Ulisse. Il mare color del vino di Giovanni Nucci. Una reinterpretazione dell’Odissea da leggere con i ragazzi per capire che la famiglia può essere un viaggio un po’ diverso.
Quando leggo un libro con le bambine, ammetto spesso di annoiarmi. Forse non è proprio noia, ma non sempre, la sera fremo per stendermi su un letto a turno a interpretare qualche storia, sbadigliando. E allora riesumo la raccomandazione delle maestre (che chissà perché le best practice altrui le tiro fuori solo per quando non voglio fare qualcosa): “Lei non deve leggere alle sue figlie! Sono grandi, devono leggere da sole”.
Ma questo libro ci è così piaciuto che ogni sera non vedevamo l’ora che finisse la cena per correre in camera a leggere. Peccato poi sia finito subito.
Ulisse . Il mare color del vino di Giovanni Nucci è la storia di una famiglia s-composta: quella formata da Penelope, Ulisse e il loro figlio Telemaco.
E’ la storia di un amore a distanza, di un’attesa durata vent’anni e in mezzo, semplicemente, la vita.
Questo libro ripercorre la storia di Ulisse attingendo a vari classici (soprattutto Iliade e Odissea, naturalmente), e riesce a essere fedele alle storie originali, e a riprodurne le emozioni in chiave ancora più contemporanea.
Ma non vi voglio parlare di quanto è stata bella questa lettura.
E non vi voglio neanche parlare di quello che ci siamo dette io e le bimbe a proposito di questo libro, perché non ho abbastanza spazio per dirvi per bene di come le bimbe tifassero per Penelope e Telemaco, e sostenessero che Ulisse fosse un idiota a cercare conforto qua e là, nell’adrenalina e tra le braccia di qualche bellissima quasi dea; e non ho neanche lo spazio necessario per raccontarvi che invece a me, quell’amore tranquillo per Calipso (ma pensando a Penelope), sembrasse così umano: da millenni, l’amore che si fa è più urgente dell’amore che si giura.
Vorrei parlare invece della famiglia.
Lo farò con le parole di Giovanni Nucci, di cui ora devo per forza andare a ordinare altri libri.
Comincio con una nota dell’autore alla seconda edizione:
“Ogni volta che rileggo il mio racconto, trovo qualcosa di nuovo che non avevo pensato la prima volta che l’ho scritto (…). Per esempio sei anni fa non mi era ancora successo di sentire tanto forte la mancanza dei miei figli (…). Allora, rileggendo il mio racconto, ho capito quanto deve essere stata forte questa mancanza per Ulisse”.
Il capitolo da cui traggo invece la citazione che segue, introduce Telemaco: non il Telemaco bambino, lasciato dal padre, bensì il Telemaco adulto, che il padre lo aspetta da venti anni (chi è secondo voi che ha aspettato di più? Penelope o Telemaco? O Ulisse, che seguiva virtute e canoscenza con la casa nel cuore? Io credo che sebbene sia stata Penelope con la sua tela ad assurgere a simbolo di paziente attesa, attendessero tutti, forsennatamente. Ma la vita è un viaggio che non possiamo rifiutare in nome dell’amore).
“Certo, per Telemaco non doveva essere stato facile passare la vita ad aspettare. Aspettare il padre, voglio dire. Anche se è vero che tutti i bambini aspettano il ritorno del proprio padre. Magari non aspettano per vent’anni, ma lunghi pomeriggi o qualche settimana. Perché ogni padre prima o poi parte, va a fare un lungo viaggio. O semplicemente se ne sta in una stanza in cui non si può entrare”.
(Piango. Sto pensando a un amico il cui padre è di nuovo in carcere, e, inutile dirlo, a me stessa, condannata a non rivedere mai più il mio).
E Penelope? A prescindere dal fatto che era rimasta a Itaca, vent’anni di vita non furono forse, comunque, un viaggio, anche per lei?
“Ulisse erano vent’anni che stava tornando (…). E per quanto anche Telemaco era cresciuto e Penelope aveva dedicato quei vent’anni ad accudire la casa, l’isola e il regno, per quanto magari anche lei aveva amato altri uomini o vissuto la sua vita senza di lui, era lui a essere stato via. Loro erano rimasti lì”
Non era scontato che questi due sconosciuti poi si ritrovassero (per quanto?).
“E questo il matrimonio: un palazzo costruito intorno a una stanza, costruita intorno a un letto, costruito dentro il tronco di un albero che affonda le sue radici nell’amore di un uomo e una donna. E per quanto l’amore sembri ormai lontanissimo dalle stanze del palazzo, quell’amore continua ad alimentare la vita che ogni giorno vi viene vissuta. Il matrimonio non è che una tela da tessere ogni giorno un po’, e ogni giorno disfarla per poter ricominciare a tesserla. Così ogni giorno il marito deve essere un altro per sua moglie, e lei per lui: per poter tornare da ogni viaggio un po’ diverso, e ritrovarsi un po’ diversa in ogni attesa”.
Col necessario rischio di non riconoscersi. Ma rifiutare il nostro viaggio non si può.
Grazie mille! <3
Meraviglioso!