Un po’ di tempo fa girava un progetto in rete, si chiamava Pleens e proponeva di collegare delle storie a dei luoghi che amate. Inevitabilmente, mi sono innamorata dell’idea. 🙂
Non è solo per via di questa rubrica … è che mi sembra educativo raccontare storie e ancor più raccontare emozioni. In fin dei conti: qual è stato il professore che più vi ha fatto imparare? Come ha fatto? Perché era enciclopedico o perché parlava con passione?
Per contro, quando si raccontano viaggi, si finisce per addormentarsi di fronte a quelle 500-1000 foto digitali che testimoniano un passaggio, ma non riescono a spiegare come quel passaggio abbia potuto (se lo ha fatto) mettere in movimento la persona (non il vanaglorioso raccontatore).
Perché, io credo, viaggiamo per imparare e impariamo primariamente con le emozioni. Il cui compito è, appunto, farci muovere dalle situazioni, darci dei segnali: di qui, di là, questo l’ho già visto, qui c’è pericolo, non riesco a dirti una cosa (e mi arrabbio) eccetera.
Quindi: quando raccontate dei vostri viaggi, non notate mai ricordi che condividete con più difficoltà?
In un’epoca in cui è normale condividere con un migliaio di persone la foto di un vostro bacio con il tramonto come sfondo o la perfetta depilazione del vostro inguine, avete mai provato a parlare di un particolare che vi ha toccato nell’anima solo con una persona e attendere in silenzio la sua reazione? Io credo, ma sbaglierò, che quando durante un viaggio fotografiamo un istante – di gioia, fierezza, stupore, paura, felicità – assaporando esattamente l’emozione che viviamo (e che ci appare così chiara e nitida proprio perché non ci troviamo immersi nel flusso della nostra quotidianità), in quel momento arriviamo a toccare un po’ più profondamente chi siamo e, giocoforza, la nostra umana fragilità.
Per questo, condividere realmente alcuni pezzi di viaggio è faticoso, rischioso e talvolta distruttivo. (anche se io, che nell’aldilà ho già un posto riservato accanto a Tommasino Moro sulla nuvola di Utopia, non trovo niente di più interessante e vivo che condividere proprio questo genere di cose).
Per questo, viaggiare con i bambini può essere devastante. 🙂
I bambini hanno un punto di vista giocoforza diverso, a partire dalla diversa altezza da cui osservano il mondo. I bambini hanno bisogno di essere contenuti, nelle loro emozioni, perché se ne lasciano rapire e non hanno ancora imparato come noi adulti a fingere di essere altro da esse.
Una rabbia da stanchezza, una tristezza struggente, uno stupore infinito possono interrompere e irrompere durante qualunque viaggio, lungo o cortissimo. Basta una passeggiata per fermarsi cento volte a osservare le foglie secche. Di un viaggio, rimarranno nel loro cuore il colore dei fiori sotto il pergolato, la voce della mamma che cantava troppo forte, la paura nell’esplorare un castello nuovo o semplicemente l’angoscia a dormire e abbandonarsi al buio in un luogo sconosciuto.
Viaggiare con i bambini non mi ha mai permesso (ok, ammesso io ne sia il tipo) di abbandonarmi a una serie di “must – do” da far apparire al mio ritorno.
Viaggiare con i bambini dà questa grande opportunità di fotografare (con la mente o il cuore, poi se volete usate pure la digitale) quegli attimi – magari anche apparentemente banali o semplici o piccoli o stupidi – in cui improvvisamente ci appare chiaro chi siamo e come ci collochiamo, esattamente in quel punto, tra le stelle e la terra. Sono i momenti in cui inevitabilmente allungo una mano su di loro, per non rischiare di perdermi o perderli, non lo so neanch’io.
Viaggiare con i bambini non è semplicemente stupirsi perché si incontrano cose nuove. È rielaborare cose nuove e vecchie che si incontrano nel viaggio lasciando che il cuore si ammorbidisca e sia ancora una volta un poco più umano.
Come dice nel film Agata e la Tempesta: “Ma tu, te li ricordi tutti i libri che hai letto?” “No, non tutti, non tutto, ma rimane quello che hanno lasciato: può essere una descrizione, un personaggio, un’emozione …” così vale per i viaggi: “Ma tu, te li ricordi tutti i percorsi che hai fatto?” “No, non tutto, ma rimane quello che mi ha fatto sentire più umana. Ed è davanti a quello che cerco di tornare, rimettendomi in moto con i miei figli”.
grazie, Raffaella!
“Perché, io credo, viaggiamo per imparare e impariamo primariamente con le emozioni. Il cui compito è, appunto, farci muovere dalle situazioni, darci dei segnali: di qui, di là, questo l’ho già visto, qui c’è pericolo, non riesco a dirti una cosa (e mi arrabbio) eccetera.”: non avrei saputo esprimerlo meglio!
Nel tuo post ci sono tante frasi, belle, che condivido appieno!