Tutti all’Expo

Avevamo comprato i biglietti mesi fa, con un acquisto di gruppo fatto al lavoro che aveva permesso un certo risparmio sulla somma finale.

Facile, quindi: nessuno sbattimento, più semplice che comprarli on-line.
Meglio così: una volta avuti in mano c’era solo da decidere quando andare. Perché andare, a quel punto, bisognava e non c’era spazio per le pigrizie delle ferie.
Ah, si! Bisognava andare con i bimbi, perché il biglietto lo avevamo comprato anche per loro.
Mesi e mesi di “Siete pazzi”, “Lasciateceli a casa”, “Si stancheranno da morire”, “Non riuscirete a vedere nulla”. Mancava solo la chiamata al Telefono Azzurro.

E poi gli immancabili gufi: “Ci sono code chilometriche”, “È tutto carissimo”, “Dicono che fa schifo”.
Così, nello svegliarli alle 6 di mattina, direzione stazione dei treni, un po’ ci sentivamo in colpa: agosto, quindi pieno di gente e caldo boia, attese interminabili con loro recalcitranti, insomma, non una prospettiva bellissima.
Vi dirò che la scelta del treno è stata pensata appositamente; a parte il fatto che, a differenza di anni fa, dove in Panda mi sono girato l’Europa, l’idea di metermi al volante e fare più di 100 km mi stanca già dalla sera prima, abbiamo pensato che due ore di treno per i piccoli fossero decisamente più gestibili.

Certo, non si può pretendere di assistere agli spettacoli serali, ma, onestamente, tre bimbi di massimo sei anni, reggerebbero a tutte le 13 ore di apertura di una giornata?
La risposta è un facile no. Tanto vale prenotare il treno verso le 19 e tanti saluti.
Scesi dal treno c’è la parte che poi si è rivelata più impegnativa di tutta la giornata. Arriviamo mezz’ora prima dell’apertura quindi c’è da stare in fila per un po’. Essendoci una imponente tensostruttura non stiamo molto al sole ma il caldo, i figli appiccicati addosso inibiti dalla ressa e gli zaini con tutto il necessaire per una giornata fuori in famiglia fanno presagire il peggio.
Invece no!

Foto ©El_Gae
Foto ©El_Gae

Appena dentro veniamo accolti da enormi statue con le sembianze dei  quadri di Arcimboldo, gli spazi sono immensi e fin dall’inizio colori e musica fanno sembrare tutto un gigantesco lunapark.
Naturalmente non lo è, ma il poterlo sembrare dispone gli animi nel modo giusto e ci incamminiamo giù per l’immenso decumano.
Ora: non so se l’afflusso di quel giorno fosse in media o no, ma fin da subito i padiglioni più blasonati propongono mezz’ora di coda. Che lì per lì parevano tanti invece poi, durante la giornata non hanno fatto altro che aumentare. Ergo: padiglioni blasonati non se ne sono visti tanti, anzi! Solo l’Italia, a dire il vero, che pure ha meritato, non fosse altro che per il fatto di averci fatto saltare la coda in quanto famiglia con tre figli piccoli (mica solo noi, eh? Pure una famiglia cinese).
Eppure, nel nostro tentativo di evitare ogni coda possibile, non siamo stati fermi un secondo e devo dire che nulla di ciò che abbiamo visto è stato poco significativo. Significa che da vedere c’è moltissimo e probabilmente non basterebbero tre giorni pieni per riuscire a cogliere tutto.
Il cluster del riso: che ci ha permesso di rivedere la “nostra” Sierra Leone e di mostrarla ai bimbi, per quanto un pochino omogeneizzata agli altri paesi poveri (che finiscono per assomigliarsi un po’ tutti, questo è uno dei difetti che ho trovato ad Expo).

Il cluster della cioccolata: che, dico la verità, neppure io ero proprio ferratissimo su come venisse prodotta, invece adesso sono un esperto.
Le spezie, gli aromi. Tutto molto basato sui sensi, l’olfatto, tatto e gusto, in particolare, nella vita di tutti i giorni sacrificati a beneficio di vista ed udito. Non a caso l’esperienza forse più forte, per tutti, è stata l’attività con l’associazione italiana ciechi, che ci ha fatto attraversare un piccolo mercato ricostruito ad hoc e completamente (e fidatevi che così completamente non riuscite neppure ad immaginarlo) al buio. Si può solo provare, sapendo che vale l’attesa (siamo stati fortunati, anche qui, ma dicono che non è poca, di solito).

Foto ©El_Gae
Foto ©El_Gae

E poi le attività per i ragazzi, molto orientate all’educazione ad uno stile di vita sano: attività fisica e alimentazione, ma anche riutilizzo di materiali usati, riducendo gli sprechi e sapete che vi dico? Funziona. Ancora ne parlano, ad una settimana di distanza, anche se sono piccoli e non sarebbero dovuti entrare (le attività sono dai cinque anni in su e manca ancora un mese per la data fatidica).
Insomma, l’Expo con i bimbi non solo si può fare ma è una esperienza molto bella per loro e per noi, partendo dal presupposto che i percorsi devono essere necessariamente diversi rispetto ad andarci senza figli. Costasse un pochino meno non ci penserei due volte a tornarci.

Foto ©El_Gae
Foto ©El_Gae

Mi sono anche chiesto se il vero target di quella che dovrebbe essere soprattutto un’iniziativa culturale, non dovessero essere soprattutto i bambini.
Certo, ci sono mille contraddizioni: un evento che parla molto di alimentazione e sostenibilità finanziato dalle multinazionali alimentari, un pochino stride. Come stride un po’ che una immensa colata di cemento serva a parlare così tanto di natura ed ambiente.

E del resto neppure il pieno di retorica che si fa un po’ in tutti i padiglioni e che, in particolare nel nostro (L’orgoglio italiano), fa a pugni con ciò che poi succede nella quotidianità (basti pensare anche solo all’evasione fiscale, senza addentrarsi nel campanilismo che spesso sfocia nel razzismo).
Ma questo ai bambini sfugge e, a dirla tutta, un giorno di ferie per regalarci l’idea che anche in Italia un evento mondiale possa semplicemente funzionare, ci è parso ben speso.

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