Mio figlio grande questa mattina mi ha odiata profondamente.
E il problema è che, a ripensarci bene, forse ha pure ragione.
La causa è una felpa. Una felpa nera con cappuccio, di quelle di cotone con tre strisce bianche sulle maniche.
Ora dovete sapere che il Vikingo è un tipo che ogni primavera bisogna lavorarselo per settimane per fargli abbandonare il tutone da neve, e ogni autunno bisogna nascondergli i sandali per evitare che possa usarli per uscire con 2 gradi sotto zero che nemmeno i francescani sulle nevi abruzzesi. Insomma il cambio di stagione, al pari di ogni transizione, è per lui (e per noi) un dramma.
Si da il caso che domenica scorsa abbiamo comprato questa nuova felpa prevedendo le solite 2 o 3 settimane di ambientamento prima di riuscire a fargliela indossare. E invece lui per qualche oscuro motivo se ne è innamorato.
La notte tra domenica e lunedì ci ha dormito.
Lunedì ci è andato all’asilo.
Martedì ci è andato nel bosco.
Mercoledì ci è andato ad un concerto.
Giovedì, gli ho impedito di indossarla di nuovo.
Le mie ragioni sono chiaramente basate su un mio personale senso di pulizia, decenza, e anche, lo ammetto, preoccupazione per il freddo. Perché qui ancora non è proprio da andarsene in giro in felpa, e questa notte ha tossito un po’ troppe volte per i miei gusti.
Ho tentato di convincerlo con le buone.
Ho persino evitato di discutere il resto dell’abbigliamento scelto da lui: pantaloni sportivi a righe nere e grigie, camicia a quadretti azzurri e blu scuro, e calzini rossi. Ogni mio tentativo di guidarlo nella scelta dell’abbigliamento fallisce miseramente, e se gli parlo di combinazioni di colori mi risponde che quei colori insieme stanno benissimo, e quindi non vede il problema. E aggiunge naturalmente che i vestiti sono i suoi e decide lui come si vuole vestire. Il che mi sembra pure sacrosanto.
Io altaleno ogni mattina tra la sensazione di avere un figlio daltonico e la convinzione che sarà il nuovo Missoni. Magari riuscirà a lanciare nuove mode, e in men che non si dica i bambini svedesi vorranno tutti andare con pantaloni a righe nere e grigie, camicia a quadretti azzurri e blu, e calzini rossi.
Ammetto che quando leggo i post di Paola e di come gioca con il figlio ad accoppiare gli abiti dal guardaroba, mi viene quasi da piangere. Ho pensato di chiedere aiuto a Caia e Barbara su Trashic ma penso che siamo un caso disperato.
Il fatto è che la scelta dei vestiti che fa, che ai miei occhi è assolutamente casuale, nei fatti per lui ha un’importanza eccezionale. Anche nei suoi soliti modi caotici (e non vi voglio dire come lascia il cassetto dopo!) fa scelte oculate di ogni singolo capo di abbigliamento. Ammetto di avere una certa difficoltà ad accettare questo suo modo di essere, e a volte mi impongo e lo costringo a vestirsi in modo decente. Altre volte però entro in crisi e mi chiedo che diritto ho io di decidere cosa deve indossare mio figlio. Dove è il confine tra educare ed imporre, anche in fatto di gusto. Con le mode che cambiano alla velocità della luce, e che spesso propongono capi decisamente di dubbio gusto, non dovrei forse apprezzare la libertà mentale che il mio cinquenne ancora ha, e la sua voglia di esprimersi liberamente?
Perché la scelta del vestito che si indossa dice qualcosa di noi, del nostro stato d’animo, dell’umore del giorno, ma anche di un nostro modo di essere più profondo. Almeno così è per me.
E oggi con la felpa dopo trenta minuti di pianti e urla ho avuto la sensazione che il valore simbolico che per lui assume questa felpa non sono riuscita a comprenderlo fino in fondo.
Tornando a casa emotivamente a pezzi, con la sua voce che gridava “sei una cattiva mamma!” ancora nelle orecchie, me lo sono rivisto girare con la sua felpa nera, cappuccio alzato, nascosto dietro un paio di occhiali scuri, con quell”aria da rapper dodicenne. Ho capito finalmente il senso di identità e di sicurezza che quella felpa evidentemente gli da.
E ora, dopo averci rimuginato sopra un paio d’ore, ho capito che quella felpa è molto più di una felpa per lui.
E’ il suo rifugio, la sua copertina di Linus, la sua corazza da cavaliere.
E quindi ora so che ha avuto ragione ad odiarmi.
E a ripensarci meglio mi odierei volentieri un po’ anche io.
@serena
quando parli del Vikingo sembra che tu stia descrivendo il mio primo figlio. E come nel tuo caso anche io ho un secondo figlio del tipo di pollicino. Il mio di Vikingo ha tre anni, ad ogni cambio di stagione, come ad ogni cambio di scarpe (da quelle rotte a quelle nuove) ed ha qualsiasi altro cambio, bisogna prepararsi con un pazienza, con estremo impegno mentale altrimenti lo “sbroccamento” è assicurato! La primavera scorsa ha passato un’ora a piangere ed a tirarsi giù le maniche di una T-shirt a maniche corte perché evidentemente ritrovarsi a braccine scoperte lo disorientava. Come ultimamente si rifiuta di indossare le pantofoline in casa (sono delle scarpine comode che utilizzo in casa per lasciarlo libero di correre e saltare su ogni divano garantendomi così un po’ di igiene). Niente. Vuole le scarpe sportive. Allora faccio un bilancio come te e penso che tra educare e imporre, lascio correre pensando che è evidente che c’è un qualche motivo che gli fa preferire le altre scarpe. Chiudo un occhio sull’igiene… Anche se ogni tanto gli rifilo le pantofoline!
Mi consolo! io divento matta tutte le mattine! mio figlio vuole mettersi sempre la stessa felpa!!! quando la lavo è una tragedia!! cresceranno anche loro dai, godiamoci così finche sono piccolini 🙂