Non sono affranta per la morte di Mandela.
Non sono dispiaciuta della sua morte a 95 anni, perché mi sembra che la storia (o il destino, o qualsiasi nome vogliamo dargli), abbia concesso a un uomo di portare a termine il suo compito.
Poteva essere morto in carcere, dando un grande esempio e sollevando un popolo alla guerra civile. Poteva essere morto di morte violenta, mentre ricuciva i brandelli di un Paese e di una cultura nuova, anche facendo errori, ma ammettendoli e cercando soluzioni.
E invece ha compiuto il suo percorso e si è spento, anziano.
Come dovrebbe essere secondo la giustizia degli uomini.
Ho fatto passare qualche giorno da un mio status su facebook, scritto invece a caldo:
“Credo che un giorno dovremo rendere conto ai nostri figli del perché da piccoli hanno visto la morte di tanti grandi uomini e donne ultranovantenni. E poi, tra questi e loro, il vuoto totale di almeno due generazioni, tra cui la nostra.”
L’ho fatto passare, perché da quello status era nata una conversazione molto interessante, dalla quale erano scaturiti tanti temi collaterali (eh, sì, mi rendo conto che frequento bella gente e belle menti in occasioni come questa).
Giustamente più di una persona non condivideva questa mia visione pessimistica della nostra generazione.
L’intervento più articolato è stato quello di Stratobabbo, che ne ha fatto lo spunto per un suo post: “Chiedilo a una ragazza di 15 anni di età“.
Proprio questo post mi ha fatto spostare l’attenzione su un altro aspetto della notizia della morte di Mandela.
Come si raccontano ai nostri figli quelle storie che hanno fatto la storia recente?
Come si trattiene la memoria dei fatti meno distanti, dai quali noi stessi non abbiamo ancora preso le distanze?
Come si spiegano quelle notizie che noi abbiamo sentito al telegiornale delle 20, seduti a tavola con i nostri genitori e che spesso non abbiamo affatto percepito come momenti della storia?
Perché raccontare la memoria recente, è molto difficile sempre. Lo è ancor di più se dobbiamo prenderci la responsabilità di raccontarla ai nostri figli. Molto più difficile che raccontare la storia, quella dei libri.
Chi era Nelson Mandela? In questo caso è stato fin troppo semplice.
Ci è capitato di parlarne molto prima della sua morte. Per caso, circa un anno fa, guardammo tutti insieme il film “Invictus“.
Non è scevro di retorica, ma la solida regia di Clint Eastwood e un ineccepibile Morgan Freeman, ne fanno un film più che dignitoso. Sicuramente un film che non avrei detto adatto a un novenne. Si, d’accordo, si parla di epica dello sport, ma non è quello il punto centrale. Magari un bambino si concentra su quello e non coglie il tema del progetto di integrazione di un popolo diviso che c’è dietro.
O forse no?
Capitò una cosa strana. Il Piccolo Jedi guardò il film senza un fiato, attentissimo. Poi alla fine mi sentii in obbligo di dare qualche spiegazione su chi fosse Mandela, sui motivi che erano alla base della storia. Mi ascoltò e basta, senza ulteriori domande. Pensai che forse era un po’ troppo, non poteva essere interessato.
Il giorno dopo, ci chiese di rivedere da capo il film. Anche in quel caso lo seguì dall’inizio alla fine senza un fiato.
Come se avesse cercato di vedere l’altro piano della vicenda, quello di cui gli avevo parlato dopo la prima visione.
Ma allora non esistono storie troppo grandi per loro? Esiste solo un modo di raccontarle che sia della giusta misura e che colga il momento giusto?
Riprovo con lo stesso metodo: a scuola, studiando il Friuli-Venezia Giulia, parlano della diga del Vajont. Giusto un trafiletto sul libro, ma il Piccolo Jedi fa domande, ne rimane colpito.
Anche qui provo a “puntare in alto”, proviamo a vederci qualcosa di coinvolgente, ma decisamente ostico: Marco Paolini, “Il racconto del Vajont“. Avrò esagerato?
No. Condivide la passione familiare per i racconti di Paolini. Certo, non lo regge tutto, ma ascolta attentamente quei mille argomenti diversi che fluiscono dal racconto principale.
Ecco il punto: la storia recente non ha un andamento lineare, come quella passata che è stata già analizzata, sfoltita e ricondotta in un canale ufficiale. Quella recente si perde in mille rivoli, in tante questioni non risolte, in tante domande senza risposta.
E come lo spieghi questo ai bambini? Come spieghi l’indefinito del rapimento Moro, di Ustica, degli anni di piombo, delle stragi, solo per rimanere “vicino casa”?
Non è poi così difficile: provi a raccontare. Provi a raccontare di quando hai sentito la notizia al tg, ed eri a tavola con i tuoi e magari avevi proprio l’età che lui ha adesso. Provi a ricordare come hai percepito quella notizia, quanto poco o tanto possa averti colpito. Provi a spiegare che dopo, dopo tanto o poco, hai capito che dietro quella storia ce ne erano molte altre e, anzi, alcune non le hai mai capite, ancora oggi.
Perchè la verità è raramente pura e non è mai semplice (cit.).
“Senti, tesoro, ti ricordi quel film che hai visto un paio di volte? Invictus. Sai, oggi è morto Nelson Mandela, quello di cui si parlava nel film. Si, il presidente, non il capitano della squadra di rugby. Si, era ancora vivo, è morto oggi a 95 anni.
Magari uno di questi giorni ci vediamo insieme un altro film, che parla di un altro luogo e di un’altra vicenda, ma sai, la storia si ripete e si assomiglia: The Help. No, niente sport e niente azione, infatti se ti annoia basta che me lo dici, interrompiamo e ci vediamo un bel film di fantascienza. Che poi, anche Star Trek, sul punto potrebbe dire molto…”
Non so se sia davvero il caso di cominciare presto a parlare di tanti argomenti, soprattutto quando siamo i primi a non saper bene cosa dire. Non so quando è il momento giusto, ma credo l’occasione fortuita sia sempre una buona consigliera. E quando le domande vengono poste, è l’occasione per rispondere.
Non so bene come spiegare alcune notizie le cui immagini appaiono in tv. Ma come te la spiego, amore mio, Lampedusa, i suoi morti e il dovere di accogliere, se non passando anche per la persecuzione politica e per Mandela?
E niente, leggervi mi arricchisce.
@Close The Door e i tuoi commenti ci riempiono di gioia, oltre ad arricchire la conversazione. Grazie 🙂
Bellissimo post, verissimo. Appassionata di Paolini anch’io…
P.S.: a volte mi chiedo se il pensare “non è adatto alla sua età” non sia un modo dei genitori di proteggere se stessi da ciò che li imbarazza.
Grazie, Silvia, per questo post.
Penso che no, non ci siano storie troppo grandi per i nostri figli. Anzi, penso proprio che loro ce le chiedano, se le aspettino da noi e se le meritino.
Magari ci sembrano troppo grandi per noi, per la fatica che dobbiamo fare per chiarirle davanti ai nostri occhi e alle nostre coscienze, per semplificarle e renderle affrontabili, per inserirle nella -giusta- leggerezza della quotidianità e nel momento, sicuramente sempre inopportuno, in cui irrompono nelle nostre conversazioni.
Non penso che i nostri figli ci chiedano nozioni (non più di quelle che riusciamo a mettere insieme tra memoria e wikipedia, insomma), ma mi piace pensare di poter trasmettere loro i sentimenti e i pensieri che affrontare certi avvenimenti storici a livello personale mi ha suscitato, nella speranza di lasciare loro un “metodo”, uno “stile”, fatto di razionalità e umanità, di curiosità e senso critico, con cui sentirsi parte della storia che attraverseranno.
Non mi vergogno a farmi vedere scossa e commossa davanti a certe notizie, drammatiche o felici che siano, a manifestare tutti i dubbi e le incertezze che alcune pagine della storia più o meno recente hanno lasciato. Questo potrebbe provocare in loro insicurezza? Forse. Ma mi sentirei più in colpa a lasciar loro un esempio di indifferenza.
Ciao Silvia, ammetto che sono qui per caso in quanto amico di Stratobabbo, anche se vi ho già letto qlc volta. Ma l’argomento era molto interessante e anch’io con Silvia (12 anni) ho seguito lo stesso tuo percorso per quanto riguarda Mandela, ovvero guardando Invictus un paio di anni fa … E ne è stata molto colpita e in questi giorni ne ha parlato lei per prima in classe con la prof. Credo che uno dei modi per coinvolgere ed interessare i nostri figli sia quello di usare quante più fonti possibili, e di tutti i tipi, in modo da stimolarne curiosità e far vedere diversi aspetti della stessa questione. Anche se un po’ fuori tema, abbiamo usato questo approccio con la serie di film di don Camillo, abbinando i libri di Guareschi, i film e la gita a Brescello per poi raccontare che la vita anche qui da noi (Vicenza) fino a poco tempo fa non era molto diversa da quella raccontata da Guareschi. Oppure l’abbiamo fatto partendo da Fantasia di Walt Disney e proseguendo con il cd dello schiaccianoci e di altre opere di Tchaikovski e completando con un concerto di un’orchestra dal vivo. E poi, come dicevate sia tu che Gaetano, non troppe informazioni ma neanche troppo poche, proprio perché l’interesse e la curiosità devono venire da loro in prima persona … Noi dobbiamo “solo” accompagnarli e, se possibile indicare la strada da seguire
Come genitori, Silver ed io, iniziamo solo ora ad affrontare il problema (“Ma Berlusconi è cattivo?” ha chiesto Maria qualche giorno fa). Per cui non so se riesco a dare un contributo… Riconosco però ai miei di avermi cresciuto coltivando la mia curiosità. Non hanno mai speso troppe parole per raccontare ma non hanno soffocato la mia voglia di sapere. Il tuo approccio mi piace molto: se vuoi un film su Mandela e sennò Star Trek. Non si può conoscere i grandi controvoglia (penso a quanto schifo facevano i libri, pur belli, che ci costringevano a leggere a scuola). Io per ora mi accontento che imparino un semplice concetto di bene e male dai supereroi.
Grazie per la citazione… onorato di aver contribuito al dialogo.
Grazie per questo post, Silvia. Mi vengono in mente un guazzabuglio di commenti, che cerco qui di sintetizzare. 1. (Leggermente OT) Permettetemi una pedanteria: la storia bisognerebbe saperla raccontare non lineare anche quando è antica. La storia è storia. Se ci abituiamo fin da piccoli alle definizioni (a volte singolarmente idiote, e più si va indietro nel tempo cronologico più sono idiote) della storia ufficiale, si diventerà adulti che cercano la versione ufficiale anche nella storia contemporanea. E’ fatale. Se i fenici erano (tutti!) abili navigatori e scaltri mercanti, si fa presto a far passare la versione che i congolesi sono endemicamente predisposti al conflitto etnico, e via così. Un bravo insegnante/genitore dovrebbe coltivare sani dubbi nell’alunno/figlio. E’ tutta una questione di metodo, insomma. 2.Ieri per puro caso ho guardato prima distrattamente e poi sempre più coinvolta “5 giorni d’agosto”, un classico filmone holliwoodiano sulla guerra russo-giorgiana del 2008. Soprassedendo sul valore “storico” di un film schierato come quello (qui si esprimono alcuni legittimi dubbi, ad esempio http://www.balcanicaucaso.org/aree/Georgia/La-guerra-russo-georgiana-vista-da-Hollywood-99948), mi ha colpito moltissimo il fatto che era la prima volta che sentivo parlare di quella guerra. Nel 2008 i profughi erano il mio mestiere, per dir così, da 8 anni. Tutto ciò avveniva in luogo geograficamente abbastanza vicino. Eppure… Credo che prima ancora di raccontarle, le storie che fanno la storia, dobbiamo impegnarci ogni giorno per riuscire ancora a sentirle, noi per primi, nell’incredibile rumore di fondo che avvolge le nostre vite.