Una storia di p.m.a.

Federica e Luca hanno due gemelli di sei mesi. Hanno affrontato un percorso di procreazione medicalmente assistita per essere genitori e Federica ci racconta la loro storia.

Come si arriva alla decisione di avvalersi della p.m.a.?
Siamo arrivati alla p.m.a. dopo aver tentato inutilmente per anni di avere un figlio. In genere ci si arriva dopo tanti tentativi, dopo aver fatto dei check-up completi individuali e di coppia, dopo rapporti mirati ed in genere dopo almeno tre inseminazioni in vitro.
Naturalmente questo è l’aspetto pratico e quasi scontato della questione. Dietro, invece, c’è un grande dolore ed una forte determinazione di coppia.

L’impatto con le strutture sanitarie: com’è l’informazione, l’accoglienza e l’iter da seguire?
L’informazione in materia è davvero molto scarsa. E pensare che qualche anno fa la procreazione medicalmente assistita è stata anche materia di referendum!
Devi, se non sei uno sprovveduto, procurarti una reale cultura in merito, fatta soprattutto di esperienze altrui e di forum.
Il primo dilemma che devi affrontare è se procedere privatamente o in strutture pubbliche. In genere, confrontando la nostra esperienza e quella di altri che abbiamo conosciuto nel nostro cammino, ci si rivolge al privato e, solo successivamente, quando le tasche si sono alleggerite per i troppi tentativi infruttuosi, si tenta di accedere alla p.m.a. in strutture pubbliche.
In una struttura privata, come quella di cui ci siamo avvalsi, l’accoglienza è stata un aspetto molto importante, perchè sentirsi rassicurati ed a proprio agio è fondamentale.
Va sottolineato che, a prescindere dall’accoglienza, è importante che il centro cui ci si rivolge sia accreditato e che le percentuali di successo che vanta siano reali e non virtuali.
Un aspetto che nessun centro tiene nella dovuta considerazione è la predisposizione anche di un minimo di assistenza e preparazione psicologica, che sarebbe invece necessaria nel pre-p.m.a., ma soprattutto nel momento successivo, dato che le possibilità che non vada a buon fine sono elevatissime.
L’iter, insomma, è semplice ma lungo. Occorre sottoporsi a molteplici test sia di coppia che individuali per escludere ulteriori cause dell’impossibilità di procreare, che potrebbero inficiare l’impianto. La donna viene sottoposta a stimolazione ormonale, secondo vari protocolli e questo la porterà a produrre un certo numero di ovociti.
Gli ovociti vengono prelevati in sala operatoria (così detto “pick-up”), in anestesia totale (quindi una procedura piuttosto invasiva) e solo tre, secondo la legge italiana, ne vengono fecondati. Dopo due o tre giorni c’è il “transfer” in utero, dopo il quale inizia una vera e propria “cova” che dura 14 giorni.
In questi 14 giorni vengono somministrate delle terapie ormonali alla donna per sostenere la fase luteinica. Queste terapie seguono diversi protocolli, quindi non sono per tutti uguali e con gli stessi farmaci. Questi farmaci, però, sono in genere molto pesanti. E’ una delle fasi peggiori: possono dare insonnia, stati d’ansia (come se non bastasse l’ansia della situazione in genere), attacchi di panico, sindromi depressive e tanti e tali effetti collaterali che è meglio evitare di leggere i bugiardini.
Al 14° giorno si fa il test con le dita incrociate e tanta speranza nel cuore.

C’è un momento in cui si sente di dover elaborare il lutto di non aver procreato naturalmente?
Penso che l’ “elaborazione” debba essere a monte e non a valle. Si arriva alla p.m.a. attraverso un percorso di coppia ed individuale molto doloroso. Un percorso in cui la virilità del tuo uomo è stata messa in discussione, così come la tua capacità di donna di procreare…
Per la coppia è davvero La Prova più dura da affrontare e può sostenerla solo se ha forza e stabilità in sè. Personalmente abbiamo lavorato molto sulla nostra coppia e sulle reali motivazioni che ci spingevano a volere così tanto un figlio.
Siamo stati fortunati: dal secondo tentativo sono nati i nostri due gemelli: Matteo e Andrea. E che lutto vuoi elaborare??!! Siamo tornati a vivere, finalmente!

La gravidanza dopo la fecondazione assistita: quali le ansie e le difficoltà?
La mia è stata una pessima gravidanza: sono stata costretta ad attività minime, ad interrompere il lavoro e ad uscire pochissimo.
In genere mi sento di dire che, essendo una “gravidanza preziosa”, viene vissuta come una malattia, visto che si è monitorate costantemente. A tutte le gravidanze ottenute con p.m.a. è naturalmente comune la paura di un’interruzione precoce. E questo è esasperato in situazioni come la mia, dato che aspettavo due gemelli.

Quando la fecondazione non va a buon fine cosa si prova e come si trova la forza di ricominciare?
Come dicevo prima, la scelta, il percorso, li fai a monte e quella determinazione che senti, ti fa da spirito guida. Quando fallisce un tentativo hai dentro un senso di vuoto, ed è incolmabile. Questa è la vera fase di elaborazione di un lutto… sì, ti senti proprio così, in lutto.
Emotivamente è drammatico.
A me è capitato che, un giorno, dopo che la prima fecondazione non era andata a buon fine, è nata una splendida bambina di nome Sofia a dei nostri amici. Quel giorno io ho pianto tanto, ma tanto: ho tirato fuori tutto il mio dolore che forse era rimasto li, da qualche parte e dopo due giorni ero nuovamente dal mio ginecologo per riprovare.

Ovviamente, con quelle due creature meravigliose che ora hanno sei mesi, che iniziano a mangiare le prime pappe, che fanno sorrisi a tutti, che non ci fanno dormire una notte di fila, io non posso che essere del tutto favorevole alla procreazione assistita.

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10 thoughts on “Una storia di p.m.a.”

  1. Ciao, anche io ho un lungo passato di problemi di fecondazione e per risolverli mi sono dovuta rivolgere all’estero.
    Mi sono affidata al Mediterranean Fertility Center in Grecia che, grazie allo staff medico molto professionale, mi ha donato il mio angelo!
    Il loro sito è http://www.fertilitycenter-crete.gr, spero di essere stata utile a qualcuno…

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  2. @ Michela: Tu sei bravissima, attenta ed accorta ma credimi non è sempre così! Le persone sanno essere cattive oltre che stupide!

    io ho fatto 5 tentativi di fecondazione assistita, di cui tre all’estero e sono riuscita ad avere la mia piccola.
    Io il lutto non l’ho ancora elaborato, anche se ho accanto una bimba meravigliosa, non credo riuscirò mai ad elaborarlo. E’ una menomazione (scusate il termine bruto!). Io non posso avere figli naturalemente e non potrò mai.
    E per tornare alle persone cattive: io non ho mai avuto segreti, tutti sanno della fecondazione ( e non sempre perchè gliel’ho detto io!), dei miei aborti e della mia difficilissima gravidanza, eppure ancora oggi mi chiedono quando farò il secondo. il secondo??
    Come se fosse facile, come se fosse naturale, come se fosse…

    Forse vado fuori tema, ma qui in Italia io ho trovato molta poca attenzione al “paziente” sia nei centri pubblici che in quelli privati. Nessuno ti aiuta, anzi è tutto difficile e complicato se non impossibile. Internet e i forum per noi sono stati essenziali e fondamentali.

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  3. leggendo espritfollet mi chiedo:ma la gente è davvero così ottusa? anzi SCEMA??? ma come si fa a chiedere a una coppia senza figli ” a quando un pargoletto?”. Ogni volta che incontro amici di amici, conoscenti che non hanno bimbi mi guardo bene dal tirare fuori l’argomento e limito sempre i commenti e i riferimenti al mio, perchè penso che molto probabilmente quelle persone non abbiano scelto ma si siano trovati nella condizione di non poterne avere…
    Quest’anno i nostri vicini di ombrellone sono proprio una coppia sulla 40ina senza figli, magari sbaglio ma mi sono fatta l’idea che non ne possano avere…beh sto cercando di tirare fuori mille argomenti ed evitare di ammorbarli con i racconti delle mie notti insonni e dei progressi di gattonamento del mio bimbo…ma mi sembra il minimo, tutti dovrebbero avere un minimo di empatia verso gli altri! scusate, ma la stupidita’ gratuita mi indispone!

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  4. Non so se è in programma, ma anche l’adozione è una questione che può offrire spunti di confronto interessanti e potrebbe essere inserito nei prossimi temi (però più avanti, che già sdrammatizzare quello che ho letto fino ad oggi..).
    @espritfollet hai proprio ragione…mi dispiace che siate arrivati a questa scelta sofferta di non avere figli. Non conosco la vostra situazione ma forse, come dici tu, state ancora elaborando il lutto, magari con il tempo potreste porvi in maniera diversa nei confronti dell’adozione. Non voglio essere invadente visto che non ci conosciamo ma, se posso essere utile in qualche modo, sono a disposizione.
    Certo l’adozione così come la p.m.a. è un percorso lungo e difficile, certe volte ti chiedi se vale la pena, ad esempio l’ennesima volta che rinnovi i documenti o quando l’assistente sociale ti dice che hai una vita troppo tranquilla per avere un bambino adottato (e che devo fare, rapinare banche o spacciare droga?). Io l’ho vissuta solo di riflesso ma mi resta un senso di impotenza e di ingiustizia, che sono poi i sentimenti che più sto provando questo mese leggendo i post.
    Un abbraccio

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  5. Lorenza:Il fatto è che per tanti se una coppia non può avere figli è perché, per qualche oscura ragione nota solo agli dèi, non se li merita.
    Per quanto riguarda la leggerezza di chi chiede “allora quando un pargoletto”, seguita quasi immancabilmente da “Beh, se non potete averne di vostri, adottateli” – come se fosse automatico decidere di adottare, come se una coppia non fosse già abbastanza provata dalla propria manifesta infertilità e salvo poi dare del “piccolo bastardo” a un bimbo da adottare (sì, purtroppo ho sentito pure questo) – alla fine mi sono rassegnata a contare la panzana che io, di figli, non ne voglio. E lo dico con uno sguardo tale che di solito la questione si ferma lì. Ma anche così, poi mi capitano quelli che proprio non capiscono che non è aria, che mi danno dell’egoista e che cercano di spiegarmi le gioie della maternità.

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  6. Io trovo ammirevoli le persone che decidono insieme di fare tutto l’iter, perché per prima non so se ce la farei.

    Quando dopo 4 anni di tentativi a casaccio ci siamo chiesti se fosse il caso di cominciare a farci vedere, mio fratello e mia cognata erano già in fase di ricerca, poi per noi non c’è stato bisogno e loro, non so bene con quali percorsi, hanno lasciato perdere.

    E anche i dettagli che so sono gli stessi, scarsa sensibilità, poco ascolto per non dire nulla, come se una coppa che sa quello che sta facendo e come dici giustamente tu, ha dovuto anche rendere a monte decisioni difficili, abbia ancora bisogno dei bastoni inutili tra le ruote.

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  7. Ho vissuto di riflesso l’esperienza della p.m.a., ci si è sottoposta mia sorella ormai parecchi anni fa, prima della legge 40.
    Per lei è stata un’esperienza pesante, in primo luogo dal punto di vista fisico perché le terapie ormonali sono invasive e portano un sacco di disturbi. Nel suo caso (oltre il danno la beffa) probabilmente le terapie sono state tra i fattori scatenanti di una malattia autoimmune che fino ad allora era rimasta latente.
    Anche dal punto di vista psicologico non è stata una passeggiata, soprattutto perché i vari tentativi sono andati tutti male e alla fine hanno desistito.
    Concordo che sia necessaria una preparazione psicologica che da noi manca completamente, soprattutto quanto la p.m.a. non va a buon fine perché è un ulteriore mazzata a persone che da anni tentano di avere figli senza successo, che si sentono incomplete e si colpevolizzano, come se fosse colpa di qualcuno. Senza contare i vari commenti di chi non sa, dal banale “ma a quando un pargoletto?” al “oh, non potete avere figli, poverini, ma di chi dei due è il problema?”.
    Nel nostro caso, dopo aver archiviato la p.m.a., mia sorella ha intrapreso la strada lunga ed estenuante dell’adozione. Anche qui, tanta burocrazia, scarsa sensibilità, nessun appoggio per gli aspiranti genitori, ma è un’altra storia che si è conclusa con l’arrivo del nostro piccolo russo ad allietarci l’esistenza.
    A volte mi sembra che il desiderio di superare l’impossibilità di avere figli venga considerato un delitto, un peccato, e quindi non solo non si viene aiutati ma anzi vengono messi ancora più ostacoli. Come se ci si dovesse rassegnare a un destino già scritto senza provare a cambiarlo. Chissà perché deve essere così difficile.
    Ciao

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  8. Io non ce l’ho fatta ad arrivare alla p.m.i.

    Il primo impatto che io e mio marito abbiamo avuto con il centro sterilità della nostra città (una struttura pubblica), è stato a dir poco devastante: ci hanno trattati come numeri; ci hanno detto di essere disponibili a ogni chiarimento, ma a fronte delle nostre domande precise e specifiche le risposte erano sempre vaghe o addirittura si concludevano con un “perché è così”; ci hanno sottoposti a esami che – ancora oggi – riteniamo non necessari (ad esempio lo screening per l’infezione da hiv quando avevamo comunque dichiarato di non essere infetti e di non aver tenuto comportamenti a rischio e l’esame per la rosolia quando avevo chiaramente detto di essermi sottoposta a vaccinazione due anni prima e di aver fatto in seguito un rubeo-test risultato positivo); quando mi sono sottoposta alla prima visita addirittura hanno fatto entrare – non per errore, ma consapevolmente – un’altra paziente mentre ero ancora sul lettino ginecologico a esporre le mie grazie. Mai ci siamo sentiti umiliati tanto.
    Abbiamo deciso di rivolgerci altrove, presso un centro privato, dove l’accoglienza è stata decisamente più umana, dove abbiamo rifatto gli esami e ci siamo sottiposti ad altri accertamenti e dove la risposta finale è stata che non c’è un motivo particolare per cui non riusciamo a concepire, ma tanti piccoli fattori che diminuiscono la nostra fertilità i quali, sommandosi, fanno sì che mi sia molto difficile restare incinta naturalmente e sia praticamente impossibile che io possa portare a termine un’eventuale gravidanza.
    Così dopo aver sperimentato una terapia a base di progesterone, che con meraviglia di tanti mi ha dato una quantità di effetti collaterali; dopo aver perso il mio fagiolino; dopo tanta sofferenza; abbiamo rinunciato.
    Sebbene il mio ginecologo mi dica che non dobbiamo disperare, che in fondo una possibilità, pur se remota, c’è sempre, in fondo al cuore io so che non sarò mai mamma.
    Mio marito sembra essere più avanti di me nell’elaborazione del suo lutto. E questa, in fondo è la nostra grande difficoltà: che ognuno di noi ha i suoi tempi per riprendersi dal dolore, per perdonarsi, per accettare quella che io ancora vivo come una menomazione, e che lui ha cominciato a superare (o forse no, ma almeno riesce a essere forte per entrambi).

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