Non so scegliere quale ruolo educativo “altro” mi abbia costretto a crescere di più o messo più a dura prova: fare l’insegnante di supporto per adolescenti, la zia, la formatrice di gruppi di giovani, la consulente di progetti per associazioni ed enti o l’animatrice di gruppi…. Pensare alle varie esperienze attraversate mi ha fatto però rintracciare un filo rosso in comune a tutte. Per questo, se dovessi concentrare in una parola la mia comprensione dei processi educativi sarebbe “consapevolezza”, che esplorerei lungo tre direzioni.
La prima direzione che prende la consapevolezza è all’interno di me stessa
Perché non riesco a concepire il senso profondo del verbo “educare”, se non l’ho attraversato e vissuto io per prima con me stessa: quindi, per prima cosa via alla mia consapevolezza di aver avuto (e avere ancora, perché sogni e progetti non finiscono mai) tanti semi da far germogliare, crescere, nutrire, condurre e accompagnare a fiorire e sbocciare … “educati”.
L’educazione, la capacità di educare, parte, per mia esperienza, dalla capacità di dirsi e di gioire della possibilità che ci si è dati di evolvere, crescere, maturare, uscire dai soliti schemi per trovare modi nuovi di fare le cose, e scoprire così una voce in più nella nostra identità più profonda.
La seconda direzione della consapevolezza nell’educare è verso l’altro
L’esperienza da genitore si è rivelata una palestra di consapevolezza fondamentale e illuminante. Da genitore, infatti, è evidente e ti viene quotidianamente rimarcato come i tuoi figli non imparino da ciò che dici ma da ciò che fai: imporre o anche solo proporre esperienze, regole o abitudini “perché fanno bene” o “perché vanno fatte” non è possibile, vengono sottoposte dall’interrogativo pratico se tu stessa ci credi, le applichi e in che misura. Posso amarti e desiderare che tu faccia quella particolar cosa che fa bene ed è molto sana, ma solo se sarò capace di amarmi e farla io per prima che anche tu potrai provare il desiderio di farla.
Un’ottima cartina a tornasole, insomma, per capire che cosa è davvero importante fare, avere o essere e, nel caso, ritornare al punto uno, e auto-educarsi.
La terza direzione della consapevolezza è quella di abbracciare anche tutte le altre relazioni che ci coinvolgono e circondano
Educare risuona in me in innumerevoli ruoli, che si arricchiscono e interrogano reciprocamente.
Nelle relazioni al di fuori del rapporto genitoriale, l’intensità del legame può essere molto meno bruciante di quella che ho con i miei figli, per cui vivo innanzitutto la libertà di partecipare, a questo processo educativo, oppure no, distanziandomi. Partecipando, generalmente accadono due cose.
Posso scoprire in me un maggior distacco rispetto a quello che vivo con i miei figli, scoprendo in me una capacità di empatia e di partecipazione che va al di là della proiezione, l’intuizione a riconoscere sinceramente il potenziale dell’altro, come una profonda capacità di “educare” che è far fiorire i semi presenti nell’altro.
Oppure, in segno opposto, in questa relazione stretta-ma-non-troppo posso ritrovarmi a percepire, senza strani sensi di colpa, quel fastidio nei confronti dei difetti dell’altro che mi racconta qualcosa di irrisolto dentro di me e mi obbliga a ripartire per riflettere lungo la direzione della mia consapevolezza interiore.
Quando posso, giocarmi in diversi ruoli educativi è un’occasione irripetibile e unica di approfondire chi sono nel profondo ma soprattutto chi ho il potere di essere e divenire e chissà, forse anche grazie agli interrogativi e le difficoltà dell’altro a scoprirmi capace di ripartire con nuove scommesse.