembrano volerci impedire qualunque sentimento esuli dalla vigilanza, il controllo, la sicurezza. Siamo abituati a pensare che viaggiare sia arrivare, mentre invece quest’ultima cosa corrisponde allo stanziare di nuovo, anche se in un luogo mai visto prima. Il viaggio è, per lo più, ore di trasporto, solitudine alla guida, costrizione nel sedile d’aereo. Che sentimento vuoi tirar fuori, in quelle situazioni?
Ma la solitudine alla guida, lo stress dei bagagli, l’assenza dei vincoli quotidiani, l’attesa per ciò cui si va incontro, sono sentimenti. Spesso nuovi, o comunque vissuti raramente, ogni tanto; un viaggio non è solo quello che rimane nelle ossessive macchinette digitali che ci portiamo appresso.
Alla prova di un luogo diverso, di un tempo diverso, anche i rapporti consolidati come quello tra padre e prole dovrebbero subire qualche cambiamento – e non solo in senso negativo. L’occasione di una piccola grande rivoluzione come un viaggio andrebbe colta proprio per mettere alla prova i più consolidati atteggiamenti. Non a caso è in viaggio che “ci si accorge” di qualcosa che quotidianamente sfugge: siamo più attenti e disposti a notare ciò che di solito non siamo capaci di cogliere, sopraffatti dall’abitudine.
Viaggiare è anche imparare i propri sentimenti. Accorgersi di quello che si prova, perché nel quotidiano tutto ciò è scontato e non più effettivamente sentito. Esattamente per lo stesso motivo per cui prendiamo in giro, se non proprio disprezziamo apertamente, quella persona che in viaggio porta con sé gli oggetti e le abitudini che gli consentono di ricreare altrove l’ambiente domestico cui è abituato, dovremmo cercare di non portare con noi gli stessi sentimenti e gli stessi atteggiamenti interiori di sempre. Approfittiamo del viaggio per tentare anche dentro di noi nuove strade, anche per incontrare le stesse persone, gli stessi affetti. Potremmo scoprire inediti paesaggi e spettacoli affascinanti anche per i nostri sentimenti.