Io pratico il debranding.
Quando torniamo dal supermercato con la spesa, apro le scatole dei cereali o dei biscotti e li verso in anonimi barattoli. In parte perchè quei barattoli allineati nella credenza mi danno un senso di ordine e di pulito (lo ammetto, sono maniaca), ma soprattutto perchè non voglio essere costretta a comprare un prodotto solo perchè mio figlio ne riconosce la confezione. Un giorno al supermercato, alla tenera età di un anno e mezzo circa, il Vikingo, goloso di uva passa, ha riconosciuto la scatola della famosa marca californiana, l’ha afferrata e messa nel carrello. Da quel momento sballo tutto. Arrivo a casa e come una maniaca, apro confezioni e riempo barattoli e scatole.
Uno studio effettuato in Europa nel 2004, coordinato dall’European Heart Network e co-finanziato dalla Commissione Europea, ha analizzato il marketing alimentare rivolto ai bambini nei vari paesi. Il marketing di cibi non salutari è infatti riconosciuto come una delle cause più importanti della diffusione dell’obesità infantile.
Nonostante ci siano indubbiamente differenze tra i vari paesi analizzati, la spesa delle aziende per il marketing alimentare rivolto ai bambini è una delle più alte senza eccezione, raggiungendo cifre vertiginose dell’ordine dei milioni di euro. Inoltre, più del 70% degli spot alimentari rivolti sia a grandi che a piccoli, è dominato da cibi non salutari, ad alto contenuto di zuccheri, grassi (in particolare grassi saturi) e sodio (ossia sale), o tende a favorire un’alimentazione non salutare.
E’ difficile difendersi e difendere i nostri figli da quest’attacco legittimato da parte di potenti multinazionali. Le direttive variano a seconda dei Paesi, e si va dall’autoregolamentazione in Italia, al divieto di pubblicità rivolta ai bambini In Svezia e Norvegia. Alcune agenzie nazionali e internazionali finanziano pubblicità per incoraggiare l’aumento dell’attività fisica e l’educazione ad un’alimentazione sana, ma i livelli di finanziamento difficilmente raggiungeranno le cifre vertiginose investite dalle aziende. Sarebbe più efficace una regolamentazione tesa alla protezione dei bambini, condivisa a livello internazione.
Inoltre, nonostante la spesa maggiore sia ancora concentrata sulla pubblicità in TV e su riviste, sta aumentando la fetta di spesa dedicata a mezzi di comunicazione meno tradizionali, quali internet, o la sponsorizzazione di eventi sportivi per ragazzi o di attività apparentemente educative, o attraverso la fidelizzazione a mezzo raccolta punti, o direttamente attraverso i distributori automatici nelle scuole.
In tutti i Paesi europei si utilizzano testimonial quali eroi dei cartoni animati, o personaggi dello sport o dello spettacolo, per veicolare il messaggio pubblicitario. Per quanto comprare una maglietta di un certo personaggio non sia negativo in se (anche se a me non piace fare pubblicità gratuita a chi si arricchisce sulla nostra pelle), aiuta ad instaurare un meccanismo di affiliazione al personaggio, che in ultima analisi si riflette sul prodotto: dalla maglietta con Saetta McQueen ai cereali il passo è breve.
Un’indagine condotta recentemente in Svezia dall’associazione dei consumatori, ha evidenziato che i prodotti alimentari presenti nei supermercati e commercializzati come prodotti per bambini, sono di qualità uguale o inferiore dei corrispondenti prodotti per adulti e costano di più. Ad esempio i cereali o lo yogurt contengono in media più zuccheri di quelli per gli adulti, i wurstel contengono meno carne e i bastoncini di pesce contengono meno pesce. Le marche analizzate sono di multinazionali e quindi presenti in ogni Paese europeo, non mi stupirei quindi se la stessa situazione si ritrovasse nei supermercati in Italia. Esercitatevi a guardare le etichette degli ingredienti ed effettuate il confronto voi stessi.
Tecniche quali il debranding e il limitare la visione della televisione sono consigliate per difendere i bambini più piccoli dagli effetti della pubblicità, mentre è più difficile proteggere i bambini più grandi vengono raggiunti anche in altre maniere. Per questo motivo si può e si deve educarli a sviluppare un senso critico, spiegando i meccanismi e gli effetti del messaggio pubblicitario sulle loro scelte.
La consapevolezza di quello che la pubblicità fa su di noi e su i nostri figli è un’arma importante nelle nostre mani. Teniamone conto quando scegliamo un prodotto dallo scaffale del supermercato. E facciamo sapere a chi sta dall’altro lato che siamo consumatori tuttosommato piuttosto attenti.
Per fortuna Sara ha iniziato a guardare la tv ben dopo i due anni, e solo dvd che conoscevo anche io. La pubblicità inizia a vederla ora a quasi 5 anni, ma così di rado che non la capisce.
Per il debrading… lei ha i suoi cereali preferiti, ma non per la marca, non sa cosa voglia dire, ne abbiamo provati un po’ e le sono piaciuti quelli. Idem gli yogurt, infatti inutile dire che preferisce le marche meno da bimbi.
Per gli ingredienti li guardo sempre, non faccio nomi ma evito spesso i prodotti apposta per bimbi. Gli yogurt, per esempio, non li ho mai presi, solo una volta e non c’è bisogno di leggere gli ingredienti per capire quanto zucchero c’è in più. Idem i biscotti, appena tutte e due hanno avuto l’età per mangiarli senza problemi ho evitato quelli da bambini e gli ho dato i nostri, così come il latte ecc…
Purtroppo c’è un mezzo di pubblicità micidiale che non riesco a controllare: l’asilo!!! Per esempio Sara non ha mai guardato le Winx fino a due mesi fa, ma conosceva tutti i personaggi, le storie, e ovviamente voleva anche lei occhiali, vestiti, cappellini, ecc delle Winx. E ora le scarpe, non faccio di nuovo il nome, ma c’è una marca per bimbe molto pubblicizzata, mai vista la pubblicità ma ha sentito le compagne. Sembra che senza quei sandali i piedi non vivano! Ha rotto le scatole mesi, e per mesi le ho spiegato che con i soldi che risparmiavo potevamo fare altro (tipo andare in piscina). Ma poi l’ha sentita la nonna che l’ha accontentata. Risultato: io le ho comprato dei sandalini carinissimi e validissimi a 15 €, lei un paio di sandali carini (i miei sono più belli! 😉 ) e altrettanto validi, insomma niente di più, a 50! Non ha senso…
Ecco, qui mi frega, non posso censurarle l’asilo! E ovviamente io le spiego e le rispiego che una marca è uguale a un’altra solo che costa di più, ma poi quando all’asilo la sua amica si vanta e tutti dicono “ohhh” le mie spiegazioni cadono….
Mi piacerebbe tanto fare un debranding totale, e anche eliminare la tv, ma mi manca il supporto del marito che non e’ d’accordo… mi rimane cercare di abituare TopaGigia fin da piccola alle cose sane e cercare di far passare il messaggio “questo non ti piace perche’ e’ pieno di miele, prova quest’altro che e’ quello a cui sei abituata”.
La mia pediatra invece mi consiglio’ di iniziare lo svezzamento con i liofilizzati (per reputazione piu’ digeribili). TopaGigia li odiava. Poi siamo passati agli omogeneizzati, che per una settimana sono stati un paradiso. Poi TopaGigia ha cominciato a rifiutare anche quelli, ne ho parlato con la pediatra che mi ha assicurato che almeno sui prodotti alimentari per i bambini piu’ piccoli le carni sono piu’ controllate e mi ha consigliato di insistere. Ma mia figlia li sputava. Allora ho detto chissenefrega, sono andata in un negozio biologico e la carne gliel’ho presa li’. Ora la mangia. Ma voi li avete provati gli omogeneizzati di carne e pesce? Fanno veramente schifo…
Verissima la cosa sull’acqua di cottura, ma la cosa che mi disturba di piu’ e’ che quelli di carne e pesce contengono un sacco di farine di cereali (che’ altrimenti non si omogeinizzano neanche a pagarli)… in particolare in quelli di pesce non mancano mai le patate. Ora, ma se io voglio essere sicura di dare tot grammi di carne a mia figlia, e voglio poi aggiungere i cereali a parte, quanti vasetti le devo dare???? Come faccio ad essere sicura di dare a mia figlia il famoso pasto equilibrato che tutti raccomandano?
Bellissimo e interessante post, grazie di avermelo segnalato.
Il debranding è un’azione che dà soddisfazione. E anche eticamente giusta, perchè cercano di manipolarci in tutti i modi.
Per deformazione professionale ho un antipatia congenita per tutte le persone che si occupano di marketing (i giornalisti odiano gli addetti marketing perchè cercano da sempre di infilare prodotti in mezzo alle notizie, putroppo con il passare del tempo il potere del marketing cresce e quello dei giornalsiti diminuisce!)
Siete veramente bravissime!
Ma che grande idea! Lo farò sicuramente! Per adesso la mia bambina e’ piccolina, ha 11 mesi, ma ho già avuto modo di scartare tutti i prodotti “per bambini” che hanno un omologo per adulti.
Leggendo le etichette è così evidente che sono migliori!
Vuoi mettere il formaggino con un normale stracchino, o ricotta?
L’ingrediente preminente negli omogeneizzati di carne è: ACQUA DI COTTURA !!!
E via continuando
Per fortuna il mio pediatra è uno con la testa, e mi aveva consigliato in tal senso. Ma mi piace pensare che ci sarei arrivata da sola, a vedere che lo yougurt per bambini, ha solo la scatola da bambini.
Grazie mille per questo articolo e per l’idea dei barattoli. E’ veramente geniale.
trovo che sia una di quelle idee catalogate da me come “grandi idee”. Non ci avevo mai pensato. Non ho spazio a sufficienza, non compro mai prodotti di marche note, per diversi motivi, e i miei figli sono ormai grandi, a parte yuyu il piccolino, altrimeti mi sarei organizzata.
Tra le mie innumerevoli specializzazioni e passioni sono una grafica pubblicitaria e quindi so quanto lavoro c’è dietro e quanta passione e soddisfazione nel realizzare etichette e loghi pubblicitari, ma nonostante possa essere di parte trovo che sia una vera e propria genialata il debranding!
Dimenticavo. La nostra adorata pediatra mi ha sempre messo in guardia dai prodotti alimentari “da bambini”. Per esempio già dalle prime pappe mi sconsigliava i formaggini, perchè anche e soprattutto quelli per bambini, sono fatti con cascami di formaggio fusi. Meglio fin dai primi mesi dello stracchino o della robiola: prodotti italiani di buona tradizione.
E di esempi ce ne sono a centinaia. Condivido in pieno il consiglio di Serena: una lettura delle etichette dei prodotti alimentari è sempre illuminante. Si scopre un mondo.
Eravamo arrivati fino alla veneranda età dei 5 anni, senza percepire in alcun modo il problema. Andrea è uno che non ti chiede niente, nè se lo porti al supermercato, nè se lo porti in un negozio di giocattoli o in qualsiasi altro posto pieno di attrattive (esche) per bambini… Vivevo felice! Le figurine le compravamo di nostra iniziativa (paterna ovviamente: ha generato un figlio solo per avere una scusa per fare di nuovo l’album dei calciatori), uno o due pacchetti ogni tanto per lui erano già una festa. Giornaletti anche: se li riceve è contento, se no non ne chiede. Richieste di giocattoli rare, sporadiche e molto mirate: molto “serie” direi, impossibili da non soddisfare perchè ragionevoli…
Finchè non sono spuntate in tv, nei cartoni della mattina (quelli con cui ci si veste… che poi sono quasi gli unici che guarda)… quelle terribili… API!! Si, quelle deliziose apette che ballano su un accattivante motivetto ritmato… quelle che pubblicizzano dei cereali a ciambellina al miele e che in 30′ hanno sconvolto il nostro felice “chisseneimportadelbranding”!!!!
Voleva quei cereali, quanto desiderava quei cereali… Ora, io mamma disabituata alle richieste, quindi ingenua, cosa faccio? Noncurante del fatto che ad Andrea non sono mai piaciuti i cereali e che praticamente schifa il miele, vado al supermercato e li prendo!
Ovviamente i cereali sono ancora li. Dopo il primo assaggio sono rimasti nella loro fantastica scatola gialla con le apette… perchè sono dolci da fare schifo e non piacciono a nessuno…
Ve lo confesso, pensavo che Serena fosse un po’ esagerata… Le apette mi hanno aperto gli occhi!!!!
@caia coconi Splendido! 😉
ciao serena
grazie di avermi scovato nel web, mi hai regalato il tuo contatto, sono approdata qui e con enorme entusiasmo ho girovagato leggendo un sacco di cose interessanti. ovviamente adesso non vi libererete facilmente di me 😉
Piattini, indubbiamente aprire un dialogo e spiegare tutto è la strada migliore per i bambini più grandi. Responsabilizzarli con la paghetta è un’ottima strategia. Però fa un po’ rabbia che non ci sia una legislazione coerente a livello nazionale e internazionale per la protezione dei bambini dal marketing. Perchè poi è facile che il genitore che deve scegliere le sue battaglie (che non si può mica combatterle tutte) scelga di impedire alla figlia dodicenne di andare in giro vestita come una prostituta piuttosto che non comprarle un pranzo al fastfood.
Serena, questo è un argomento che sta molto a cuore anche a me
sui prodotti alimentari per bambini mi trovi totalmente d’accordo. che senso ha comprare pizzettine, bocconcini patatine con la faccia? costano di più e hanno più grassi. meglio abituarli a mangiare uan buona cotoletta di pollo o un paninon con l’hamburger comprato dal macellaio.
poi c’è il problema merendine.
prima mi rifiutavo di fare la spesa con i bambini.
ora li porto con me perché non ho alternative, ma anche perché preferisco lottare un po’ (è anche un’età della ragione in cui posso farlo, discutere di pubblicità ingannevole a tre anni è da folli…) ma far loro capire che la sorpresa o la confezione sono promesse non sempre mantenute.
è dura ma qualche frutto lo vedo.
sono più consapevoli
e poi c’è il capitolo giochi
tra gormiti, huntik, pokemon ne vedo di tutti i colori
ma adesso ho risolto con la paghetta
da quando devono tirare fuori i soldi di tasca loro fanno acquisti in modo decisamente più oculato (sootolineo il più, nessuno di noi è completamete immune dal fascino dell’oggetto)
eh eh eh Flavia, nulla di personale. In realtà le confezioni le ammiro anche io, e spesso ci prendiamo in giro con mio marito per come veniamo condizionati in modo diverso nella scelta dei prodotti. Penso spesso che la gente che fa questo lavoro sa farlo bene, purtoppo 😉
Il punto è che siamo adulti consapevoli della nostra debolezza per la confezione e cerchiamo di limitarne l’influenza, ad esempio guardando gli ingredienti o la provenienza. Ma un bambino è più indifeso. Come facciamo ad insegnargli a guardare al contenuto in zuccheri dei cereali, quandi sulla confezione c’è il disegno di una tigre che promette divertimento assicurato? La spesa al supermercato può facilmente trasformarsi in una lotta continua, e ci vuole una gran fermezza per vincere tutte le battaglie. In questo senso il debranding aiuta, almeno un po’, almeno con i più piccoli.
le tue riflessioni sugli ingredienti dei cibi e sulle pubblicità martellanti sono giustissime e la mia visione sarebbe quella di un marketing che ascolta e risponde a questi richiami con obiettività e buone iniziative. per esempio un’amica mi raccontava che il suo bambino ha apparecchiato la tavola in modo molto elegante perchè la pubblicità di una..pastina 🙂 gli ha spiegato come si fa. sul debranding, oddio….mi colpisci al cuore…. io adoro le confezioni dei prodotti come mezzo di comunicazione, ho lavorato per anni sulle loro virgole e sulle sfumature dei colori, al supermercato mi fermo, le osservo e le rigiro per capire cos’è che vogliono dire, e l’idea di confezioni costate tante duro lavoro che vengono subito buttate via come se fossero contagiose mi rende un po’ triste. ma… mi rendo conto che è solo una mia deformazione professionale…:)di certo però, bisognerebbe risparmiare al massimo sul packaging per motivi ambientali.
Stefano, sono daccordo con te, qui i fast food sono abbastanza diffusi purtroppo.
Ecco il link all’articolo in Svedese apparso su Dagens Nyheter:
http://www.dn.se/ekonomi/din-ekonomi/barnens-mat-samre-an-foraldrarnas-1.803801
Spero tu riesca a capire lo svedese.
Ciao,
interessante! e interessante sarebbe anche il link degli studi fatti in Svezia dall’associazione consumatori (se mai pubblicato su internet). Io ho vissuto per un po’ in Norvegia e mi ricordo che gia 10 anni fa, l’educazione alimentare dei giovani (nonostante le leggi a protezione dei piu’ piccoli che, sinceramente, non ricordo se allora gia fossero in vigore) mi faceva rabbrividire; c’era un odore in alcune vie del centro di Oslo, che non riuscivo a decifrare. Un giorno, rientrato a Milano per le vacanze, sentii lo stesso odore e lo seguii. Indovinate un po’ in quale fast food sono andato a finire? La vedevo molto “americanizzata”. Adesso vivo in un posto ancora piu’ “americanizzato”; Porto Rico e’ una colonia USA. Qui la questione e’ a livelli di delirio: ci sono scuole superiori dove i ragazzi votano per avere i vari “Mc King” in mensa!!!! AAAAHHHHHRRRRRGGGGHHH!!!! ci sono genitori che lasciano cenare i figli a tacos in borsa perche’ “…a lui il pollo non piace proprio… per non parlare della verdura, neanche ci provo a dargliela”. Forse in questo senso l’Italia e’ ancora e per fortuna indietro ma, penso, la decadenza e’ dietro l’angolo.
Grazie e un caro saluto.