Questo è il primo dei temi che abbiamo deciso di affrontare, proposti nella chat con i lettori del 15 dicembre scorso. Lo scopo di quella chiacchierata, era proprio quello di scegliere con voi gli argomenti dei prossimi mesi su genitoricrescono. E così, insieme a tante altre proposte, è emerso questo tema, con i suoi risvolti positivi e negativi.
La competizione: quel sentimento ambivalente che può essere fonte di tante complicazioni e frustrazioni, ma che è anche motore di cambiamento e di riscossa.
La competizione sembra essere insita nella natura dei genitori: una volta diventati tali, ci si sente calati nell’agone, in un clima che alimenta il senso di inadeguatezza e ci spinge a guardare gli altri come modelli irraggiungibili o come alieni. Poi c’è la competizione insostenibile di chi brandisce i bambini come trofei: quello che parla prima, quello che cammina prima, quello che dorme di meno o di più, quello che mangia di più, quello che legge prima, quello che prende i voti migliori… Ussignur!!! Ma come se ne esce?
Se ne esce quando si sostituisce alla competizione il confronto, quando si comincia a capire che ogni manifestazione di presunta superiorità non è altro che un modo per nascondere le insicurezze, quelle sì, uguali per tutti.
Ma c’è anche la competizione “buona”, quella da insegnare come valore. Perchè essere competitivi significa anche valorizzare i propri talenti e le proprie peculiarità e volerle far emerge. Per questo è bene che i bambini imparino a competere in modo sano e onesto, sapendo che ci sono regole e che il rispetto dell’altro è la prima di queste regole, in ogni campo. Quella competizione è il motore dell’esplorazione di sè e la culla dell’amor proprio. Quella che fornisce gli strumenti per vincere e perdere.
Perchè bisogna imparare da piccoli a perdere e vincere “bene”: in entrambi i casi, ci vuole competenza, per capire che si tratta di due eventi normali, che facilmente si alternano e non devono mai diventare né esaltazione, né tragedia.
Competizione personale, competizione lavorativa, competizione inutile, competizione sana, competizione scolastica e sportiva, competizione come metodo educativo, competizione e stress, competizione e gestione dello stress. Un tema vastissimo e ricco di spunti.
Insomma, mantenere l’equilibrio nei confronti della competizione non è facile e dipende anche dall’educazione ricevuta e dalla propria indole: “essere competitivi” può essere letto, ugualmente, come un pregio e come un difetto.
E voi come vi ponete nei confronti della competizione? La patite o la sentite come uno stimolo? La insegnate ai vostri figli o consigliate di rifuggirne?
nella competizione in sè non vedo nulla di male, mi pare giusto però che ognuno la faccia per se stesso quando lo ritiene, spingere bambini molto piccoli a fare per potersi poi vantare del risultato mi pare poco intelligente oltre ogni buona intenzione. Vorrei però – e lo dico soprattutto per me – insegnare a mio figlio a competere quando è il caso a non tirarsi indietro nel timore di perdere, a non restare alla finestra per non voler vedere che ci sono persone più brave di lui, intanto chi corre ha già fatto molto di più di chi ha avuto paura e non l’ha fatto.
io per esempio non l’ho fatto, trovandomi anche scuse poco intelligenti, chi è grintoso non deve essere necessariamente un pallone gonfiato, vorrei insegnare a essere competitivo, ma non arrogante.
Ritengo fondamentale per insegnare a essere competitivi INSEGNARE A PERDERE.
@Alice, io non credo sia vigliaccheria, anzi. La tua mi sembra una presa di coscienza molto matura di un tuo “limite” e il tuo proposito mi sembra il migliore possibile per cercare di dare a tuo figlio una vita il più possibile serena.
Io da piccola e anche ora un po’, solo per carattere, sento molto la competizione e non con gli altri, ma con me stessa. Cerco sempre di fare meglio e siccome non sempre è possibile mi capita spesso di essere molto critica sulla mia persona. Se da una parte questo sentimento mi è stato utile soprattutto a scuola, dove grazie alla volgia di fare meglio sono sempre stata prima della classe o a lavoro, dove ho sempre cercato di dare il massimo, mi lascia un po’ di amaro in bocca per tutte le volte che non riesco a raggiungere i limiti che mi prefiggo. Proprio per questo non sono la persona adatta a inculcare in mio figlio il sentimento di competizione ne’ in positivo, ne’ in negativo. Mio marito è da sempre uno sportivo, praticava calcio, sport di squadra ed ha un attitudine molto piu’ positiva. Mio figlio come tutti i bimbi vuole sempre vincere… E’ normale. Proprio per questo, credo che gli faro’ fare uno sport di squadra, all’aria aperta, delegando “vigliaccamente” al coach l’educazione di mio figlio verso la competizione sana e l’accettazione della sconfitta, la quale cosa lo formerà nel carattere e lo fortificherà fisicamente (dato che ora è sempre malato…)
Scusate se forse sono OT. @Claudia mi spiace per te: se ci sono “conti” in sospeso coi propri genitori diventa più difficile accettarli come nonni. Ti scrivo da nonna che ha un buon rapporto con la propria figlia e che ha letto molto per paura di non essere all’altezza del nuovo bellissimo ruolo. Eppure la competizione ogni tanto salta fuori lo stesso, sai non è facile smettere di fare i genitori anche quando il rapporto è paritario. Forse potresti tu dare a tua madre come regalo qualche buon libro o magari farle conoscere siti come questo utili anche a noi nonni/babysitter.
E’ un tema interessantissimo. Io personalmente avrei bisogno di eviscerarlo bene, visto che il mio secondogenito di 5 anni è proprio in quella fase vinco/perdo così debilitante per lui e per noi genitori!
@Ricciomamma sono d’accordo con te che la competizione con i nonni è un tema a parte, ma secondo me il problema è più che se noi (come è normale) prendiamo decisioni diverse da quelle che avrebbero/hanno preso loro, loro si sentono fortemente criticati come genitori. Come genitori NOSTRI. Il che poi di fatto può anche essere vero, cioè se per esempio io lascio che mia figlia dorma nel lettone quando vuole, è perché mi ricordo quanto schifo m’ha fatto essere lasciata sola e morta di paura nella mia stanza quando avevo la sua età, e mia madre questo lo sa benissimo. (Vi prego, non cominciamo a discutere sul lettone! 😀 È solo per fare un esempio di differenze di metodo rispetto ai propri genitori!). Però per altre cose decido diversamente dai miei perché, diobono sono passati 35 anni e adesso si sanno un po’ più di cose no? Perché è così difficile per una nonna prendere un libro qualsiasi di puericultura pubblicato negli ultimi 10 anni, e mettersi al passo? Perché non sono curiosi, perché??? (scusate lo sfogo, ma le vacanze di Natale sono sempre un momento in cui la vicinanza fisica coi miei genitori è decisamente troppa per me 😀 )