Nè l’involucro, nè l’oggetto è il bello, ma l’oggetto nel suo involucro. (Walter Benjamin)
Credo che quella tra essere e apparire sia una falsa contrapposizione. E’ però una contrapposizione proverbiale, che ha generato nei secoli un arsenale retorico dei più formidabili, producendo una massa di luoghi comuni davvero notevole – e molto interessante.
L’essere sarebbe l’essenza, la cosa importante, la cosa vera, anzi la verità; ciò che è più genuino, sincero, puro; la natura più profonda, pulsante di energia vitale; ciò che non può ingannare né essere nascosto troppo a lungo; l’essere è irresistibile richiamo alle proprie origini, alle proprie caratteristiche naturali e fondamentali, fondanti; l’essere è affidabile, unico.
L’apparire sarebbe il contrario e l’intorno all’essere, ciò che sta in superficie e nasconde, copre, cela, inganna; arriva per primo e perciò non è vero, o comunque non sempre e non del tutto; le cose appaiono in modi diversi, mutevoli, non fissi; l’apparire è falso, morto o comunque vive poco, non è vero; sull’apparenza non si può costruire niente, non è affidabile, è inutile; apparire dura poco, porta vantaggi effimeri; l’apparenza non è sostanza.
Non ci credo neanche un po’. Credo invece che questa contrapposizione sia solo una costruzione mentale, astratta, per giustificare tutta una serie di costruzioni teoriche e ipotesi che ci facciamo sul mondo, con l’intento di rendere più facile il nostro abituale vivere tra le cose e le persone – credo ottenendo l’effetto contrario. Per quello che percepisco io, l’insieme di sensibilità e linguaggio che io sono si muove in un mondo di fenomeni, e io sono – per gli altri sensibili – fenomeno a mia volta. Apparire ed essere si danno insieme nei fenomeni, e non mi sento autorizzato a separare questi due aspetti in tutto ciò che entra nella mia sensibilità e nel mio linguaggio: il mare del Salento, il Colosseo illuminato, i desideri di mio figlio, l’ansia per il mutuo, il volto di chi amo, il concetto di “politica”, il mio romanzo preferito, la mia macchina, le parole di un amico. Sulla base di cosa, poi, separare quello che sarebbe “l’essere” e quello che sarebbe “l’apparire” di tutto ciò? A me pare evidente che, se non ho l’uno, non avrò neanche l’altro.
Quando uno dei miei figli fa un gesto maleducato, non sta attento a quello che gli diciamo oppure fa una delle cose che gli sono vietate, io so che lui non “è” un bambino iroso e insensibile, ma che ora “appare” così. Questo però non incide sul fatto che quel comportamento, in quel momento, è del tutto fuori luogo, e questo gli va detto in modo che ne faccia tesoro per la prossima volta, e tenendo conto di quante altre volte lo ha già fatto.
Arrivo da una giornata nera, stanco, deluso e amareggiato, e mia moglie appena entro mi accoglie sorridendo raccontando che la cosa più bella che poteva succederle è successa – al che reagisco con un breve e indifferente grugnito. Passerò ore a spiegarle ciò che certamente lei sa – che non “sono” indifferente e insensibile ma “apparivo” indifferente e insensibile per via delle mille cose successe. Intanto lei c’è rimasta di merda lo stesso, e la mia spiegazione non basterà.
Quando il mio amico mi telefona ricordandomi l’appuntamento importante che le sue parole mi aiutano a realizzare di aver completamente dimenticato, sono certo che lui non crede che io “sia” un cretino che non ha preso a cuore la cosa; ma stavolta sono “apparso” proprio il certino che lui non vorrebbe avere per amico. Il risultato è comunque lo stesso – non potrò essergli vicino.
Mio figlio combina l’ennesimo pasticcio, io alzo la voce e lui si spaventa. Poi potrò dirgli quante volte voglio che non “sono” brutto e cattivo ma che “apparivo” brutto e cattivo. Lui lo spavento se l’è preso, e se lo ricorderà probabilmente più del mio ammonimento. Anzi, se li ricorderà insieme, e molto probabilmente quando toccherà a lui esprimersi userà lo stesso metodo – per colpa mia.
Credo che le espressioni di sé siano anche la nostra essenza, esattamente come qualunque cosa sia la nostra essenza non potrà mai darsi al di fuori di un’apparenza. Sono stato padre sia quella volta che ho fatto un gesto del quale ancora mi pento, che quell’altra nella quale mi sono guadagnato un’esplosione di gioia dei miei figli; non mi chiedo quale sia la mia “vera” essenza, perché lo sono entrambe, anche se non mi piace. Le persone cambiano – a volte in meglio, a volte in peggio – perché crescono, fanno esperienze, prendono decisioni, seguono dei modelli, e tutto ciò che abbiamo per gestire i nostri sentimenti e comportamenti nei loro confronti sono i nostri sensi e il nostro linguaggio – essenziali ed apparenti insieme. Come lo sono loro: fenomeni.
Grazie davvero Lorenzo, è una prospettiva molto interessante e credo anche molto vicina alla realtà.
Non ho commentato fino ad ora per riflettere bene, perchè questo post offre davvero molti spunti. Concordo pienamente con Lorenzo sul fatto che quando si parla del nostro modo di relazionarsi agli altri si parla della nostra identità punto. Dividere le due cose è un falso problema e spesso un alibi. Quando dici “Sono stato padre sia quella volta che ho fatto un gesto del quale ancora mi pento, che quell’altra nella quale mi sono guadagnato un’esplosione di gioia dei miei figli; non mi chiedo quale sia la mia “vera” essenza, perché lo sono entrambe, anche se non mi piace”, dici qualcosa di molto vero, per me. Io non sono sempre quella che vorrei essere con i miei figli (ma anche con gli altri naturalmente) e questo non mi piace. Attraverso questa sensazione talvolta anche bruttissma di essere qualcosa che non mi piace e cerco altre vie, faccio altre scelte per essere o diventare qualcosa che mi piace di più. In tutta questa dissociazione si perde il senso dell’integrità di ogni individuo e del fatto che ogni nostro gesto, parola, pensiero ci descrive e in definitiva ci corrisponde. E questa è una enorme responsabilità soprattutto rispetto ai nostri figli (ma anche verso noi stessi probabilmente e verso gli altri in genere).
Mah, credo di sì, ma la mia ipotesi è: siamo sicuri che dividersi in “faccia” e “testa” aiuti a risolvere la situazione? Parli di “malessere” – quindi di corpo. La cosa che “sta male” è una: tu. Che hai la faccia, la testa, e un sacco di altre cose – forse ci sono anche loro che reclamano attenzioni, ma in quanto parti di un tutto.
Io la vedo così: se una parte di me non corrisponde alle altre è tutto me che non funziona bene. Allora penso sia meglio occuparsi di questo tutto. Se una parte di me è “falsa”, temo che inevitabilmente sarà falso pure tutto il resto; e poi non posso sapere “dove” è il problema, se continuo a dividermi in parti che sarebbero autonome. Magari quello che succede alla “faccia” è causato da qualcosa che non va al “cuore”, e se mi divido tutto in pezzi, come me la cavo?
Idee ed espressioni, intenzioni e comportamenti, sentimenti e rapporti, noi li distinguiamo linguisticamente per parlarne, ma nei fatti gli altri hanno a disposizione solo i secondi per arrivare ai primi. E bisognerebbe ricordarcene, credo, pure quando ci guardiamo allo specchio.