– Scusa Vikingo ma mi spieghi perchè all’asilo non giochi con I. Mi sembra una bambina simpatica e dinamica, perché giochi sempre con A.?
– Non lo so perché
– Ma a cosa gioca I. normalmente?
– Lei gioca sempre a, come si chiama? “mamma-pappa-barn”!
– Gioca a mamma, papà e bambini?
– Si, e a me non piace. Voglio giocare con A. ad Harry Pottar!
– Ma come non ti piace Vikingo? Eppure a volte chiedi di giocare proprio a questo anche a casa, quando vuoi fare il bimbo piccolo e vuoi che papà ti prende in braccio, oppure quando vuoi fare il papà e il tuo pinguino è il figlio.
– Ah, si è vero! Però non voglio giocare a mamma-pappa-barn con I.
Ok, pace, si vede che I. non gli sta simpatica per qualche oscuro motivo. Però dico, l’avete notato anche voi? Io all’inizio non ci ho fatto molto caso, ma poi, bang, mi ha colpito come un caffé amaro a colazione: i bambini svedesi non giocano a “mamma e figlia”, giocano a “mamma, papà e bambini”. Notevole eh? A pensarci bene, perché no. Alla fine visto che anche il papà svedese mediamente si prende cura dei figli quasi quanto la mamma (che alla parità non ci sono arrivati nemmeno loro), mi sembra anche giusto che il gioco dell’accudimento includa anche i papà.
Anche perché una cosa dobbiamo mettercela in testa: i bimbi ascoltano quello che diciamo, ma fanno quello che facciamo. E allora è inutile dirgli che maschio o femmina possono fare le stesse cose se solo volessero, esclusi ovviamente gli impedimenti fisiologici quali rimanere incinta, allattare al seno e fare pipì in piedi senza bagnarsi i pantaloni (uhm, su quest’ultimo ho anche dei dubbi a dire il vero). Insomma, se a casa è sempre la mamma che cucina, lava e stira e sempre il papà che usa il trapano, pianta chiodi e guida la macchina c’è ben poco da dire. E ajvoglia a raccontare storie di bambine coraggiose, e vai con le favole di maschietti sensibili, e dagli contro la divisione rosa e blu per i vestiti. Per quanto possiamo impegnarci, il messaggio più forte resta quello del nostro esempio.
Qualche tempo fa quando sopraffatta dalla stanchezza mi sono rifiutata di arrampicarmi sull’albero con il Vikingo sono stata redarguita dal marito con una di quelle frasi che mi ha fatto andare su tutte le furie: “forza dai datti una mossa. Ti devi mettere in testa che hai due figli maschi!” Credo di averlo fulminato con lo sguardo, e lui ha immediatamente chiesto scusa e fatto il mea culpa.
Poi però ho fatto un po’ di autoanalisi.
Perché è vero che io con l’età sono diventata un tipo un po’ più posato. La bambina che si arrampicava, correva, e non si tirava indietro se c’era da menare le mani con i maschi, si è trasformata in una mamma che se ne sta volentieri sulla panchina a leggere un libro lasciando al padre il compito di seguire il Vikingo nelle sue manifestazioni atletiche. Saranno gli acciacchi dell’età, la mollezza delle membra dopo un paio di gravidanze, o semplicemente sono stata colpita da una profonda pigrizia o eterna stanchezza. Ma a me di correre e arrampicarmi non mi va proprio, e visto che il padre invece non vede l’ora, allora mi godo la mia staticità con buona coscienza, e non ci penso più.
Eppure quando GG mi ha lanciato quella frase li sono stata colta da un dubbio. Ma non è che i miei figli invece si fanno incantare da questa divisione di ruolo e arrivano a pensare mamma statica – papà dinamico, quindi donna statica – uomo dinamico?
Stesso discorso è capitato in un altro ambito in cui la pigrizia ha preso il sopravvento. Quello della guida. Io infatti odio guidare. Sto tanto bene sul sedile del passeggero a fare le mie chiacciere e i miei giochini con i figli, e non ho nessunissima voglia di mettermi al volante. Fortunatamente a Stoccolma non abbiamo la macchina, ma ogni viaggio in Italia delego volentieri la guida a GG. Finché un giorno, quando non so più per quale motivo mi sono messa al volante io, il Vikingo si è messo a ridere: “Ah ah ah! Ma tu mamma no poi guidare! Solo papà pò guidare!”
E allora permettetemi di mettere le cose in chiaro con mio figlio.
No, caro Vikingo, io so guidare. Io so anche usare il trapano, so cosa è un carburatore, so attaccare quadri ai muri, so maneggiare una sega, costruire solidissime capanne di legno, e sono perfettamente in grado di arrampicarmi sugli alberi. E’ solo che sono colta da pigrizia estremis, una malattia che colpisce le mamme stanche, ed è per questo che mi metto più volentieri a fare un puzzle con te, o a disegnare. Ti dico la verità che non ho nemmeno troppa voglia di cucinare, lavare e stirare, e infatti come avrai notato a casa nostra si cucina a turno e si lava a turno, e non stira nessuno. Però caro Vikingo, per essere certa di non confonderti, ti prometto che da oggi mi impegnerò, magari non tutti i giorni, ma ogni tanto a mettermi io al volante, per farti vedere che è una cosa che mamma se vuole può fare tanto quanto papà. Che la divisione dei compiti in base alla proprie preferenze è una cosa, ma non è un problema di poter o non poter fare. Non è un problema di uomini o donne. Perché usare un trapano è una cosa talmente semplice che sono capaci proprio tutti.
PS. La mia collega al lavoro V., che ha due figli con un’altra donna, mi comunica che i suoi invece giocano a “mamma-mamma-barn”! 😉
Mah, Massimiliano, io non riesco a trarre tutte queste conseguenze negative dalla rivoluzione sessuale avvenuta in Occidente. E’ un discorso aleatorio, si potrebbe ripetere tale e quale accusando di tutti i disagi invece, che so, la rivoluzione industriale, o il capitalismo ed il consumismo di massa che sono anche quelli partiti qui ad ovest. Non ce la faccio neanche a replicare a tutta la serie di distinzioni che fai tra quello che appartiene all’uomo e quello che appartiene alla donnna (tu dici che la realtà è semplicemente così, io non ritrovo tale semplicità).
Replico solo ad una tua frase: ” i padri in famiglia non hanno piu’ il ruolo di educare alla vita sociale”. E non lo hanno più perché, per fortuna dico io, anche le donne sono entrate a far parte della vita sociale! Della vita produttiva, della vita politica, della vita della comunità umana a tutto tondo! E quindi il ruolo, prima univoco, ora si può condividere.
Concordo con Massimiliano su tutta la linea, con gli ovvi limiti dovuti alla brevità di esposizione.
@Lorenza: guarda che anche io sono vittima di stereotipi, quando le mamme mi chiamano “mammo” perchè sono stato a casa in paternità.
Allora chiarisco: la questione del disagio psicologico e sociale, cioe’ dell’alta incidenza dei suicidi, dell’alcolismo, ecc., non e’ riferita tanto alla Svezia quanto all’intera societa’ occidentale che ha conosciuto la “rivoluzione sessuale” e il mito della perfetta uguaglianza di genere.
La Svezia passa per essere stato un Paese all’avanguardia in tale senso, ma se cominciamo a confrontare le statistiche dovremmo tenere conto anche di altri fattori che possono generare disagio e devianza, e quindi il discorso diventerebbe molto complesso.
Io mi limito a parlare degli “stereotipi di genere”, specie rispetto all’educazione dei figli, che mi sembrano essere il tema della discussione.
La realta’ e’, molto semplicemente, che maschi e femmine hanno modi diversi di relazionarsi con gli altri e interagire con il mondo: i maschi tendono a essere “lineari”, a fare prevalere le soluzioni pratiche, a ragionare in modo deduttivo, a dare meno spazio alle implicazioni sentimentali, a voler “trasformare” il mondo piuttosto che comprenderlo.
Le femmine tendono a essere piu’ “circolari”, a cogliere meglio le connessioni, a ragionare piu’ in modo intuitivo, a dare maggiore importanza alle relazioni personali, ai sentimenti, all’ordine, a voler “difendere” il proprio mondo relazionale e affettivo piuttosto che trasformarlo.
Non cominciate a dirmi che voi non siete cosi’, e a trovare le eccezioni: lo so anch’io che esistono le eccezioni, ma io sto parlando del caso generale.
Questo spiega perche’ i bambini tendano a apprendere piu’ con il gioco, e le femmine con la parola; perche’ i ragazzini – se stanno insieme – tendono a organizzarsi in modo pratico (si organizzano per bande, cominciano a gareggiare, formano associazioni che in senso lato hanno obiettivi “politici”), mentre le ragazzine sono piu’ portate alla conversazione, alla cura di se stesse e dei propri cari, ecc…
E questo spiega perche’ in genere le madri tendano a essere piu’ protettive verso i figli, a difenderli anche quando hanno torto, mentre i padri sono piu’ portati a lasciarli fare, a voler che diventino autonomi.
Nell’educazione tradizionale questo comportava che le madri erano protettive e i padri “autoritari”.
Oggi questo avviene di meno perche’ si e’ meno portati a rispettare l’autorita’, e i padri in famiglia non hanno piu’ il ruolo di educare alla vita sociale: per farsi apprezzare devono mostrarsi collaborativi, disponibili, devono cambiare pannolini, lavare piatti, venire incontro alle esigenze pratiche delle loro donne.
Ma questo crea confusione e disagio, e fa si’ che le generazioni piu’ giovani siano completamente prive di educazione sentimentale: faticano a relazionarsi.
Gli uomini diventano molto piu’ facilmente degli “stalker”, e le donne molto piu’ facilmente arrivano a quarant’anni senza stabilita’ familiare e affettiva.
Senza contare i disagi psicosociali dei ragazzi cresciuti in nuclei familiari disgregati, perche’ privi della presenza paterna, e quindi privi della sua funzione educativa.
@Massimiliano, ancora una volta riporti delle classificazioni di genere, dividendo ad esempio i maschi in lineari e le femmine in circolari che non so proprio da dove le prendi. In ogni caso se anche fosse vero che i bambini maschi preferiscono il gioco e le femmine la parola in base a cosa pensi che questa sia una scelta spontanea e non condizionata dalla cultura diffusa? Mi dispiace, ma non sono d’accordo con quello che dici. Riporto ancora la Svezia ad esempio, perché quando la cultura diffusa è diversa, succede che la divisione dei giochi scelti dai bambini non sia più così evidente come la metti tu.
Un’altra precisazione che vorrei fare è che dici che da quando i padri si mettono a colaborare in casa, i figli si sentono confusi e che hanno difficoltà a relazionarsi. Nel post Intelligenza emotiva e il ruolo cruciale del padre discuto proprio il fatto che la partecipazione attiva dei padri all’educazione emotiva dei figli è una chiave per la loro crescita sociale. Un padre autoritario invece è dimostrato proprio che ha un’influenza negativa sullo sviluppo emotivo dei figli.
Al di la di questi tentativi di generalizzare, non hai ancora risposto alla mia domanda:
tu padre di 3 figli maschi, come ti comporteresti se uno dei tuoi figli volesse giocare ad infilare perline, o si mettesse a raccogliere fiori in un prato? Ti sentiresti in difficoltà come padre? Pensi che sarebbe meno maschio per questo motivo?
sarebbe interessante entire opinioni di mamme di diversa cultura ed etnia…
sono d’accordo con serena, la differenza tra i sessi dipende molto dall’influenza culturale, inteso sia come tradizioni familiari che immagine che dà la società, è anche vero che i padri italiani di adesso sono diversi da quelli di anni fa; allo stesso tempo sono d’accordo anche con mario, c’è qualcosa di innato, che porta i maschi a comportarsi in modo diverso dalle femmine anche se i genitori non hanno creato differenza di genere. Due anni fa ho letto un libro che parlava del diverso ruolo di mamma e papà, e appena torno a casa lo cerco in quella baraonda di libri che c’è a casa e vi scrivo il titolo. Quindi forse si potrebbe parlare di differenze di ruoli in senso lato, o astratto (nel senso che il papà non dovrebbe fare il mammo), e in questo senso di complementarietà dei ruoli, e dall’altro lato invece parlare di intercambiabilità tra maschio e femmina a seconda dei gusti e delle predisposizioni? non so se sono stata chiara
Se devo imparare dai bambini, beh, mia figlia è un maschio! 😉 Ha accettato le gonne solo per non mettere i jeans, per il resto tuta, ora sta diventando vanitosa ma per copiare le amiche, per il resto è un ariete (non nel senso del segno zodiacale) testa dura, energie a iosa, si arrampica, si rotola, gioca ai pirati, corre in bici come una pazza, ama i giochi fisici e sportivi (roller, bici, monopattino), non sta ferma, gioca con i bambolotti per farsi la classe ma mai con le bambole, non le ha mai né vestite né pettinate, non le interessano le macchinine ma i giochi neutri (colori, giochi di società, giochi all’aperto) e se può stare in campagna sparisce per ore!
Insomma, non è un esempio né di femmina né di maschio, è un esempio di persona libera!
E in ogni caso, mai data colpa ai papà, anzi, vedo tante mamme che si sostituiscono ai papà perché “io faccio meglio” o perché “tanto lui non li sa prendere”, e sicuramente è un errore (anche se papà, potreste pure provare a farvi valere, no? 😉 ). Insomma, nella famiglia dove i due ruoli non sono uguali secondo me la “colpa” è di entrambi, di chi si sottrae e dell’altro che non pretende collaborazione, o di chi si impone e dell’altro che non protesta.
Quella delle classi separate mi sembra, gentilmente, una cosa davvero fuori dal mondo, un esempio di come o uno o l’altro sesso sia inferiore. NOn mi sono mai sentita né inferiore né frustrata a stare in classe con maschi. E nemmeno mi sono mai sentita frustrata perché mio marito mi aiuta o perché vado a lavorare come un uomo.
Dopo di che, ribadisco che sono la prima a dire che maschi e femmine NON sono uguali, e che ignorarlo è dannoso, ma che la differenza debba essere tangibile e catalogata socialmente (maschi in una classe, femmine dall’altra, maschi con un ruolo, femmine con un altro) è davvero roba antica. Maschi e femmine laveranno i piatti in modo diverso, ma possono farlo entrambi. Mio marito è molto più pignolo, e quindi lento ma preciso, nei lavori, io molto più sbrigativa (faccio le cose con più superficialità ma riesco a fare sempre tutto). Sono modi diversi di fare le cose, ma possiamo fare le stesse cose. Mi sono scappati solo un paio di “lascia lì, faccio io” a mio marito quando non faceva come me, e lui è sbottato con un: “oh, sono mica cretino (si può scrivere?) posso farlo benissimo, anche se non è uguale a te, a me piace di più così!”.
Sante parole!
Penso anch’io che ci sia una nuova generazione di uomini e padri molto diversa per esempio dai modelli di uomo e di padre che abbiamo avuto noi, per esempio, bambine (cattive!) degli anni 70. Ferme restando le considerazioni che si sono fatte fin qui sulla necessità di concentrarsi sulla prevalenza della diversità individuale rispetto a quella di genere, sulla divisione delle competenze in base alle inclinazioni e gusti personali ecc.,sulla necessità di superare certi stereotipi ormai automatici proprio perchè così radicati, sono tuttavia anch’io profondamente convinta che gli autentici cambiamenti si muovono sulle gambe del cambiamento di prospettiva personale, sul rispetto e su una ricerca di complementarietà tra gli individui maschio e femmina. L’idea della complementarietà è un concetto prezioso : è un campo su cui si può giocare una partita in cui le regole possono essere rifondate di volta in volta dai singoli che poi diventano coppia proprio in funzione delle proprie necessità, ma a patto di non dover a tutti costi difendere una posizione preconcetta portatrice di certi valori fondamentali che ancora oggi- è vero( e l’abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni innegabilmente) – non sono per nulla scontati, ma che non ci fa avanzare di un passo nella direzione dell’equilibrio se difesi con chi sta facendo insieme a noi questo percorso complesso.
Oggi sono prolissa, scusatemi.
C’é un’altra cosa che mi é venuta in mente a proposito del “ruolo naturale” materno e paterno, o maschile e femminile (qualcuno, per favore, me li puó definire con esattezza?).
Massimiliano sostiene che molti divorzi avvengono perché i partner non vogliono accettare il loro definito “ruolo di genere”.
Anche se non ho ancora ottenuto una definizione precisa, immagino che si riferisca ad un femminile passivo, e ad un maschile attivo, in tutti i campi.
Allora, se questi ruoli fossero cosí “naturali”, dovrebbe essere abbastanza facile per entrambi i sessi accettarli e stare bene cosí. Ma, se nascono conflitti, non vuol forse dire che tanto “naturali” non sono?
Se (ipoteticamente) litigo con mio marito perché addossa a me la cura di casa e figli mentre io vorrei, come lui, avere piú tempo anche per le mie personali ambizioni e interessi, non significa forse che questo ruolo di cura non mi é mica cosí connaturato e spontaneo?
Perché questo insistere su “ruoli” predeterminati che andrebbero accettati a priori “perché la natura é cosí” (dimostrazione scientifica, please!) invece di capire che in una famiglia ognuno ha i propri interessi, peculiari, individuali, spesso indipendenti dal sesso e ci si dovrebbe rispettare e venire incontro l’un l’altro?
Il discorso vale tra coniugi/genitori, ma vale anche per gli stimoli che i genitori offrono ai propri figli.
Se mia figlia vuole le bambole, bene, se vuole il trattore, bene lo stesso, e non “no, il trattore é un gioco da maschi sennó verrai su con una femminilitá distorta”, stesso per un bambino, ovviamente.
@Serena hai ragione sul “rompere gli schemi”, sottoscrivo in pieno. Forse non sono stata brava a spiegare la mia opinione, che si allinea molto con quella di Caia.
Volevo solo mettere l’accento su non cadere nell’eccesso opposto, cioè avere l’ansia del politically correct al 100%. Se anche scappa una definizione poco equilibrata non muore nessuno.
Vorrei però spezzare una lancia per i padri che si esprimono su questo tema difficile, non li bastoniamo! Mi sembra che a volte gli uomini non colgano certe sfumature che per noi donne sono invece rilevanti, perché viviamo in prima persona gli effetti di un ambito sociale che non è ancora paritario.
@ Mario, ti porto la mia esperienza: da piccola mi hanno definita “maschiaccio” se correvo e mi arrampicavo, da adolescente si stupivano se sapevo il nome di un calciatore o facevo una battuta spiritosa (ma le ragazze hanno il senso dell’umorismo? Mah), quando cercavo lavoro a 24 anni mi chiedevano se volevo avere figli, se dico che mi piacciono le macchine mi dicono “trovati un fidanzato con la porche (perché, non me la posso comprare io?)…prova a immedesimarti, sono cose che danno fastidio.
Da qui certe risposte che possono sembrare un po’ forti, forse siamo noi che su questo argomento siamo più punte nel vivo 🙂
Ok Mario, capisco (abbiamo scritto in contemporanea). Ma prescindendo da te e altri padri come te – lo so che le generalizzazioni fanno sempre torto a qualcuno, non ti sembra che gli stereotipi di genere siano ancora molto forti in Italia?
Appunto Mario, “genitori crescono”, non “la guerra dei sessi”. Dai, che il confronto con i padri svedesi un po’ te lo sei andato a cercare… 😉 Il padre dei miei figli poi è inglese, un capitolo ancora diverso 😉
Però ancora non capisco cosa sia stato detto finora di tanto provocatorio nei confronti della figura del padre italiano…
@MamminScania
Qui non si tratta di passare all’attacco.
Permetterai però che quando leggo:
i bambini svedesi non giocano a “mamma e figlia”, giocano a “mamma, papà e bambini”. Notevole eh?
Mi sento un pò punto sul vivo… e così tutti gli altri papà italiani.
Mario è interessante quello che scrivi, perché io quando ho scritto quella frase:
i bambini svedesi non giocano a “mamma e figlia”, giocano a “mamma, papà e bambini”. Notevole eh?
non ho minimamente pensato che fosse colpa dei papà italiani. Io credo che la mentalità delle famiglie in Italia stia cambiando, lasciando molto più spazio ai padri di quanto non fosse in passato. Abbiamo scritto spessissimo in questo sito in difesa dei padri, invitando anche le mamme a concedere più spazio, perché io sono profondamente convinta che in questa divisione tradizionale dei compiti i padri non ne escono in vantaggio: ci sono moltissimi padri che soffrono perché non possono stare con i figli perché sono gli unici a portare uno stipendio a casa, perché le loro compagne non trovano un lavoro. Questo è ingiusto nei confronti di madri, e padri e soprattutto gli stessi figli, che hanno bisogno di entrambi i genitori.
La mia frase voleva prendere atto di una realtà, quella svedese, in cui la condivisione dei ruoli è così profonda, da essere entrata nel linguaggio comune dei giochi dei bambini. E’ un processo lento, che in Svezia è iniziato già una o due generazioni fa, mentre in Italia è più recente.
Beh… lasciami dire che qui si confrontano anche i padri… dato che il sito (che trovo sempre ricco di spunti interessanti, ben gestito e ben frequentato) si chiama “genitori crescono”.
Non bravi come quelli “svedesi” ma sempre padri…. 😉
@Serena…. sorry.. non pensavo a prendere parti o guerre.
Volevo solo dire che riesco forse a capire bene cosa prova un papà a leggere queste cose.
Ma perché gli unici due padri che per ora ho visto partecipare al tema del mese si mettono subito sulla difensiva (o passano addirittura all’attacco con luoghi comuni sulla Svezia che per fortuna Serena e Morgaine hanno già diplomaticamente commentato) e sentono il bisogno di stringere un patto contro l’altra metà del mondo? A me sembra che qui si confrontino madri pronte in primo luogo a mettere in discussione se stesse e quello che fanno, tutto questo vituperio del padre italiano non lo leggo.
Per fortuna questo non succede mai quando parlo con i miei amici maschi svedesi, padri, con i quali parlo praticamente delle stesse cose di cui parlerei con le relative compagne, senza barricate e senza dannosi arroccamenti.
Beh… io difendo Massimiliano sebbene sia convinto che la Svezia NON sia la culla dei mali di cui si parla.
O meglio… difendo soprattutto i papà Italiani di cui non si perde occasione per parlare male secondo me estremamente a sproposito… dato che parliamo di stereotipi…
Certo che con una bimba di 1 mese per casa sempre attaccata al seno della mamma è un pò difficile fare capire ai bambini che anche il papà si “occupa” di loro… visto che lmangiano, dormono, vanno a scuola, ecc… grazie anche al lavoro del papà (con il supporto della mamma ovviamente).
Quindi attenzione a imparare dai bambini (soprattutto sotto i 6 anni) perche sono molto elementari…