Quando mi capita di scambiare opinioni con fan del concetto di famiglia tradizionale (i quali, spesso, nella mia limitatissima esperienza predicano bene e razzolano male, non perché sono persone sbagliate, ma perché la vita è così, a prescindere da come la professi), mi sento spesso proporre l’argomentazione del genitore come “modello”.
Esempi a caso: una bambina con due papà, a che modello di femminilità si rifà? Il figlio di due separati, su quale modello di coppia equilibrata si basa?
Io credo che chi vorrebbe essere un modello per i suoi figli non ha considerato due fattori: uno, nessuno può ergersi a modello totale; due, i nostri figli non sono scatole vuote da riempire con i nostri ideali, e spesso sono più i conflitti dei modelli a costruire le identità.
Chi l’ha detto che noi genitori dobbiamo essere dei modelli?
Ne parlavo ieri con mia madre. Lei mi ha fatto notare come la perdita di nostro padre, quando avevamo sei e otto anni, è stata per me e mio fratello dolorosa, piena di strascichi, e soprattutto, foriera di squilibri nella gestione di rapporto amoroso con individui di sesso maschile, e che dunque abbiamo sofferto, per la mancanza di una famiglia “normale”, un “modello maschile”. Verissimo. Ma stiamo parlando di due bambini a cui è morto il padre, non di figli di separati, o figli di due mamme. Certo che il lutto lascia i buchi nel cuore, ci mancherebbe. Ma non ci è dato di sapere che padre sarebbe stato, che modello sarebbe stato.
Ognuno costruisce la sua vita e la sua personalità con le risorse che ha ma anche con quelle che gli mancano. Io sono piena di buchi, e però mi considero anche piena di risorse, perché finora non sono mai andata così a fondo da non riuscire a risalire. E mi guardo attorno e vedo tante e tante persone piene di risorse, che magari neanche si rendono conto di fare cose incredibili.
Credo che un bambino, se non si può specchiare in un modello di genere tra le mura domestiche, costruirà la propria identità di genere attraverso un mix di emulazione e conflitto con altri modelli, e io guardo a questa eventualità in maniera oggettiva: qual è il problema se un bambino ha due mamme e non va a pescare con un uomo? Primo, non è detto che questo bambino non abbia alcun uomo vicino, un amico di famiglia, uno zio, un nonno, un padre non residente; e secondo, chi l’ha detto, che se avesse avuto una famiglia tradizionale, il padre l’avrebbe portato a pescare o a giocare a calcio, e che sarebbe stato in grado di essere un buon modello? Magari lo sarebbe stato, magari no. Ma non c’è.
Se pensate ai vostri genitori, potete davvero affermare che sono stati modelli totali, per i vostri valori, la vostra identità di genere, di coppia, il vostro equilibrio emotivo, le vostre passioni, il vostro lavoro? Spero di no, perché sennò vivreste una vita già scritta, e questo lo trovo molto triste. Immagino invece che tutti noi abbiamo trovato un modello nei genitori; più spesso ci siamo scontrati, abbiamo desiderato essere diversi, e abbiamo disegnato la nostra vita anche basandoci su ciò che non volevano diventare, ovvero i nostri genitori.
Io ho perso il padre da piccola eppure un modello di uomo molto vicino l’ho avuto: mio nonno. Per me è stato esattamente come un padre, e mia nonna è stata una vice-madre: li adoravo, e a quasi dieci anni dalla loro perdita ancora mi mancano. Eppure erano una bruttissima coppia, non si amavano, non si rispettavano, non si parlavano neanche. E quando cominciavo a sentire che stava diventando così anche la mia vita “coniugale”, ne ho parlato con una psicologa, la quale mi ha detto “no, se tu ti rendi conto che ti stai comportando come tua nonna, sei già sulla buona strada perché la tua vita diventi diversa dalla sua”. Dunque i nonni sono stati, forse, in qualche modo, una sorta di modello inconscio, e però poi è entrato in gioco il conflitto: “vi amo, ma non voglio essere come voi. Perché? Perché no“.
Sarei stata più felice se avessi avuto dei modelli “giusti”? E che importa? Certo è che non sarei stata come sono, nel bene e nel male.
Io e il babbo delle mie figlie non possiamo rappresentare un modello di coppia equilibrata. Un giorno, forse, spero, le mie figlie decideranno che vogliono costruirsela in maniera diversa, la loro felicità, la loro coppia. Magari decideranno che abbiamo qualcosa di buono, da tenere. Oppure decideranno che stiamo facendo delle cavolate, e sceglieranno di diventare grandi opponendosi totalmente a tutto quello che proviamo a insegnare loro, se necessiteranno di forti rotture e conflitti per capire chi sono.
Però siamo stati onesti nei loro confronti, e in questo sì, che aspiriamo a essere modelli: ci proponiamo per ciò che in effetti siamo, senza bugie, senza aspirare a fornire esempi di vita universalmente validi, e soprattutto senza spacciarci come “giusti”, ma sempre e solo come “noi”, perfettibili, passibili di cambiamenti, in meglio o in peggio.
Non vorrei che le bimbe si ricordassero di me come quella che ha insegnato loro a pattinare, non sono tanto brava. Vorrei che si ricordassero di me come quella che ha comprato i pattini, le ha messe in strada e le ha raccolte quando cadevano.
– di Valentina Santandrea aka pollywantsacraker –
(Foto: riproduzione de La famiglia Bellelli – Edgar Degas
@castagna: che splendido commento, me l’ero persa. Immaginami stringerti in un abbraccio mentre con il tacco della scarpa do un calcio allo stinco di un’assistente sociale che parla di famiglia tradizionale 🙂
“Non vorrei che le bimbe si ricordassero di me come quella che ha insegnato loro a pattinare, non sono tanto brava. Vorrei che si ricordassero di me come quella che ha comprato i pattini, le ha messe in strada e le ha raccolte quando cadevano.”
Ecco, ‘fanc…, sono in lacrime.
Ma non ti preoccupare, Vale. Da quando mi sono cacciata in quello in cui mi sono cacciata, piango ogni volta che sento le parole “madre” “figlia” “famiglia tradizionale” “assistenti sociali” e reagisco scompostamente a pressochè qualunque evento atmosferico.
Quella del modello non me la pogo nemmeno perchè conciati come siamo, e con quello che la Princi ha passato prima di incontrarci, non ho idea di cosa possa voler dire. Ma questa cosa che hai detto è magnifica.
UN post vero e un’analisi lucida e sincera.
Bellissimo.
@ Marica, ti abbraccio forte e se posso, ti ringrazio da parte di tua figlia prima del tempo.
I miei genitori sono stati “perfetti”. Un modello per tutto. Talmente perfetti e talmente in tutto che quando sono diventata madre io, sono crollata, tanto sbagliata e imperfetta mi sentivo. E anche io ne ho parlato, e riparlato, e ancora ne sto parlando con una psicologa, e che diolabenedica lei che mi ha fatto capire che SI PUO’ essere imperfetti, o meglio, che si può essere se stessi.
Sto cercando di essere me stessa il più possibile con mia figlia, e di lasciarla fare tutte le scelte che può fare in base alla sua età. Ho attivato una serie di “alarms” che suonano nella mia testa e mi avvertono che sto decidendo al posto suo, che la sto guidando io anzichè insegnarle a guidare sulla sua strada, e devo dire che ne sono molto fiera.
Sono fiera di aver capito che sono “felicemente diversa” da mia madre.
@mammamicia: credo che sia dolorosissimo, come figlio, sentirsi in colpa per le scelte della madre. Ma forse lei non aveva mentito solo a voi, aveva mentito anche a se stessa. Per questo dico che fare i modelli (“sto con un uomo per dare ai miei figli una famiglia modello”), non solo è perpetrare una bugia (e quindi che modello sei?), ma è anche fare tanto tanto male a se stessi. Abbraccio a te e alla tua mamma.