Siamo tutti fenomeni

Nè l’involucro, nè l’oggetto è il bello, ma l’oggetto nel suo involucro. (Walter Benjamin)

ThomasQuinnCredo che quella tra essere e apparire sia una falsa contrapposizione. E’ però una contrapposizione proverbiale, che ha generato nei secoli un arsenale retorico dei più formidabili, producendo una massa di luoghi comuni davvero notevole – e molto interessante.

L’essere sarebbe l’essenza, la cosa importante, la cosa vera, anzi la verità; ciò che è più genuino, sincero, puro; la natura più profonda, pulsante di energia vitale; ciò che non può ingannare né essere nascosto troppo a lungo; l’essere è irresistibile richiamo alle proprie origini, alle proprie caratteristiche naturali e fondamentali, fondanti; l’essere è affidabile, unico.

L’apparire sarebbe il contrario e l’intorno all’essere, ciò che sta in superficie e nasconde, copre, cela, inganna; arriva per primo e perciò non è vero, o comunque non sempre e non del tutto; le cose appaiono in modi diversi, mutevoli, non fissi; l’apparire è falso, morto o comunque vive poco, non è vero; sull’apparenza non si può costruire niente, non è affidabile, è inutile; apparire dura poco, porta vantaggi effimeri; l’apparenza non è sostanza.

Non ci credo neanche un po’. Credo invece che questa contrapposizione sia solo una costruzione mentale, astratta, per giustificare tutta una serie di costruzioni teoriche e ipotesi che ci facciamo sul mondo, con l’intento di rendere più facile il nostro abituale vivere tra le cose e le persone – credo ottenendo l’effetto contrario. Per quello che percepisco io, l’insieme di sensibilità e linguaggio che io sono si muove in un mondo di fenomeni, e io sono – per gli altri sensibili – fenomeno a mia volta. Apparire ed essere si danno insieme nei fenomeni, e non mi sento autorizzato a separare questi due aspetti in tutto ciò che entra nella mia sensibilità e nel mio linguaggio: il mare del Salento, il Colosseo illuminato, i desideri di mio figlio, l’ansia per il mutuo, il volto di chi amo, il concetto di “politica”, il mio romanzo preferito, la mia macchina, le parole di un amico. Sulla base di cosa, poi, separare quello che sarebbe “l’essere” e quello che sarebbe “l’apparire” di tutto ciò? A me pare evidente che, se non ho l’uno, non avrò neanche l’altro.

Quando uno dei miei figli fa un gesto maleducato, non sta attento a quello che gli diciamo oppure fa una delle cose che gli sono vietate, io so che lui non “è” un bambino iroso e insensibile, ma che ora “appare” così. Questo però non incide sul fatto che quel comportamento, in quel momento, è del tutto fuori luogo, e questo gli va detto in modo che ne faccia tesoro per la prossima volta, e tenendo conto di quante altre volte lo ha già fatto.

Arrivo da una giornata nera, stanco, deluso e amareggiato, e mia moglie appena entro mi accoglie sorridendo raccontando che la cosa più bella che poteva succederle è successa – al che reagisco con un breve e indifferente grugnito. Passerò ore a spiegarle ciò che certamente lei sa – che non “sono” indifferente e insensibile ma “apparivo” indifferente e insensibile per via delle mille cose successe. Intanto lei c’è rimasta di merda lo stesso, e la mia spiegazione non basterà.

Quando il mio amico mi telefona ricordandomi l’appuntamento importante che le sue parole mi aiutano a realizzare di aver completamente dimenticato, sono certo che lui non crede che io “sia” un cretino che non ha preso a cuore la cosa; ma stavolta sono “apparso” proprio il certino che lui non vorrebbe avere per amico. Il risultato è comunque lo stesso – non potrò essergli vicino.

Mio figlio combina l’ennesimo pasticcio, io alzo la voce e lui si spaventa. Poi potrò dirgli quante volte voglio che non “sono” brutto e cattivo  ma che “apparivo” brutto e cattivo. Lui lo spavento se l’è preso, e se lo ricorderà probabilmente più del mio ammonimento. Anzi, se li ricorderà insieme, e molto probabilmente quando toccherà a lui esprimersi userà lo stesso metodo – per colpa mia.

Credo che le espressioni di sé siano anche la nostra essenza, esattamente come qualunque cosa sia la nostra essenza non potrà mai darsi al di fuori di un’apparenza. Sono stato padre sia quella volta che ho fatto un gesto del quale ancora mi pento, che quell’altra nella quale mi sono guadagnato un’esplosione di gioia dei miei figli; non mi chiedo quale sia la mia “vera” essenza, perché lo sono entrambe, anche se non mi piace. Le persone cambiano – a volte in meglio, a volte in peggio – perché crescono, fanno esperienze, prendono decisioni, seguono dei modelli, e tutto ciò che abbiamo per gestire i nostri sentimenti e comportamenti nei loro confronti sono i nostri sensi e il nostro linguaggio – essenziali ed apparenti insieme. Come lo sono loro: fenomeni.

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18 thoughts on “Siamo tutti fenomeni”

  1. Ho capito bene Lorenzo che non c’è nessun processo in corso, mica siamo a #serviziopubblico 😛 Sul serio mi interessava il concetto di fondo: se avverto un malessere perché ho la sensazione di “tradirmi”, non vuol dire che la mia faccia non corrisponde a quello che ho nella testa?

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  2. Scusa CloseTheDoor, e come altro la vuoi mettere? Sei una persona che mente a se stessa. Anche perché, se sei arrivato a quella sensazione, hai sorpassato il problema del “renderti conto”. Poi puoi pure capire “percome e perché”, rimane il fatto che… sei una persona disposta a chiudere ben più di un occhio sui tuoi comportamenti. Oh, mica è reato. Basta poi assumersene la responsabilità; se no, sei pure uno che non si assume le sue responsabilità 😀
    Mi pare anche una risposta plausibile per Vittore. Separare essere e apparire è comodissimo quando non vuoi assumerti responsabilità, o quando vuoi attribuirti meriti.
    P.S. Si chiacchiera eh, sono un filosofo, non faccio processi a nessuno, per carità.

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  3. E’ un post interessante davvero. Io sono una che vive sul l’idea di quello che gli altri possono pensare se faccio una cosa piuttosto che un’altra. A volte faccio una cosa proprio per evitare che, se non la faccio, qualcuno ci possa rimanere male o possa dire che sono una stronza, e così via. Così si mischia senza un confine preciso quello che realmente voglio fare da quello che faccio ma non ho nessuna voglia di fare. Ma per tornare al tema, concordo che non ha senso contrapporre l’essere dall’apparire. Se anche faccio una cosa e non ne ho per niente voglia, sono sempre io quella, non è apparenza ma una parte di me anche quella.

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  4. … mi chiedo e vi chiedo: se per interesse, per contingenze, per vanagloria, per omologazione, per dispetto, per pigrizia in certi frangenti “recito”, interpreto una parte, appaio o sono quella parte? Sono io che decido di apparire così o sono così?
    Oppure: se di fronte a qualcuno che tratterei a pesci in faccia faccio il gentile perchè mi interessa in quel momento ottenere qualcosa da lui sono “stronzo” perchè appaio gentile o sono gentile a prescindere dal mio opportunismo?
    … essere e apparire sono così indivisibili?
    aiutatemi a sciogliereil nodo pratico e teoretico

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  5. se io decido, coscientemente e nel pieno possesso delle mie facolta’ mentali (non sotto droghe pesanti), di comportarmi in maniera x, quella persona che si comporta nella maniera x, SONO io. Si puo’ dire che non mi comporto nella maniera x tutte le volte, che ci sono stati fattori (un’incazzatura?) che hanno contribuito alla mia decisione/inclinazione di comportarmi in maniera x, che non mi risulta facile/naturale/comodo comportarmi in maniera x, ma quella sono io sempre e comunque.

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  6. … credo (come sostiene el_gae) che siamo un po’ e un po’. Quando sono scortese con mia moglie o mi arrabbio con i piccoli, sono anche quello lì. Purtroppo quello che viene visto in quel momento è quanto ho fatto, che in fondo è una parte di chi sono, inutile negarlo a me stesso… anche se poi generalmente sono il contrario… a meno che come annota supermambana ci sia premeditazione nell’apparire. Ma in quel caso si sceglie di mostrare un volto diverso da quello che si ha, o si decide di dissimulare atteggiamenti non rispondenti alla realtà. In questo secondo caso però si deve essere bravi perché l’essere, secondo me, non lo si nasconde del tutto.

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  7. Barbara, mi sono espresso male: non intendevo dire che quella frase dice qualcosa di te, ma che dice qualcosa di quello che tu percepisci – mentre io non credo che serva un meccanismo che dica “…in realtà…”. La realtà è esattamente quella che si sente – non c’è un ‘dietro’, al massimo c’è un ‘altrove’. Allora la domanda è: perché, qui ed ora, quella persona è e appare così, mentre altrove e in altro momento è e appare diversa? Per me è una domanda più interessante rispetto a “perché quella persona è in un modo e appare in un altro”. In questo caso cerco valori assoluti, ai quali non sono affatto sicuro di arrivare, né che rimarranno tali a lungo; nel primo caso invece inserisco me e quella persona in un tessuto di relazioni – come forse è più giusto che sia.

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  8. @Lorenzo, hahahahahahahaha!! Ti assicuro di no. Ti assicuro. Anzi, le persone a me più vicine continuano a dirmi di cercare almeno di apparire un pò più donna, se proprio non lo sono. Ma sto troppo bene nella mia pelle, almeno in questo ambito. Forse sono troppo debole per mantenere una facciata, ma proprio no.

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  9. Grazie a tutti per i complimenti 🙂
    @el_gae: magari fosse sottile, quella linea…
    @Mammamsterdam: dovrai aspettare che il tema del mese sia “bicipiti turgidi”. Ma llora misa che non sarà più “Genitori Crescono” 😀
    @supermambanana: hai ragione, sia sugli esempi che sulla strategia.
    @CloseTheDoor: hai messo insieme due questioni da niente: “non lo so nemmeno io che cos’è ‘da me'” e “trovare un modo di descrivere una persona senza ingabbiarla”. L’ultimo secolo di letteratura c’ha venduto un sacco 😀
    @Barbara: per come la vedo io, quando dici “appare sicura di sé e della sua bellezza”, stai dicendo qualcosa di te, non di lei 🙂

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  10. Io penso di avere un concetto di apparenza un pò diverso. Che non si basa sugli episodi, ma su comportamenti stabili. Caso classico, quello che attacca apparendo violento e irascibile ma che lo fa perchè ha paura, quindi è un fifone ma appare un coraggioso attaccante. Oppure l’altro stereotipo: la donna insicura che si trucca pesantemente, si veste vistosamente e si atteggia a vamp ma in realtà è insicura e convinta di essere una racchia che ha bisogno di sovrastrutture pesanti per cambiare la sua immagine. Appare sicura di sè e della sua bellezza e invece… ecco, per me l’apparire è questo.

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  11. Post bellissimo Lorenzo, merita una lunga riflessione. Io da un po’ la metto così: passi una figura da insensibile, inaffidabile, maleducato ecc., insomma da stronzo. Capita a tutti. Ma quando uno la fa cinque, sei, sette volte, _forse_ è veramente stronzo. Oppure ha scelto un modo sbagliato di essere e di relazionarsi. Magari senza saperlo, penso proprio alla sgridata terrorizzante che fa apparire la mamma una strega e il papà un orco, è quando la cosa si ripete costantemente che interiorizzi quell’immagine. Oppure perché è una cosa indotta, le famose etichette da cui non ti liberi. Per esempio per un periodo ho iniziato a sentirmi stretta l’etichetta di “buona”, anche se è una bella etichetta, ma in determinate circostanze restringe il campo dei tuoi comportamenti che non sono “da te”. Ma se non lo so nemmeno io che cos’è “da me”? Insomma per dirla tutta, quando la vicina di casa da cui ho traslocato mi ha detto che le dispiaceva vedermi andare via perché ero tanto buona, pensando alla fatica che mi è costata darle una delusione (perfino a lei), ho pensato “Cheppalle. Io vorrei solo essere anche cattiva”. Mi piacerebbe trovare un modo di descrivere una persona senza ingabbiarla. Chissà se è possibile.

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  12. non posso non notare che fai tutti esempi al negativo 🙂 proviamo a giocare al contrario. Quando una persona che proprio non sopporto mi chiede qualcosa e io rispondo cortesemente e anche con un gran sorrisone, lei “crede” che io la trovi simpatica. Potrei provare a spiegarle per ore che in realta’ no, la detesto… solo che non lo faccio, e magari a furia di avere interazioni gentili con lei scopro che, oh, e’ simpatica dopotutto. Oppure, quando mi impongo di fare una cosa per bene anche se proprio proprio non mi va, gli altri “credono” che io sia stata diligente e dedicata alla causa… io potrei dire che ho odiato ogni secondo in cui la facevo, ma se persevero, magari divento diligente davvero. Per dire che alle volte lo sforzarsi di apparire puo’ essere una cosciente strategia per imparare a essere 🙂

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  13. Però bisogna saper stare in equilibrio in quella sottile linea che ci può far considerare (a noi stessi e agli altri) un po’ e un po’ (buoni-cattivi, cretini-intelligenti, affidabili-inaffidabili, empatici-indifferenti).
    Perchè a me, gli amici che mi tirano pacchi con frequenza smettono di apparirmi come inaffidabili e diventano proprio inaffidabili.
    Lo stesso per i figli. Finchè mi scappa di arrabbiarmi ed alzare la voce e spaventarli e poi mi pento e riesco anche ad essere buono e coccoloso e divertente e, soprattutto, severo senza essere cattivo va bene… ma se la voce alta e la minaccia diventano la regola cosa gli racconterò quando saranno grandi, se saranno ancora lì ad ascoltarmi?
    Bel pezzo, come sempre… che te lo dico a fa? 😉

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