C’è poco da fare, per quanto una cerchi di darsi un contegno, si ripeta incessantemente ogni bambino è diverso, e tenga il conto di chi altri sta nella stessa situazione, si arriva ad un punto in cui la preoccupazione arriva. Ad un anno e mezzo dice solo mamma e papà mentre la sua amichetta riesce a dire almeno 20 parole, e ci ridi su. A 2 anni lui ha aggiunto banana, baubau, e brum bruum, e la sua amichetta fa già frasi di tre parole, e la risata diventa isterica. Quando poi a 2 anni e mezzo lui si spiega con spinte e ringhi, sai che è arrivato il momento di trovare una soluzione. Perché non è più solo una tua preoccupazione, ma una condizione che sta minando le sue capacità di relazione sociale, e mettendo a dura prova la pazienza degli insegnanti (che per quando svedesi, anche loro alla fine crollano).
Certamente c’è il discorso che è bilingue, e ha due lingue da mettere al posto giusto, ma questo non basta a spiegare tutto. Ci sono molti bambini bilingue che parlano alla stessa età dei bambini monolingue. Certamente c’è una certa timidezza di fondo, un carattere schivo e riservato, poco propenso alla comunicazione in generale, che non lo aiuta a buttarsi, e provare a parlare, a dire qualcosa. Insomma nel caso del Vikingo il fatto di iniziare a parlare tardi non è stato un caso.
Naturalmente abbiamo effettuato dei controlli per essere certi che non ci fossero problemi di altro genere alla base. I test non sono stati facili, perché lui, quando viene sottoposto ai test si guarda l’esaminatore come se fosse un pazzo. Perché alla fine, se mi mostri una figura di una palla, e io lo so che tu sai che è una palla, perché sei un adulto e le palle le conosci bene, mi sento un po’ preso in giro, e non te lo dico che è una palla. Anche se la parola palla fa parte del mio vocabolario di 20 parole che ho a disposizione. E non ha nemmeno tutti i torti secondo me. Comunque esclusi i problemi “medici”, ci siamo trovati di fronte ai problemi comportamentali.
I bambini che non riescono ad esprimersi verbalmente infatti molto spesso ricorrono alle mani per risolvere i loro conflitti. Indipendentemente dalla loro età, è importante agire, dicendo che non si picchia, o non si prendono i giochi degli altri. Per aiutarli si può provare a insegnargli una frase semplice, commisurata alla loro età. Le maestre del nido con enorme pazienza e perseveranza, a suo tempo gli hanno insegnato a dire “jag vill inte leka” (non voglio giocare). Il suo problema maggiore infatti era quando un bambino gli si avvicinava per giocare. Il Vikingo non ha mai amato certe confidenze, e quindi reagiva con un bello spintone. Essendo sempre più massiccio dei suoi coetanei, era anche un po’ pericoloso. Insegnargli quella semplice frasetta, dura e decisamente poco diplomatica, ha risolto moltissimo dei nostri (e suoi ) problemi.
Quando iniziavamo a perdere le speranze, e ci siamo messi in paziente attesa, la situazione si è sbloccata miracolosamente. Era l’estate in cui il Vikingo aveva 2 anni e mezzo, e ci trovavamo in vacanza in Italia. Forse la possibilità di concentrarsi su una sola delle due lingue lo ha aiutato, o forse i consigli che ci ha dato il logopedista hanno fatto la loro parte. Di fatto, nell’arco di una settimana, ha iniziato a raccontarci cose. RACCONTARCI COSE. Noi non credevamo alle nostre orecchie. Da quella stessa bocca che fino a qualche settimana prima pronunciava a malapena una manciata di parole, sono in realtà uscite intere frasi, di significato quasi comprensibile. Dopo quasi 2 mesi di esclusività della lingua italiana, è rientrato all’asilo. All’inizio non capiva nulla ed è stato un po’ un trauma. Poi ha iniziato ad ingranare anche con lo svedese.
A distanza di due anni il Vikingo presenta ancora qualche difficoltà in entrambe le lingue, che non parla allo stesso livello dei suoi coetanei monolingue.
Però quando lo vedo giocare con i suoi amichetti in svedese, e allo stesso tempo rivolgersi a me in italiano, ripenso a quello stress iniziale, a quella paura irrazionale che non sarebbe mai riuscito a parlare, e cerco di ricordami che i bambini sanno stupirci, se solo abbiamo la pazienza di aspettare (e rispettare) i loro tempi.
Closethedoor, intanto complimenti per il futuro trasloco. Fossi in te mi preoccuperei poco, perché è anche l’ età giusta. Se tua figlia ha già un contatto con il tedesco (e qui vale anche quello che sente parlare anche se non direttamente rivolti a lei, più quel poco che le dice il padre) va bene perché lei le parole tedesche le percepisce ancora come delle differenze di registro in quello che è il suo spettro linguistico, non come differenze di codice. Quindi direi che è l’ età giusta perché possa scivolare senza colpo ferire nel tedesco, dandole chiaramente un periodo di interregno.
Se vedo i miei figli con il polacco che da piccoli l’ hanno sentito parlare tra me e mia madre solo in presenza di amiche polacche, o dalla suddetta amichetta con la sua di madre, e però lo accettano come elemento di “parentela” (una volta, emergenza lavorativa, ho lasciato figlio 2 di un paio d’ anni tutto il giorno con un babysitter polacco mai visto (era il ragazzo di una mia amica venuto a salvarmi dall’ emergenza appunto), ho notato successivamente che se si ritrovavano in ambienti nuovi, guarda caso facevano amicizia prima con bambini con un background linguistico slavo o latino, e poi con quelli tutti olandesi che in fondo parlavano la loro lingua.
Vai serena e comincia invece a pensare a strategie per mantenerle l’ italiano, perché rischi che lo sforzo di adeguamento all’ ambiente anche linguistico nuovo per qualche mese la porti a risponderti in tedesco. Tu continua serena a parlarle in italiano e vedrai che al primo rientro e full-immersion riacquisterà entrambe le lingue. Da noi la prima vacanza da soli dai nonni il maggio del primo anno di scuola di figlio1 (4 anni) e 2 di due anni, li ha portati a dimenticarsi l’ italiano o quantomeno a non riuscire più a usarlo fino a luglio, quando siamo riscesi. È stata anche l’ unica volta, ma non mi sorprenderebbe se in concomitanza con il trasloco succeda anche da voi, basta non farsi spaventare ne arrendersi, è normalissimp.
Io dico che mia figlia è bilingue “nelle intenzioni”, nel senso che mio marito le parla in tedesco, ma in realtà dice giusto un paio di parole mentre mi pare che abbia un normale sviluppo in italiano (ha due anni e un mese e ha da poco iniziato con le frasi di due parole). Prevediamo di traslocare oltralpe a settembre e quindi iscriverla alla scuola materna in Austria. Non nascondo che sono un po’ impensierita dall’impatto dell’inserimento, anche e soprattutto linguistico! :o)
Mia figlia ha iniziato a parlare tardi.
A un anno diceva mamma e papà, poi il suo vocabolario é aumentato molto lentamente fino a due anni e mezzo, dove sapeva dire suppergiù solo 10 parole.
Io ovviamente ero molto preoccupata, ma qua i pediatri (sì ne abbiamo uno pubblico sempre irraggiungibile in caso di emergenze e uno privato) mi dicevano di stare tranquilla ed aspettare perché la bambina capiva tutto quel che le si diceva e si faceva capire molto bene con espressioni e gesti. Ciononostante l’ho portata da una neuropsichiatra, che mi ha sostanzialmente confermato che non c’erano problemi di fondo, ma comunque approfondiremo con dei controlli a settembre anche per vedere mia figlia a che punto é (a settembre avrà tre anni e mezzo circa).
Nel frattempo lei si é finalmente sbloccata e parla, ormai le parole non si contano e dice anche frasi, ma ovviamente rispetto ai bambini della sua età é molto indietro nella pronuncia e molto di quello che dice non é di facile comprensione. Così siamo stati anche da una logopedista, la quale ci ha detto che sembra che lei sappia molti concetti, molte cose, ma non ha ancora tutta la proprietà di linguaggio per esprimerli e quindi si blocca, soprattutto all’esterno della famiglia. In ogni caso ci ha tranquillizzato anche lei dicendoci di aspettare perché è in piena fase di esplosione del linguaggio e bisogna aspettare un po’ per sapere quali sillabe acquisirà autonomamente e su quali eventualmente lavorare.
sono la mamma di un bambino di quasi 4 anni,è sempre stato un bambino tranquillo e che non si difendeva quando qualche bimbo/a lo picchiava,ora invece le maestre dell asilo mi dicono che morde,spinge i bimbi,non lo riconosco piu…..sarà perchè ho una bimba di quasi 3 anni e diamo piu attenzioni a lei(senza volerlo)poi non vuole mai venire a casa,cerca di stare piu con i nonni…fa i capricci,mia suocera da la colpa a me e a mio marito,perchè diciamo sempre(lasciala stare a tua sorella ,tu sei il grande,quando in realtà non lo è)è veramente noste la colpa? come mi devo comportare….grazie tante!!!!!
@roccaino… be’, mi sa che questa volta, contro ogni luogo comune, le parole della suocera sono da tenere in gran conto. Se “senza volerlo” avete dato più attenzione alla piccola, è ora di VOLER bilanciare l’attenzione e di concentrarvi un po’ su vostro figlio. Magari anche con un aiuto: chiedete se nella scuola di vostro figlio c’è uno sportello psicopedagogico, o uno psicologo che può indirizzarvi un po’.
Che sollievo aver letto questo post! Noi viviamo negli States e il mio bambino di 26 mesi ancora non parla. Fino a qualche settimana fa l’unica che parola che gli usciva dalla bocca era acqua. Nostro figlio poi e’ esposto a tre lingue: italiano con noi, da 1 a 2 anni (quando io sono tornata a lavorare) e’ stato con una babysitter guatemalteca che gli parlava esclusivamente in spagnolo e ora da che ha compiuto due anni l’abbiamo iscritto all’asilo dove gli parlano solo in inglese, che e’ poi la stessa lingua in cui parlano tutti i suoi personaggi preferiti dei cartoni che segue alla tv (non piu’ di un’ora al giorno pero’). L’abbiamo fatto esaminare in queste ultime settimane da esperti che guarda che sorpresa non ci hanno fatto che confermare che si il suo speech development is delayed. Bella fatica a capirlo. Il mio bimbo poi e’ come quello di Serena, timidissimo, pochissimo incline a socializzare con altri bimbi e adulti. Il fatto che abbia smesso del tutto di provare a parlare in parto l’ho associato con l’inizio dell’asilo che lui non ha preso affatto bene. Il distacco da noi e’ ancora molto difficile. Altro piccolo particolare, io sono al nono mese di gravidanza e a giorni partoriro’ una bimbetta. Siamo preoccupati, ma quello che mi spaventa e irrita di piu’ e’ la pressione che questi supposti esperti stanno esercitando su di noi. Non riesco a comprendere chiaramente se siamo noi genitori a sottovalutare un problema che effettivamente esiste o se sono questi allarmati esperti ad imporci un modello comportamentale di bimbo che e’ appunto solo ideale. Mio figlio se non riesce ad avere quello che vuole comunica la sua frustrazione strillando, vorrei capire qual e’ il modo migliore per aiutarlo a superare questa fase di rabbia esplosiva ed formulare la sua richiesta in altro modo…Comunque leggendo i vari posts, sono sollevata di sapere che non e’ infrequente questo modo di fare. Grazie a tutti
Ciao,
con Esteban (italiano + spagnolo) stiamo vivendo un po’ lo stesso problema (?). Abbiamo provato a portarlo da una logopedista (in realtà non era logopedista vera e propria, faceva una analisi anche a livello neuro-funzionale o chennesóio). Fatto sta che ci diede da fare alcuni “esercizi” quali per esempio avvolgere il bambino in panni bagnati con acqua calda e subito dopo con panni in acqua fredda, gelida. L’abbiamo fatto un paio di volte ma ci ha convinto poco e abbiamo lasciato perdere. Eravamo un po’sospettosi del fatto che doveva giustificare la parcella. Dopo circa sei o sette mesi, dal nulla, Esteban se ne é uscito con che la dottoressa era una “loca” perché gli faceva fare delle cose che non gli piacevano e rideva di lei. Ancora oggi, non parla proprio bene, parla un’ itagnolo. Peró, spesso, se ti dice una parola in una delle due lingue e tu non la capisci, te la ripete nell’altra. Noi ci sforziamo di non andare in panico. Ci solleva il fatto che capisce perfettamente sia quando gli si parla in italiano che in spagnolo. Piccolo aneddoto: a febbraio siamo andati per tre mesi in nord America, un giorno, stavo parlando con un signore a proposito del tempo nel Maine. Parlavamo in inglese e Esteban era fuori dalla conversazione, nel senso che non gli stavo traducendo nulla. Quando l’altra persona se ne ´’e andate, mio figlio mi ha guardato e mi ha detto: “nieve y frio?” (neve e freddo?). Allora mi ha mandato un messaggio preciso sul fatto che il bilinguismo a lui non fa un baffo. L’altra sera, mi ha detto che voleva imparare l’inglese. Va bene, gli ho detto, allora i cartoni animati li mettiamo sempre in inglese? Si papà. L’anno scorso, glieli mettevamo in inglese ma ci siamo tirati indietro pensando che lo stavamo sovraccaricando (non gli traducevamo nulla, lasciavamo che recepisse come se stesse in mezzo ad altri bambini). Insomma, tra la comprensione della chiacchierata sulla neve e il freddo e la richiesta dell’altra sera cosa dobbiamo fare? assecondiamo e aspettiamo senz’ansia………. bugia.
A presto.
Io mi ero abituata bene con la grande, a un anno diceva mamma, a 16 mesi una decina di parole, a due anni frasi semplici e contava in inglese fino a 10 (beh, non è bilingue…).
Ora la piccola è un’altra pasta, 17 mesi e dice mam. Basta. Mam per tutto, lo articola mam-mam vicino per dire mamma (ossia chiunque vuole chiamare, perché chiama così me, il papà, la nonna, la sorella, il vicino, chiunque deve seguirla), mam mam mam più ritmato se vuole mangiare. E basta. Per il resto si spiega a gesti, indica e si scuote, più si molleggia (testa e tutto il resto) più sei vicino a quel che vuole. La sua comunicazione finisce qui.
Però so che è presto, che la grande è stata davvero in gamba, e per ora non mi preoccupo, ma confesso che anche io quando sento gli altri bimbi un po’ la guardo e inizio a dirle “prova a dire questo”. Beh, siamo mamme, no?
Serena, tranquilla è tutto normale. Mio figlio (assolutamente non bilingue) fino a 1 anno e 10 mesi non ha detto una sola parola.
Poi finalmente l’ha detta: “acqua”. (E io che speravo almeno un bel tradizionale “mamma”… argh!). Poi nei mesi successivi ha aggiunto quella decina di parole necessarie per sopravvivere: mamma, papà, cacca, ciuccio, ich (succo)… etc etc
Ovviamente l’abbiamo portato ad un controllo, ma il neuropsichiatra non valuta solo quanto è ampio il vocabolario, ma anche altri fattori: se capisce quello che gli si dice, se comunque riesce a comunicare, se ha un’abilità motoria sufficiente. Contò anche con quanti cubi costruiva una torre… e ci disse che per lui non c’erano problemi e che bisognava aspettare con pazienza.
Infatti aveva ragione: dopo un annetto di poche parole, un giorno ci annunciò “a me piace parlare!” e da lì non si è più fermato.
Era sempre comunque ad un livello inferiore dei coetanei, ma ora finalmente, a 12 anni, legge-scrive-parla nella norma, e i risultati scolastici sono più che soddisfacenti.
Qualche anno fa ci hanno anche detto che spesso i bambini molto attivi da un punto di vista fisico (tipo quelli che camminano presto: il nostro ha iniziato a 10 mesi) hanno poi un ritardo nel parlare, perchè -scientificamente parlando- il sistema nervoso “nun gliela fà”… 😀
Quindi abbi ancora un po’ di pazienza! E non farti invischiare nel gorgo della competizione e dei confronti. Ricordati la Kurcinka: i nostri figli hanno, è vero, le spine, ma quanto sono più profumati di una margherita! 😉
@malanele i nostri figli hanno, è vero, le spine, ma quanto sono più profumati di una margherita! ora me lo stampo 🙂
Io ho avuto un’esperienza simile (ma purtroppo non proprio a lieto fine) con mio nipote, che è stato adottato dalla Russia e si è trovato a 2 anni e mezzo catapultato in un mondo in cui non capiva nulla (bilingue per caso? :-)).
Devo dire con amarezza che dalla mia esperienza in Italia non c’è nessun tipo di sostegno o di guida per l’inserimento di un bambino adottato, è tutto lasciato al buon cuore dei genitori (o del singolo comune/asl).
Dopo un anno il bambino capiva abbastanza bene ma non parlava ancora, i medici dicevano che era normale e si sarebbe sbloccato. Mia sorella però non era convinta e ha iniziato con attività di logopedia e psicomotricità. Tutto a pagamento beninteso, in quanto per il sistema pubblico (parliamo del Nordest ricco e produttivo) non c’era necessità di intervenire.
A distanza di quasi 2 anni nonostante gli sforzi i progressi sono minimi. Facciamo prima un check up complessivo a Roma, poi una valutazione foniatrica a Padova. Nessuna anomalia a loro dire, ma non sanno spiegare perché il bambino a 5 anni non parli. Mia sorella insiste ancora finché un medico per liquidarla (considerandola la solita madre isterica) prescrive i test genetici.
Risultato: purtroppo mio nipote ha un’anomalia genetica, la sindrome della x fragile, che colpisce 1 bambino su 3000 e può dare ritardi nell’apprendimento e nello sviluppo del linguaggio, di entità variabile (molte persone infatti sono portatori sani di questa malattia e non hanno conseguenze).
Con questa diagnosi abbiamo ottenuto il sostegno a scuola e la lista d’attesa per le attività di logopedia in una struttura pubblica (per ora però ancora tutto di tasca nostra, parliamo di 30-35 euro l’ora).
La cosa che più mi fa arrabbiare è che, non fosse stato per la caparbietà di mia sorella, non avremmo mai avuto una risposta e ora avremmo un bambino di 7 anni difficilmente recuperabile. Certo non sappiamo se riusciremo a colmare il divario tra lui e gli altri bambini, però almeno stiamo tentando tutte le vie possibili.
Un insegnamento da questa esperienza? E’ sempre il solito: seguire il buon senso e il proprio istinto, senza farsi prendere dal panico ma anche dando ascolto a quella vocina interiore se a volte cerca di dare l’allarme.
Scusate il post lungo!
PS: il test per la x fragile è nel pacchetto “optional” dell’amniocentesi, consiglio a chi ci si sottopone di farci un pensierino
@Lorenza mi dispiace molto per quello che state passando con tuo nipote. Spero proprio che ora le cose inizieranno ad ingranare. Una diagnosi precoce è fondamentale per poter aiutare sin dall’inizio i bambini con delle difficoltà. Grazie per averne parlato e spero che possa aiuare qualche altra persona che capita su questo post.
Il buon senso e l’istinto sono due grandi cose, se la vocina interna che ci fa preoccupare è particolarmente insistente, è comunque meglio dargli ascolto e verificare come stano le cose veramente. Purtroppo però non è sempre facile trovare dei professionisti preparati che sanno ascoltare le preoccupazioni di una mamma senza prenderla per la solita ansiosa.
Uguale, uguale, uguale, dio i capelli bianchi all’epoca. E ci si è messo un cretino di insegnante del nido che incontratolo al parco con suo figlio non si è messo a farmi le previsioni catastrofiche su quando andrà a scuola e il comportamento? il mio non menava, si incazzava platealmente per la frustrazione e da lì a prenderlo sistematicamente per culo il passo è breve. Fuori dalla grazia di dio mi sfogo con l’amico ex insegnante dell’asilo che mi conferma`che è una cosa fuori dal mondo venirmelo a dire informalmente così senza neanche che sia nel suo gruppo, che lui ne ha visti di peggio e che verso i 4 anni la cosa si sblocca ecc. L’altro amico si è chiesto: ma non è che ti stava facendo il filo?
Insomma, ti dico solo che quando aveva 4 anni il fratello di due anni più piccolo parlava più correttamente di lui nelle due lingue. Poi gli è passata, la logopedista preferita è rientrata dalla maternità (la sostituta l’ha presa per culo per 9 mesi a spese dei contribuienti e non mie, per fortuna).
Se il bambino è sano e felice ed è abituato a fare il principe azzurro, può succedere e peggio per lui, prima o poi se ha qualcosa da dire te la dice. Il problema al momento è farlo star zitto e smettere di fare domande. Dio dà, dio toglie.
(scusa, l’ho rimosso nel frattempo, ma se ci ripenso è un argomento che ancora mi prende molto).
Mia figlia Amelia, la primogenita, ha seguito un iter del tutto simile a quello del Vikingo, anche se con caratteristiche diverse: prima di tutto non è bilingue, e poi ha un carattere molto aperto e socievole, è molto comunicativa… forse troppo, nel senso che riusciva a farsi capire anche senza parlare in modo comprensibile e quindi non faceva la fatica.
Anche lei si è sbloccata intorno all’anno e mezzo, proprio quando stavamo per cominciare un percorso di accertamenti.
Molti hanno attribuito il suo ritardo all’arrivo del fratello a 2 anni e 2 mesi, ma io penso che sia stato semplicemente fisiologico. In generale, osservando lo sviluppo del mio secondo figlio, mi accorgo che molte crisi, che 2-3 anni fa avevo legato alla mia gravidanza e alla nascita di Ettore, sono invece proprio legate allo sviluppo e a nessun’altra giustificazione.
mi sono un pò commossa…immagino che deve essere difficile avere pazienza in certi casi, vorresti aiutare tuo figlio e tutto quello che devi fare è aspettare. io mi sono preoccupata tanto quando Matteo era molto piccolo e non apriva i pugnetti, ho pensato di tutto, infatti quando ero incinta mi avevano consigliato di abortire perchè era malato, per fortuna non era vero e la decisione di tenerlo comunque diciamo che è stata premiata (sarebbe un discorso troppo lungo) ma puoi immaginare la preoccupazione quando c’era qualcosa di “strano”. Per fortuna sta benissimo!
@Barbamamma ora mi fai commuovere tu 😉
@Lanterna si è sbloccata intonro all’anno e mezzo??? Ma non parlare ad un anno e mezzo è assolutamente normale! Non mi far venire l’ansia anche per Pollcino ora, eh?! 😉
@Mammamsterdam mi consoli veramente tanto. Certo che non è proprio facile staresene tranquille in attesa che si sblocchino. Sul bilinguismo c’è moltissima ignoranza anche da parte degli insegnanti, ed è dificilissimo ricevere sostegno e informazioni corrette. Io poi mi sento sempre impotente per quanto riguarda lo svedese, che non parliamo mai a casa, e quindi devo fidarmi del giudizio degli altri. E’ una di quelle cose in cui devo avere veramente fiducia del sistema, senza poterci mettere lo zampino, e questa mancanza di controllo mi manda ai matti 🙂