Questo mese ci prendiamo una responsabilità che finora avevamo pensato di affrontare, ma avevamo più volte rimandato: quella di scalfire alcuni tabu e di parlare di temi delicati.
Lo dico da subito: ci proviamo.
Il tema di questo mese affronterà diversi argomenti, correlati alle nascite difficili e alle non nascite. Parleremo di prematurità, nascite con problemi, aborto terapeutico o spontaneo, interruzione volontaria di gravidanza e fecondazione assistita.
E’ molto e sono argomenti eterogenei, ma accomunati da un modo diverso dal solito di vivere l’evento nascita. Vogliamo capire quanto di questi temi si possa parlare e come. Nulla ci impedirà di approfondire in un prossimo mese.
Credo che ancora oggi tra questi argomenti ce ne siano alcuni che rappresentano dei tabu. Mi sembra che la parola “aborto” sia tra le pochissime ancora impronunciabili: forse in questo è accomunata solo alla parola “cancro”. L’informazione sulla fecondazione assistita è scarsa e solo chi si trova ad esserne coinvolto si procura, spesso con difficoltà, notizie approfondite.
La scommessa di una nascita prematura, il dubbio della decisione di un aborto, la fatica fisica e psicolgica della fecondazione assistita, la scelta di portare avanti una gravidanza a rischio, sono situazioni che solo chi ha vissuto in prima persona sa cosa vogliano dire.
E per questo ci faremo aiutare da molte interviste e guestpost, per creare il maggior clima di condivisione e solidarietà.
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@Illa, io ho fatto l’amniocentesi e non ho avuto nessuna complicazione. La mia ginecologa (che l’ha eseguita personalmente) la consiglia a tutte le donne sopra i 30 anni.
Abbiamo parlato dei rischi e lei sostiene che, se viene ben eseguita e si seguono scrupolosamente le indicazioni (antibiotico prima, riposo assoluto dopo per qualche giorno) la probabilità di aborto spontaneo sia molto più bassa di quanto riportato dalle statistiche.
Certo, io l’ho fatta privatamente quindi con tutti i confort, ho aspettato nello studio mezzora monitorata, la dottoressa ha effettuato un’ecografia prima per vedere come era messa la bambina e quanto liquido c’era, subito dopo per verificare che il “buchino” si fosse rimarginato etc, non so come sia negli ospedali.
Sono veramente addolorata per la tua amica, però mi sento di consigliarla a tutte, anche a chi non interverrebbe in caso di risultato negativo, perché credo sia meglio essere preparati e organizzarsi al meglio prima piuttosto che scoprire le cose alla nascita o peggio poco a poco.
Vi riporto un esempio anche se forse non è a tema: a mio nipote è stata dignosticata a 6 anni la sindrome della X fragile, un’anomalia genetica che può portare ritardi nello sviluppo. Noi non lo sapevamo perché è stato adottato a 2 anni, ci siamo arrivati perché fatica a parlare nonostante anni di logopedia e alla fine ci hanno consigliato i test genetici.
Il risultato è che ora stiamo intensificando gli sforzi (logopedia, attività mirate) e abbiamo avviato le pratiche burocratiche per l’invalidità e il sostegno. Anche se sono ottimista che stiamo facendo il possibile per ridurre il divario con gli altri bambini, forse se l’avessimo saputo prima avremmo potuto iniziare da subito.
Per questo vi invito a riflettere sull’utilità dell’amniocentesi in ogni caso e a non classificarla solo come un test per sapere se il feto è sano e in caso abortire.
Ciao
Lorenza sottolinei un aspetto molto importante dell’amniocentesi a cui spesso non si pensa, quello di agire d’anticipo per essere pronti ad offrire al proprio bambino tutto l’aiuto di cui ha bisogno nel modo migliore possibile fin dall’inizio.
Io però c’è una cosa che non capisco. In Svezia quando fai l’amniocentesi non ti danno l’antibiotico e non ti fanno stare in riposo assoluto dopo, eppure le statistiche sono uguiali se non migliori di quelle italiane. A me hanno detto che potevo tranquillamente andare a lavorare, visto che non facevo un lavoro di fatica. L’unica precauzione è quella di effettuare un lavaggio completo con un disinfettante la sera prima. Mi piacerebbe conoscere un medico in grado di spiegarmi come sia possibile!
“Forse il fatto che qualcuno che partecipa a questa discussione lo fa silenziosamente è proprio dovuto ad un bisogno di riorganizzarsi le idee e ricucire il cuore non in pubblico, ma prendendo qualche spunto prezioso”
E’ proprio questo il punto! Il motivo del mio silenzio. Vi sto leggendo silenziosamante, non perchè non ho da raccontare e condividere, ma perchè parlarne è difficile.
Quando sai che non puoi essere madre (io ora lo sono dopo tanto dolore, ma restero’ sempre e comuqnue una donna che non può avere figli) ti isoli dal mondo quotidiano fatto di donne che restano incinta per sbaglio, al primo tentativo, ogni anno, di donne che non riescono a capirti, di domande imbarazzanti e dolorose, di un mondo che concepisce ed accetta con difficoltà una donna senza figli.
Impari a tenere dentro il dolore, a parlarne solo con chi ha avuto le tue stesse esperienze, con chi ti sta accanto e il dolore lo vive come se fosse il suo.
@Alem il nostro tentativo è proprio quello di confrontare i vari modi di portarsi dentro il dolore e le difficoltà di situazioni che sembrano opposte, ma che hanno pure moltissimo in comune. Spero che tu riesca a trovare in questo blog uno spazio per quanto possibile accogliente.
Grazie Valeria. Anche se la ragione che ti saresti data se l’avessi perso è in sé un controsenso: per volergli dare il meglio, è addirittura morto anzi non è nato. Nel caso della mia amica, come per ogni singolo caso del resto, le cose non sono così lineari, intervengono molti fattori. In particolare, lei non aveva nessun rischio particolare, tipo età, familiarità, malattie, ecc..
So che è difficile parlarne per chi ha proprio perso un figlio in questo modo, è una nascita non-nascita, una scelta non-scelta… ma mi piacerebbe mettere lei in rete con qualcuno che lo ha proprio vissuto e vorrebbe parlarne. L’ideale forse sarebbe poter scambiare gli indirizzi in privato, tramite le fondatrici del sito e creare una rete di auto aiuto.
Oggi ho sentito che un bimbo di 7 anni è stato giustiziato in Afghanistan. Sto pensando ad un sacco di cose scatenate da questa notizia e da quello che hanno vissuto molti genitori, non posso parlare di tutto quello che mi viene in mente, non è pertinente, ma almeno una cosa sì:so che ci sono dei gruppi di genitori che hanno eprso un figlio e che si sostengono tra loro. Forse il fatto che qualcuno che partecipa a questa discussione lo fa silenziosamente è proprio dovuto ad un bisogno di riorganizzarsi le idee e ricucire il cuore non in pubblico, ma prendendo qualche spunto prezioso.
Per Illa: quando aspettavo il mio secondo figlio ho voluto fare l’amniocentesi. Non ero obbligata a farlo, ma volevo sapere se il mio bambino stava bene, se potevo almeno escludere quelle malattie genetiche che l’amniocentesi vede. Ero terrorizzata dal farla, dal risultato e dalla sua potenziale pericolosità. Ho vissuti i 15/20 giorni dopo l’esame in un limbo, in famiglia eravamo tutti preoccupati. E’ andato tutto bene per fortuna. Non so perchè la tua amica abbia fatto l’amniocentesi. Nel mio caso volevo essere libera di prendere una eventuale decisione in merito ad un aborto terapeutico nel caso il mio bambino fosse stato malato. Durante la prima gravidanza avevo incontrato tante donne ai vari esami che avevano deciso di fare l’amniocentesi in seguito a brutte esperienze di loro amiche che avevano partorito dei bimbi malati. Non so, mi era presa l’angoscia.
Ripeto, non so se l’avrei fatto, ma volevo sapere. Volevo essere in grado di decidere il meglio per il mio bambino, per me e la bimba che già avevo. Volevo essere pronta ad effrontare la sua malattia nel caso avessimo deciso di andare avanti con la gravidanza. Volevo essere pronta, per quanto lo si possa essere in casi simili.
Credo che se avessi perso il bambino avrei cercato di farmene una ragione così: l’ho fatto per il mio bambino, ho cercato di fare la cosa migliore.
Vorrei sapere cosa ne pensate dell’amniocentesi. Ad una mia amica è capitato di perdere il bimbo subito dopo averla fatta. Quando poi sono arrivati gli esiti dell’esame, il bimbo risultava sanissimo.Come posso consolarla?
Grazie.
Davvero.
Era,
la cosa che mi ha colpito di più nel tuo post è l’immensa solitudine con cui hai dovuto affrontare tutto questo.
Purtroppo credo sia impossibile liberarsi del dolore di queste situazioni, però vorrei dirti che la tua sofferenza non è giusta, non è meritata come molte persone ipocrite sembrano volerti far credere. Non devi espiare nessun peccato e nessuna donna dovrebbe essere additata e colpevolizzata per queste scelte drammatiche che lasciano comunque il segno senza che qualcuno lo ricordi.
Non è giusto che non ci sia nessuno che aiuti una donna in questi momenti e che anzi tutti siano pronti a giudicare, che non ci siano strutture adatte e personale sensibile.
Vorrei poter dire qualcosa di utile ma in questo caso le parole servono a poco. Forse ti sembrerà banale, ma magari nei tuoi figli potrai trovare le forze per andare avanti, per loro ma soprattutto per te stessa.
Un abbraccio
Ciao,
in realtà penso che sia un tema molto vasto. Io mi sento chiamata in causa quando si parla di fecondazione assistita: ho concepito mia figlia grazie a una FIVET , dopo 3 anni di ricerche, analisi e 3 inseminazioni artificiali in italia. Anche se ora stringo tra le braccia il mio più grande amore, non dimentico l’enorme buco nero di quel periodo: vuoto, freddo, difficoltà, ossessione per qualcosa che non arriva mai, esami, prelievi, visite su visite, medici spesso poco empatici, tempo che passa, che passa veloce e ti sembra di vedere gli altri vivere la vita e tu invece restare ferma…di tutto questo mi è rimasta molto viva una sensazione: se all’inizio avevo iniziato a cercare di restare incinta pensando a un “bambino”, ingenuamente pensando a una testolina bionda da stringere, immaginandomi mamma…più è passato il tempo e più questa immagine ha lasciato il posto a un altro desiderio: non più essere mamma ma “essere incinta”. Avere un test positivo.
Sono esperienze, come penso anche l’aborto, che ti cambiano, perchè inevitabilmente si finisce per vivere una condizione , quella della maternità, in maniera ” diversa”, non è più una condizione “naturale”, serena..ma una corsa a ostacoli, una lotta contro il tempo e la paura di non riuscirci mai.
E poi potrei scrivere pagine e pagine sulle problematiche di fare fecondazione assistita in Italia, sulle liste d’attesa, sui tempi, sui MODI, sui limiti, sui pregiudizi, sulla scarsa informazione…
Ho iniziato a scrivere il mio blog quando ho iniziato la prima FIVET, mentre i precedenti, estenuanti anni di tentativi, esami e IUI ono finiti in un libro che per ora ho nel cassetto. Un cassetto pieno di dolore. Da quando tengo il blog ho ricevuto diversi contatti di ragazze/mamme che stavano passando il mio stesso percorso o che cercavano informazioni.
mi ha fatto piacere…
Era ti sono vicina, e sonop anche un’infermiera…quando sono rimasta incinta di mia figlia ho fatto la villocentesi perchè siamo tutti e due, sia io che mio marito, portatori sani di una rara malattia genetica, se non fosse stata sana avrei abortito.
Io non credo che nessuno debba sindacare su una scelta che può fare ogni donna libera.
Non permettere ai sensi di colpa di distruggerti.Un Abbraccio
Era mi dispiace moltissimo per quello che hai passato e stai ancora passando. Vorrei dirti due cose. La prima è che non si può far altro che accettare che la scelta fatta sia quella giusta, perché evidentemente era la scelta che sei riuscita a portare avanti, e per quanto continuerai a sentire quella stretta al cuore, non potevi evidentemente fare diversamente, altrimenti lo avresti fatto.
La seconda è quell’immagine della porta con su scritto IVG, e la tua inquietudine di fronte a quello che pensano gli altri di te vedendoti fare la fila davanti a quella porta. Ecco questa inquietudine, questo senso di colpa è quello che dovremmo lasciarci alle spalle. Io credo che la scelta di abortire sia sufficientemente difficile e pesante per chi la compie, senza bisogno di aggiungerci il pensiero degli altri. L’interruzione volontaria di gravidanza, l’aborto, non è una cosa di cui vergognarsi. E’ una scelta.
Ti mando un abbraccio forte.
Era, mi dispiace sto piangendo leggendo la tua storia.
Non so cosa dire, forse – scusami se mi permetto – il male più grande lo hai fatto a te stessa.
Era, per quello che può valere, temo che, se rimanessi incinta di un terzo figlio, farei la tua stessa scelta.
Un abbraccio
Chiara
Ho perso il primo figlio molto presto, all’ottava settimana.
Era un figlio “per caso”, la sorpresa di essere incinta fu enorme.
Ma cambiò tutte le mie prospettive. Quando iniziarono i problemi, da totale inesperta, non mi resi conto bene subito di quello che avrebbe significato.
Ho abortito a casa, da sola perché il papà del bambino era fuori per lavoro.
Sono iniziate le contrazioni e le perdite.
Sono aumentate, come in un travaglio vero.
Sono durate 7 ore.
E io piangevo disperata in bagno non sapendo cosa fare per fermare tutto.
L’ho portato dentro per anni, anche dopo la nascita dei miei due bambini.
Poi sono rimasta incinta di nuovo. Non volevamo. Non siamo ragazzini, eppure qualche volta, evidentemente, capita.
Mio marito ha scelto molto velocemente: non possiamo averlo.
Aveva ragione, non potevamo averne un altro. Non siamo indigenti, ma un terzo bambino avrebbe introdotto notevoli difficoltà, anche pratiche perché ci siamo solo noi: niente zie, nonni, baby sitter….
Io lo sapevo, lo so, ma non riuscivo, non riuscivo a pensare di doverlo fare.
Poi l’ho fatto.
L’ospedale in cui sono andata ha un piccolo reparto separato, vicino al Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia.
Nel seminterrato.
Con un cartello grande che indica che quello è proprio il reparto per la IVG, per gli aborti.
Così tutti sanno perchè fai la fila davanti alla porta.
E quando ti guardano non sei più una persona. Sei qualcosa di diverso. Di brutto. O forse a te sembra così perché anche tu allo specchio non ti guardi più come prima.
C’è tutta una trafila di cose da fare: le analisi, la visita cardiologica e, soprattutto, l’ecografia.
Sì, perché l’embrione deve essere vivo e col battito, altrimenti la cosa non si fa, si aspetta che il battito arrivi.
Incredibile, no?
Così mi hanno fatto l’ecografia un po’ più in là, per essere sicuri che il battito ci fosse.
E il battito c’era, l’ho visto, ho visto tutto.
E quel giorno ho iniziato a morire.
Le infermiere erano essenzialmente pratiche, veloci, qualcuna anche gentile. Qualcuna no. Una, incontrando una collega, le disse: hai visto dove mi hanno messo ora? Dalle stelle alle stalle!
Il giorno dell’intervento sono stata fortunata.
Infermiere e medici erano gentili e accoglienti.
La dpp era: 27 giugno.
Ma sarebbe nato di certo con un cesareo, perché ne ho avuti già due.
Sarebbe nato la settimana prossima.
E io non smetto di pensarci.
Argomento delicatissimo….che mi tocca nel profondo sia come mamma che come infermiera che assiste tutti i giorni questi piccoli grandi miracoli della vita.In un reparto mternità dove nascono molti neonati e dove si presume ,accadano solo cose belle,quando accade qualcosa di spiacevole e doloroso,si avverte nell’aria…negli sguardi dei medici ,le ostetriche ,noi infermiere….non si ride ,non si scherza ,non si parla…Silenzio…cosa dire di più dell’accaduto. Non è facile trovare le parole ,basta far sentire la nostra vicinanza,fisica e psicologica,non esistono protocolli , vi immaginate?Sfogliamo il quadernone dei protocolli,le linee guida? No..la persona viene tenuta in osservazione ,in un posto letto o box, in sala parto ,con il compagno e la madre fino a quando si libera un letto in reparto .Il letto in reparto , di solito è accanto ad un’altra donna senza figlio o in patologia .C’è il servizio di assistenza psicologica che viene attivato dal ginecologo ,se la donna lo vuole .Sono tante le situazioni :morte intrauterina ,prematurità ,malformazioni …ma noi operatori non siamo aiutati ,non ci sono abbastanza soldi…per avere corsi che ci preparino ad aiutare le donne,il personale non è abbastanza da permetere di fermarsi e dire :”ci penso io, sarò vicino alla mamma per tutto il turno,mi occuperò di lei ,dei suoi bisogni…” per non parlare dei posti letto.
Si, con questi commenti stiamo individuando un tema cruciale: le nostre strutture sanitarie non sono attrezzate per sostenere il dolore di certe situazioni. E così la donna che perde suo figlio si ritrova accanto a quella che ha appena partorito.
Ho avuto esperienza non diretta, ma di una persona molto vicina a me, che si è trovata in questa situazione. Il personale infermieristico e medico, umanamente ha dato il massimo, ma loro stessi si scusavano di non avere un luogo di degenza isolato dalle neomamme in questi casi. E parliamo di un ospedale grande e con un’ottima fama. Quello che hanno potuto fare è stato solo di trovare un posto in una stanza insieme ad una mamma che aveva dovuto ricoverare il bambino in t.i.n., per non creare alla mamma che lo aveva perso il dolore di vedere la compagna di stanza con il figlio.
Quindi, tutto quello che hanno potuto fare, è stato cumulare due dolori. Ed erano sgomenti anche loro per questo.