Chiara di Yeni Belqis è la nostra prima blogger ospite per questo complicatissimo tema del mese. Spiegare ai bambini chi viene da un altro paese, chi appare diverso. Chiara non ha solo una competenza privata e personale per parlarci della multietnicità, ma anche una competenza professionale. Per questo è stata capace, in questo post, di offrirci un esempio di un metodo universale per parlare ai bambini: l’onestà.
Quando mi è stato chiesto da questo prestigioso sito di dare il mio contributo in qualità di esperta di vita incasinata, anche dal punto di vista multietnico (il mio compagno è curdo), ho immediatamente sentito il bisogno di fare una piccola premessa, che può essere utile anche per cogliere lo spirito dei miei interventi su queste tematiche. La parola chiave è, credo, “diversità”. La diversità esiste e ci mette in crisi, come persone e tanto più come genitori. Personalmente sono dell’opinione che il sostanziale fallimento degli slanci di educazione all’intercultura degli anni Novanta si debba attribuire in buona parte al fatto che si basava su un messaggio un po’ ingenuo e fondamentalmente falso, ovvero “alla fin fine, siamo tutti uguali”. No, non lo siamo. Non che questo sia necessariamente una tragedia, ma se si parte da questo assunto si parte male e si finirà col rimanere più o meno scottati. Uno dei cavalli di battaglia dell’intercultura a buon mercato è, ad esempio, la degustazione di piatti etnici. Ma è proprio vero che apprezzare i sapori degli altri è facile? No, solitamente non lo è. I sapori, il modo in cui li percepiamo, le sensazioni che vi associamo, vanno a braccetto con le emozioni, le sensazioni, le memorie. Se quindi l’assaggio resta un fatto isolato, fine a se stesso, è destinato probabilmente a fallire. Ma sto divagando.
Torniamo a noi genitori. Non riusciremo mai a raccontare ai nostri figli, per quanto piccoli, cose di cui noi per primi non siamo convinti. Questo per me è un assioma. Mi viene fiacca anche la storia di Babbo Natale, anche se poi mi lancio in cose ben più fantasiose perché ci credo (e per ci credo non intendo necessariamente “penso che esista nella realtà quotidiana”). La mia prima regola, che finora per la mia esperienza ha dato qualche frutto, è: “non cercare di affrontare la diversità in modo semplice”. Educare alla complessità può essere faticoso, ma ci può salvare dai vicoli ciechi del buono/cattivo, bello/brutto, bianco/nero.[quote]
Il tema dell’immigrazione, inutile illudersi, non possiamo fare a meno di affrontarlo. A meno che non viviate in una villa isolata, con i vostri figli educati da precettori e con servitù selezionata esclusivamente tra i vostri parenti più stretti, l’argomento vi si porrà prestissimo. Colori di pelle, forme di nasi, tagli di occhi. Lingue, suoni. La bella notizia è che è difficile che i vostri bambini colgano questa babele come problematica o minacciosa. Va da sé però che ne saranno incuriositi e vi chiederanno spiegazioni. Esattamente come si è detto per le visite culturali (un bambino non assocerà “museo” a “noia” se qualcuno non glielo suggerisce), per le diversità etniche e culturali vale lo stesso principio: il bambino non ne avrà timore se un adulto non gli suggerirà, in modo implicito o esplicito, che è bene averne.
Detto ciò, mi sento di darvi addirittura tre consigli.
1) Non fatevi cogliere impreparati. Cercare di riflettere, di capire cosa davvero pensate su questi temi. Non lasciatevi guidare solo dalla pancia. Per tutto ciò che consideriamo importante per i nostri figli, siamo soliti attivare anche la razionalità. Ci informiamo, ci documentiamo. Ponderiamo. La società multiculturale è un fatto ed è nostro dovere essere preparati. Cerchiamo di non essere superficiali, non facciamoci fregare dagli slogan. Facciamoci un’opinione documentata, prima di trovarci balbettanti davanti a una domanda ingenua dei nostri bambini. Comunque la pensiamo, è importante essere il più possibile sereni e sicuri. Il dubbio è concesso, ci mancherebbe. La parola “non lo so” non è un tabù (meglio se seguita da “cerchiamo di capirlo insieme”). Ma le occhiate imbarazzate, le reazioni scomposte, le battutine, le risatine cerchiamo di evitarle. Lavoriamoci su, possiamo fare di meglio.
2) L’adulto che suggerisce associazioni improprie, timori, o ancor peggio atteggiamenti denigratori o violenti verso la diversità non è affatto detto che siate voi. Non sottovalutate nonni, zii, tate e persino insegnanti. I bambini sono delle spugne. Se sentite il bambino ripetere cose che non sembrano farina del suo sacco, approfondite. Parlatene serenamente, se necessario tornate sull’argomento. Non abdicate al “tanto va così”.
3) Ancora una volta, a costo di apparirvi pedante: non barate. Le bugie hanno le gambe corte. Vi faccio un esempio dalla mia esperienza personale. Meryem, anche per il fatto di avere un padre straniero (curdo/turco), si è sempre dimostrata assolutamente serena sul tema. “Che lingua parla?” è una domanda per lei consueta, che riflette peraltro una curiosità anche mia di cercare di decifrare l’origine di passanti, compagni di viaggio o conoscenze occasionali. C’è un solo tema su cui mia figlia, a intervalli regolari, mi dà il tormento: gli zingari. Da un lato certamente concorrono gli insegnamenti della tata e delle sue amiche in merito ai presunti rapimenti di bambini da parte delle donne Rom, un pregiudizio antico, noto, ma comunque duro a morire. Ma io sono anche consapevole che il tema zingari si porta appresso anche altre altre tematiche su cui ho titubato e spesso titubo ancora, in primis la questione dell’elemosina e, più ancora, dei borseggi. Per quanto ritenga e sia davvero convinta che sia indebita e impropria l’associazione zingaro=ladro, evidentemente i miei distinguo non sono parsi convincenti alla bambina, forse perché non lo erano. Che fare? Niente di particolare, cerco di essere onesta, anche nel vedere i miei limiti. Magari prima o poi Meryem avrà un’amica Rom o Sinti e l’esperienza diretta provvederà a correggere i miei balbettii.
Troppo bello questo post!!! Nel mio piccolo vivo in un quartiere dove la presenza degli stranieri è piuttosto importante ed emerge nei piccoli parchi dove tanti bambini giocano insieme. Alcuni non parlano ancora perfettamente l’italiano ma la convivenza c’è ed è molto bella, non parlo solo dei bambini che necessariamente si contendono i giochi ma dei sorrisi di complicità che ci scambiamo fra genitori, sarà perché abbiamo tutti a che fare con bimbi piccoli e verso le neomamme e i cuccioli in generale c’è grande rispetto – per fortuna. Mi sento bene vedendo la Stellina che si rivolge con naturalezza a bambini neri, mulatti o con gli occhi a mandorla. Poi verrà il tempo delle spiegazioni e farò tesoro di questi tre preziosi consigli. Grazie.
complimenti. Io mi chiamo Lucia, sono una insegnante di sostegno e mamma di due bambine. Non è facile rispondere alle domande. Io dico che le persone con disabilità sono persone speciali e che anche loro sono felici, ma che lo dimostrano in altro modo, diverso da noi, non sempre col sorriso.