Quando l’aborto terapeutico non è possibile

medicoQuesta storia ce la racconta un papà. E forse già per questo ha un sapore speciale. E’ la storia di quando l’aborto lo si vorrebbe fare il più in fretta possibile, eppure non ti è concesso. Io questo papà lo conosco di persona, e conosco anche R. e il loro piccolo G. e gli sarò eternamente grata per aver scelto di raccontare la loro storia sul nostro sito.

– E’ stato un periodo molto difficile per voi. Due aborti spontanei mettono a dura prova molte coppie. Poi finalmente arriva la gravidanza, quella che funziona, che sembra funzionare. Raccontateci questo momento di gioia. 
Si, in effetti è stato un momento di gioia, anche se soffocata dalla preoccupazione di perderlo di nuovo, infatti R. non ha mai avuto problemi a rimanere incinta, piuttosto a portare avanti le gravidanze successive alla prima. Per questo abbiamo deciso di non dirlo a G. fino all’amniocentesi, quindi non ne potevamo parlare liberamente, abbiamo evitato gesti semplici, ma belli (come l’accarezzare la pancia) e poi abbiamo dovuto fare i conti da subito con la sensazione di R. che qualcosa non andasse per il verso giusto (non sappiamo se fosse un “segno premonitore”, un mezzo che la natura mette a disposizione delle mamme o semplicemente la cicatrice emotiva dei precedenti aborti).

– Poi è arrivato il momento della morfologica. Eravate li tutti insieme, voi due e vostro figlio. Cosa è successo?
Qualche giorno prima avevamo ricevuto i risultati definitivi dell’amniocentesi, era tutto OK! Non stavamo più nella pelle, volevamo comunicarlo a G., e l’abbiamo fatto. Lui è stato contentissimo di questo nuovo arrivo, anche perchè nei mesi precedenti avevamo fatto un lavoro di preparazione senza pari. Appena saputo che era un maschietto, G. ha deciso che si sarebbe chiamato Valerio (ci è andata anche bene, visti i nomi che certi fratellini danno…) e voleva a tutti i costi vederlo (forse per essere sicuro di quello che dicevamo o per la difficoltà di concretizzare un qualcosa che non conosceva). Gli proponiamo di venire con noi all’ecografia morfologica: non vede l’ora!!! In più in quei giorni, tutti e tre, abbiamo dato libero sfogo ai nostri gesti d’affetto nei confronti del nascituro: la pancia di R. era diventata la meta preferita delle carezze di G., cercava di sentire i movimenti del piccolo all’interno (devo dire con più difficoltà di quanto era successo durante la gravidanza di G., però ci siamo detti “ogni gravidanza è a se”), la usava come una radio: “Pesciolino (chiamavamo così G. prima di decidere il nome ed è rimasto il suo “nick name” fra di noi) a Pesciolino…”!
Ora immagina la scena: arriviamo dal ginecologo, con cui abbiamo molta confidenza, gli spieghiamo il perché della presenza di G. e lui ci dice che gli è arrivato da pochi giorni un nuovo ecografo 3D, sarà emozionante vedere il bimbo. Dopo aver scoperto la pancia di R. poggia la sonda, ma si fa subito scuro in volto, gli domandiamo se c’era qualche problema e lui dice: “ragazzi butta male!!!” Non c’è liquido e non cresce da almeno quindici giorni. Una sentenza! Cerchiamo di non far capire niente a G. e di distoglierlo dal fatto che non avrebbe visto il fratellino (immaginate quanto è stato difficile) e andiamo in ospedale.
Doveva essere una festa… è stato l’inizio della fine!

– Tre settimane nel limbo. Quale è stato il vostro stato d’animo in questo momento: la rabbia, la tristezza, la difficoltà di capire cosa stava succedendo? Cosa vi ha aiutato e cosa vi è sembrato impossibile da sostenere. 
La disperazione ed il senso di abbandono da parte dei ginecologi (tranne uno) che vedevano il nostro caso come una patata bollente da rimpallarsi per evitare denunce e problemi, fino a quando non fossero scaduti i tempi di legge per l’aborto terapeutico. Perché questo era la realtà! Ci è stato detto tutto ed il contrario di tutto: che la situazione non era abbastanza grave da permettere l’interruzione della gravidanza, che non si trattava di una malformazione genetica “sarrebbe stato più facile se fosse stato down”, che non c’erano posti letto liberi, che in realtà la condizione era seria, ma sarebbe comunque potuto arrivare alla 28° settimana e nascere (con quali prospettive di vita, visto che polmoni, reni, intestino e chissà cos’altro erano compromessi?), che la situazione era talmente seria che era inutile intervenire, tanto si sarebbe risolta da sola a breve. Nessuno (o quasi) si è preso la responsabilità di dirci come stessero veramente le cose, ad oggi non sappiamo quale sia stata la causa della rottura del sacco amniotico e dell’interruzione dello sviluppo del feto, anche qui ognuno dice la sua (l’amniocentesi, una disfunzione placentare, un’infezione…), capiamo che la medicina non è una scienza esatta, però…

I momenti più brutti per R. sono stati due. Il primo è stato in quello che chiama il “reparto macelleria”, il primo centro per l’interruzione della gravidanza (ne abbiamo girati 4 prima di desistere). È stata trattata come una bestia dalla responsabile, per il semplice fatto che non avessero posti letto e noi le avevamo chiesto aiuto. Una situazione allucinante nel dramma che stavamo vivendo, difficile da credere che una donna-medico possa trattare così violentemente un’altra donna in quello stato di fragilità emotiva, senza nemmeno provare a capirla. Il secondo alla fine della nostra disavventura, quando dopo aver comunque dovuto passare i dolori del parto, non ha avuto niente da stringere nelle braccia, da attaccare al seno…

Io la disperazione l’ho raggiunta nel secondo dei centri per l’interruzione, quando ho capito che nessuno ci avrebbe aiutato e che la “migliore delle ipotesi” era di aspettare che nostro figlio morisse prima di nascere: dilaniante per un genitore, ma l’altra possibilità era vederlo nascere, rianimare e sopravvivere per due giorni, una settimana, forse qualche mese, intubato ed in dialisi fino alla fine dei suoi giorni con le conseguenze che tutto ciò avrebbe inoltre avuto su G.

– E vostro figlio? Come si spiega ad un bambino quello che sta succedendo? Voi come vi siete comportati?
G. è stato sempre al centro dei nostri pensieri, sia perchè dovevamo mantenere un certo “contegno” in sua presenza, questo ci ha aiutati a reagire, sia perchè dovevamo avere ben chiara la strada da prendere: non potevamo dare una vita che non consideriamo tale al bimbo che aspettavamo ed un’infanzia infelice a G., magari con la mamma dedicata completamente ad accudire (oltretutto invano) il più debole. Come si spiega ad un bambino di cinque anni quello che è incomprensibile per un adulto? Non lo sappiamo. Abbiamo cercato, come facciamo sempre, di spiegare quello che stava accadendo, ma non potevamo dirgli tutta la verità. Per giustificare le continue visite in ospedale ed i due ricoveri gli abbiamo detto che la mamma aveva mal di schiena, ma lui continuava a chiedere del fratellino. A volte i bambini hanno più di un sesto senso… dovevamo dargli una spiegazione che non gli permettesse di colpevolizzare R. e che non potesse fargli avere la paura che lui stesso sarebbe potuto morire o ammalare gravemente, nello stesso tempo doveva capire che il fratellino non sarebbe mai nato e che sarebbe potuto rimanere figlio unico. Così R. ha preso il coraggio a quattro mani e gli ha detto che il dottore che ci aveva fatto vedere la foto del fratellino si era sbagliato, che quello era il bimbo della signora prima di noi e che nella pancia di mamma non c’era mai stato nessun bimbo. Pianti e urla di delusione e di rabbia, ma poi si è calmato ha fatto molte domande a cui abbiamo risposto coerentemente con la versione data e cercando di fargli capire che la sua pediatra ed i dottori che di solito frequentiamo sono molto bravi e solo quel dottore aveva commesso un errore grave per cui era stato punito. Abbiamo fatto bene? Non lo sappiamo. Abbiamo fatto quello che potevamo in un momento già difficile e che sarebbe potuto complicarsi ancora di più. Ad oggi G. non ha avuto reazioni strane o sospette, le maestre (molto attente) ci dicono che anche a scuola si comporta normalmente, disegna e gioca come al solito. Sicuramente psichiatri infantili ed insigni professori avrebbero trovato soluzioni migliori, noi abbiamo agito seguendo il cuore.

– Gli altri, i famigliari, gli estranei con le loro domande inopportune. Cosa non si dovrebbe mai dire in questi casi? C’è qualcuno che ha detto la cosa giusta, quella che vi ha fatto stare meglio?
Alcuni hanno fatto veramente molto, tutti ci sono stati vicini e hanno fatto tutto quello che potevano per aiutarci: partecipando al compleanno di G., che non abbiamo voluto saltare, e supportandoci nel gestire G., nel riferirci esperienze di altri e le soluzioni che avevano trovato, dandoci contatti con medici, centri all’estero o in altre regioni, offrendosi per consulenze mediche ed altro ancora. Anche solo una parola di affetto, un abbraccio e perfino un silenzio sono espressioni di solidarietà, quando non c’è una cosa giusta da dire. Nessuno ha detto niente di inopportuno, tutti hanno avuto una delicatezza ed un’attenzione incommensurabili, anche se a volte il dover aggiornare tutti è stato emotivamente impegnativo. Gli unici commenti sgradevoli sono stati quelli di chi (pochi per fortuna), senza nemmeno sapere quello che stavamo passando e la difficoltà di certe scelte, le criticava a priori.

– Cosa vorreste dire agli altri genitori? 
È difficile dire qualcosa a chi vive questo tipo di esperienza, perché sappiamo quanto siano duri ed assurdi questi momenti. Vorremmo fare qualcosa di concreto per aiutarli, ma non ci viene in mente qualcosa di valido. Visto il così ampio numero di lettori di questo blog, vi chiedo di darci un suggerimento, sono sicuro che usciranno fuori molte belle idee. A tutti gli altri possiamo dire che per noi è stato fondamentale trovare i riferimenti medici giusti: persone che ci hanno semplicemente detto, a parole e nei fatti, “non vi abbandono”. È importante farlo in tempi non sospetti, perché in quei momenti il tempo stringe e può non essere abbastanza per allacciare certi rapporti e si possono commettere sbagli clamorosi. La fretta, la disperazione, qualche consiglio sbagliato ed una legislazione medioevale, per certi aspetti, possono far fare scelte non corrette.

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38 thoughts on “Quando l’aborto terapeutico non è possibile”

  1. Mah, la perfezione a tutti i costi! questo leggo tra le vostre righe! e se vostro figlio avesse un problema a 2 anni?? a 3?? a 4?? ah già, c’è sempre l’eutanasia. Bel mondo nel quale sto vivendo e dove metterò al mondo mio figlio! scusate ma non vi capisco, ne come persone ne come genitori. Io che ho fatto i miracoli per avere mio figlio a 44 anni e che mi sono rifiutata di fare qualsiasi controllo che non fosse una semplice ecografia. Piccolo mio comunque arriverai la tua mamma ti acceterà! p.s. mi sbaglio oppure state vivendo tutti con dei sensi di colpa enormi?? non era meglio avere il coraggio di arrivare fino in fondo?

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    • @Daniela il punto è proprio nel fatto che ognuno dovrebbe essere libero di fare le proprie scelte e arrivare fino in fondo ad esse senza che altri cerchino di imporre le proprie. Spero per te di riuscire sempre a portare avanti le tue.

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  2. siamo in tanti…genitori che hanno dovuto affrontare questo terribile dolore…ho scoperto alla 25 settimana di gravidanza che mio figlio non muoveva gambe,piedi, braccia e mani…malattia neurologica degenerativa, mi hanno detto, una vita destinata in un letto attaccato ad un respiratore…NO!!!! ho detto NO!!! una vita così per la persona più importante della mia vita non l’ha voglio…In italia, freddezza, ore di anticamera, mi hanno detto “Sig.ra partorisca e lo lasci in ospedale, finirà in qualche casa di cura”…Sono partita per Parigi e ho interrotto la gravidanza,ho partorito il primo febbraio 2012, tra medici e infermiere che hanno capito, compreso e rispettato il mio dolore.
    Ora…voi dite la vita comunque ad ogni costo???? e che vita sarebbe stata quella di mio figlio? Onestamente se di dicesserò che passerai la tua vita immobile in letto tu vorresti nascere lo stesso??? Io ho scelto per il mio bambino…l’unica scelta possibile per dimostragli quanto grande era l’amore della sua mamma e del suo papà….

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  3. A chi giudica senza sapere, cosa dovrei rispondere? Che dopo un anno ogni mattina mi sveglio pensando se è giusto o sbagliato quello che ho fatto? Che ho violente crisi di pianto e sento il mio cuore dilaniarsi dal dolore? Che mi guardo allo specchio perchè mi vergogno per quello che ho fatto, di certo non davanti ai vostri occhi, ma davanti a quelli della mia bambina che ho deciso di non far vivere? Mi chiedo tutti i giorni se sono una brava madre. Poi penso a mia zia, che ha una figlia disabile e che corre per tutta Italia, di centro in centro per cercare un posto dove poterla inserire,visto che quando è in casa con loro le picchia, ha crisi di una violenza inaudita e mia zia deve rendere conto anche ad una figlia più piccola. Allora mi dico no. Non volevo una vita del genere per la mia piccola Lara. Giudicate, ma solo io so cosa significa ricordare il momento in cui l’ho sentita uscire da me. Morta. Se una madre arriva a fare questo è perchè guarda al futuro. Ho guardato al suo futuro. Dio mi giudicherà, anche se a volte mi chiedo se esiste davvero, perchè non è giusto dover vivere un dolore così grande.

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  4. In aggiunta all’intervista di Serena, vi aggiungo la nostra esperienza (che purtroppo ha le stesse caratteristiche) e nonostante i 5 anni passati e i 2 splendidi e bimbi venuti al mondo dopo, non riesco ad archiviare…
    Per i protagonisti dell’intervista: purtroppo non siete gli unici, ci sono molte più persone che devono passare queste esperienze di quelle di cui in realtà si sa. Tenete duro e combattetete per ottenere quello che volete. In bocca al lupo

    Da http://www.whymum.it/c-1470-Citomegalovirus

    —————————————

    Scrivo questo racconto dopo circa sei mesi da quando i fatti sono accaduti. Sono estremamente sereno e sempre più convinto di aver compiuto una scelta responsabile.

    Siamo una coppia non sposata residente a Milano. Entrambi abbiamo circa 35 anni ed abbiamo sostenuto studi universitari superiori in chimica-fisica ed ingegneria meccanica; ciò è scritto non per vanto ma per contestualizzare il racconto. Dopo aver convissuto per quattro anni, abbiamo deciso di creare una famiglia. Pur non essendo credenti, riteniamo che la nascita di un figlio sia il vero suggello di un rapporto di coppia. Dopo poco tempo riusciamo nel nostro intento.

    Alla XII settimana di gravidanza, effettuiamo le analisi del sangue di routine. Il risultato indica che vi è stata una recente infezione da cytomegalovirus. Il medico curante ci tranquillizza perché se l’infezione fosse avvenuta prima della gravidanza il feto non correrebbe alcun rischio.

    Ci rivolgiamo all’ospedale Buzzi, che è noto a Milano per la competenza dei medici. Il Buzzi è un ospedale gestito dall’Istituti Clinici di Perfezionamento come l’Ospedale Mangiagalli.

    Il medico dell’Ospedale Buzzi è stato molto cordiale anche se reticente nel rispondere a domande dirette sui rischi di malattia al feto. Il suo consiglio era di compiere tutti gli accertamenti “passo dopo passo” senza precorrere i tempi. Per carattere o per formazione i tempi li avevamo già anticipati leggendo articoli e raccogliendo informazioni. Abbiamo quindi insistito per un confronto che chiarisse e confermasse la nostra conoscenza minimale degli effetti potenziali dell’infezione sul feto. Il medico, pur contrariato, ha confermato i dati per cui:

    – se il virus è contratto prima del concepimento, il feto non corre alcun rischio;

    – se il virus non è entrato nel liquido amniotico, il feto non corre rischi superiori a quelli di una normale gravidanza;

    – se il virus è penetrato nel liquido amniotico e quindi è accertato che il bimbo ha contratto l’infezione, vi è il 10% circa di rischio che il bambino sia affetto da gravi malattie (grave ritardo mentale, prematurità e sordità), il 20% circa di rischio che il bambino sia affetto da malattie quali lievi ritardi di sviluppo psicomotorio o sordità ed il 70% circa di possibilità che il bambino sia sano. Il rischio è tanto maggiore quanto prima la madre ha contratto il virus.

    A domanda precisa il medico ci ha assicurato la sua disponibilità ad eseguire l’aborto terapeutico in qualsiasi momento. E’ corretto scrivere che il medico in seguito ha negato di aver dato tale disponibilità e che quanto da noi compreso era frutto di un malinteso.

    Il suggerimento del medico è stato di non anticipare le decisioni ma di proseguire “passo dopo passo”. L’ospedale Buzzi ci ha indirizzato al dipartimento di malattie infettive dell’ospedale S. Matteo di Pavia, a cui si affida per le problematiche alle malattie infettive, per cercare di datare l’infezione.

    Alla XIII settimana, gli accertamenti del San Matteo datano l’infezione intorno alla terza settimana di gravidanza.

    La notizia ci lascia una speranza e decidiamo di effettuare l’amniocentesi presso il Buzzi per verificare se il virus è penetrato nel liquidi amniotico e quando. Ciò vuol dire attendere cinque settimane nelle quali ci siamo ulteriormente documentati, abbiamo parlato con amici e parenti medici e con gli esperti che avevano tutta la nostra fiducia.

    Poco prima dell’esame con serenità e consapevolezza decidiamo di comune accordo che mettere al mondo un bimbo affetto da malattie mentali è irresponsabile e che il 20% è un rischio troppo elevato per scommettere. Questa è la nostra opinione che non pretendiamo sia universalmente condivisa ma che esigiamo abbia la dignità di essere rispettata. Gli studi di statistica effettuati, qui mi vanto ricordando di aver dato ripetizione di statistica ad alcuni studenti di medicina, mi aiutano a ricordare che l’evento una volta accaduto rappresenta il 100% delle possibilità. La statistica è uno strumento prezioso ma è anche un gioco pericoloso quando si scommette sulla dignità della vita umana. Lo ripetiamo la pretesa non è di diffondere la verità o la giusta via ma di essere ascoltati quando si parla di un evento che può condizionare il 100% della propria vita e di quella del proprio figlio. Nessun medico od esperto o referendum può rispondere al nostro posto se è responsabile mettere al mondo un bambino affetto da ritardi mentali gravi o lievi.

    Il venerdì della XVIII settimana di gravidanza, siamo convocati all’Ospedale San Matteo, dove era stato portato il liquido amniotico. Il medico ci comunica che il liquido amniotico è stato infettato dal virus intorno alla terza settimana di gravidanza e ci spiega nuovamente tutti i rischi per il feto. Il medico ci consiglia di eseguire l’esame del sangue fetale e l’ecografia morfologica per ridurre il rischio di malformazioni dal 30 al 20%. Ci informa anche della possibilità di abortire subito, senza esami aggiuntivi o di non compiere più alcun esame ed andare avanti con la gravidanza.

    Trascorso il fine settimana soppesando nuovamente le diverse possibilità, decidiamo pur con sofferenza di esercitare la nostra libertà di decisione.

    Il lunedì della XIX settimana di gravidanza comunichiamo al medico dell’ospedale Buzzi la nostra intenzione di eseguire l’abortire terapeutico. Il medico, nonostante il parere del medico di Pavia, ci nega il consenso. Smentiti i precedenti pareri dei colleghi sulla possibilità di effettuare l’aborto terapeutico, il medico ci comunica che è obbligatorio proseguire “passo dopo passo” ed eseguire l’esame del sangue fetale alla XXII settimana e l’ecografia morfologica. Sorpresi dall’improvviso cambio di atteggiamento e dall’evidente irritazione del medico, chiedo di poter incontrare il responsabile del reparto. La mia compagna, già in agitazione e desiderosa di giungere al più presto ad una conclusione, perde parte della propria lucidità ma non la determinazione. Il giorno seguente fissiamo un incontro con il responsabile di reparto per mezzogiorno in punto; chiediamo di ritardare l’incontro ma più tardi il responsabile di reparto non è disponibile.

    A mezzogiorno di martedì ci presentiamo all’ospedale. Il responsabile del reparto ed il medico, dopo esserci passati più volte davanti senza degnarci di uno sguardo, ci ricevono alle quattordici e trenta. Sospetto che non accettare di ritardare l’appuntamento nonostante una mia esplicita e giustificate richiesta, lasciarci in sala di attesa senza informazioni e senza pranzare sia stato un atteggiamento meditato e finalizzato ad indebolire la nostra sicurezza ed a porre l’accento su chi fossero i detentori del potere decisionale.

    Il responsabile di reparto chiede di raccontare la sua esperienza alla mia compagna. Il medico interviene sovente bruscamente cercando di confondere o di trovare imprecisioni o falle nei dati del resoconto. La posizione del medico era che i dati a disposizione in quel momento non permettevano di stabilire se il feto fosse o meno malato e che l’infezione del feto da cytomegalovirus non è un indicatore sufficiente per approvare un aborto terapeutico tanto che in alcuni paesi moderni quali USA e Francia non si effettua l’analisi durante la gravidanza. Il suo suggerimento era di proseguire con le analisi e solo nel caso in cui l’ecografia morfologica avesse evidenziato malformazioni, si sarebbe proceduto con l’aborto terapeutico. L’ecografia non avrebbe escluso il 20% di rischio associato a malformazioni minori (ritardo mentale o sordità) ma d’altro canto a tutte le gravidanze vi è associata una percentuale di rischio non eliminabile. Si è proposto, infine, di comunicarci l’indirizzo di un ospedale Francese dove sono effettuati aborti anche dopo la XXIII settimana nel caso in cui fossero subentrate complicazioni in fase avanzata di gravidanza.

    Dopo essere stati sottoposti per circa mezza ora ad un interrogatorio sui contenuti della legge 194 e sulle statistiche concernenti l’infezione da cytomegalovirus, il cui unico scopo era dimostrare che non eravamo preparati per prendere una decisione, la discussione ha assunto toni di diverbio. La mia compagna ha più volte espresso il desiderio di interrompere l’incontro ed il primario ha più volte affermato che dovevamo avere fiducia in lui o cambiare istituto. Il primario ci ha, infine, accusati di ignorare il risultato del referendum riguardante la procreazione assistita del giugno 2005 (legge 40). Il medico assistente non è intervenuto durante l’intero incontro, mantenendo sempre un atteggiamento di riverenza e approvazione nei confronti del primario e di diniego nei nostri.

    Terminato l’incontro, la mia compagna si allontana lasciandomi solo con il responsabile di reparto. Approfitto dell’occasione per ripetere al medico che la mia compagna è assolutamente certa e consapevole della scelta e che ritardarla incederebbe unicamente sulla sua serenità e sul suo equilibrio psichico. Con aria rassicurante e paterna, l’uomo mi spiega che le donne gravide non sono psicologicamente stabili e che non sono consapevoli di ciò che desiderano; in realtà lui sa perfettamente che la mia compagna vuole proseguire nella gravidanza avendo vissuto già centinaia di queste situazioni. Ho capito di non essere stato ascoltato durante l’intero incontro perché quell’uomo è assolutamente certo di conoscere ciò che è giusto o sbagliato e non è sfiorato dal dubbio che qualcheduno possa avere delle opinioni degne di essere prese in considerazione. Desidero precisare che non condanno l’istituzione ma richiamo la comunità affinché rivendichi chiaramente il diritto di libertà di scelta e non lasci al singolo l’illusione di poter essere il “padre eterno” del futuro altrui. L’ospedale Buzzi è un’ottima struttura con personale preparato e disponibile; il responsabile del reparto è probabilmente un bravo medico ma certamente un uomo misero.

    Fissato un appuntamento per effettuare l’ecografia morfologica all’ospedale Buzzi, tentiamo tramite l’aiuto di parenti e amici di incontrare altri medici per capire al meglio come procedere. In poche ore e solo perché abbiamo la fortuna di conoscere persone informate, organizziamo contemporaneamente un incontro con l’equipe dell’ospedale Mangiagalli di Milano, con l’ospedale Santa Orsola di Bologna, con un Ospedale di Lugano e con un altro in Spagna.

    L’ospedale Santa Orsola non vuole prendere in considerazione il nostro caso perché già valutato da un altro ospedale italiano.

    Il giovedì senza attese incontriamo la gentile psicologa ed il venerdì sempre senza attendere il ginecologo dell’ospedale Mangiagalli. L’equipe tecnica dichiara che esistono gli estremi per un aborto terapeutico ma che si deve attendere il ritorno del direttore sanitario, che deve dare l’approvazione legale a procedere. Ci informano che l’approvazione legale non è certa nonostante il benestare tecnico perché in questo momento la legge italiana non è chiara.

    Il venerdì contattiamo telefonicamente gli ospedali sia di Lugano sia spagnolo e raccontiamo ai medici la nostra esperienza. Entrambi ci comunicano la loro disponibilità ad incontrarci e rimangono perplessi ed increduli dell’atteggiamento della sanità italiana.

    Il lunedì mattina della XX settimana il direttore sanitario della Mangiagalli non dà l’approvazione legale. Nonostante il parere contrario, ringrazio il personale dell’ospedale Mangiagalli per la gentilezza, la professionalità e soprattutto per la trasparenza di informazione che ci ha ridato la dignità di interlocutori.

    Il lunedì notte della XX settimana siamo in viaggio per la Spagna. Partiamo immediatamente perché entro lo scadere della XX settima è possibile eseguire l’aborto terapeutico tramite la tecnica della dilatazione ed evacuazione; più tardi è utilizzabile solo la tecnica del parto indotto con un impatto psicologico maggiore.

    Il martedì riprendiamo la prassi nota; analisi del sangue, ecografia, incontri con il medico ginecologo, discussione con lo psicologo, attesa dell’approvazione da parte del direttore sanitario. La prassi medica spagnola è simile a quella italiana anche le domande, cambiata la lingua, sono le medesime. Capiamo però che è diverso l’atteggiamento del medico quando dopo una lunga discussione, ci ha detto che il suo compito è di illustrare al meglio della propria conoscenza e capacità la situazione che il paziente vive ed i rischi e dolori a cui andrà in contro ma che la decisione finale su come procedere spetta unicamente al paziente. Ci comunica che qualsiasi sarà la nostra decisione lui e la sua equipe ci forniranno il pieno supporto medico, psicologico e soprattutto umano; così è stato.

    Dopo un’ecografia da cui risulta che le dimensioni del feto corrispondono alla XIX settimana, i medici decidono di procedere con la tecnica della dilatazione ed evacuazione. Il mercoledì mattina la mia compagna è operata. Non essendoci complicazioni ed essendo il feto più piccolo di quanto risultava dall’ecografia, la sera la mia compagna è dimessa dall’ospedale. Rimaniamo in Spagna altri tre giorni per compiere i controlli e per permettere alla mia compagna di riprendersi e rientriamo in Italia.

    Chiedo perché quando abbiamo avuto bisogno di un supporto medico e soprattutto umano siamo dovuti fuggire all’estero come galeotti e se è civile e democratico che solo chi ha disponibilità di risorse economiche, di tempo e di conoscenze può esercitare il diritto di libertà di scelta.

    Poco dopo essere rientrato, ho visto una vignetta di Forattini in cui un operaio afferma sconsolato di voler dare le dimissioni da cittadino italiano. Mi sono riconosciuto ed ammetto di aver pensato di trasferirmi all’estero.

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  5. ciao valentina,
    sono una documentarista, ho passato un’esperienza di aborto in realtà molto molto fortunata rispetto a quelle raccontate qui, ma ho sentito l’urgenza di parlare di questo tema e della situazione italiana fuori dai soliti schemi ideologici di questo paese e avvicinandomi finalmente alla realtà. Per questo sto raccogliendo storie come la tua per riunirle in un documentario, per ora totalmente autoprodotto. Se te la senti mi piacerebbe incontrarti per una chiacchierata. O magari scambiare intanto con te qualche impressione via mail. Non commento qui la tua esperienza che si commenta da sola, come anche certi giudizi.
    P.S. Sono a roma anch’io.
    Grazie. Michela.

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  6. Solo una persona degna di essere tale può compiere un simile gesto d’AMORE.. Valentina fatti forza, perchè qualcuno da lassù ti ringrazia per non averle dato una sopravvivenza fatta solo di sofferenze……

    PS
    Cara Sig.na Frangipane ne sa qualcosa di celebrolesi, funzioni del corpo calloso, malattie genetiche & co.?
    Conosce qualcuno che vive su una sedia a rotelle immobile, senza la capacità di riconoscere suoni, odori, e colori e alimentato da una sonda?

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  7. Chiedo scusa in anticipo a tutti i lettori, sto per fare una cosa orrenda ma non riesco a trattenermi.
    Chiara, Serena ti ha risposto in maniera molto educata ed equilibrata, ma io non ci riesco. Voglio solo chiederti: ma come ti permetti? Chi ti credi di essere per giudicare persone che neanche conosci in un modo così brusco e sbrigativo? Non credi che abbiano già sofferto l’indicibile? Non pensi che sia proprio a causa di giudizi così negativi, sbrigativi e mi permetto di definire offensivi che è così difficile parlare di queste cose e l’ignoranza regna sovrana? Se esperienze di questo tipo (rare, fortunatamente) fossero maggiormente note, le coppie non sarebbero travolte dagli eventi come lo sono stati loro. Ma è a causa di comportamenti come il tuo che la gente ha paura o pudore di parlarne, e questo non aiuta nessuno.
    Chiedo di nuovo scusa per lo sfogo.

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  8. Chiara purtroppo credo che queste situazioni non sia possibile giudicarle dall’esterno, dichiarando a priori cosa è giusto e cosa è sbagliato. Le cose vanno vissute in prima persona per poter dire “io farei” e anche in quel caso nessuno ti da mai il diritto di giudicare la scelta di un altro, soprattutto in una situazione estrema come la nascita di un figlio con delle capacità compromesse a questi livelli.
    Per’altro il post parla di una coppia che aveva già subito due aborti spontanei, e dal tono stesso del racconto si capisce che non è stata una decisione presa a cuor leggero. Ci vuole tanto amore per la vita per scegliere di abortire. Purtroppo però a questa coppia non è stata concessa possibilità di scelta, e la natura ha fatto il suo corso.

    Io credo che una scelta fatta con il cuore, come avrebbero voluto farla loro (e insisto non gli è stato concesso), abbia comunque diritto come minimo ad un po’ di comprensione.
    Quello che io trovo sinceramente inqualificabile è la mancanza di empatia nei confronti di una situazione come questa, soprattutto da chi professa amore per la vita. Altrimenti temo che stiamo parlando solo di dogmi, e allora è tutto un’altro discorso.

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  9. Assolutissimamente in disaccordo con i due coniugi. Per carità, la legge consente tutto ciò quindi purtroppo ognuno è libero di ricorrere all’aborto terapeutico, però è una cosa assolutamente ingiusta. Un genitore deve lottare per dare la vita e non per toglierla, e toglierla solo perché il bambino sarà malato o avrà poche possibilità di sopravvivenza lo trovo inqualificabile come gesto.
    Da una madre

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  10. Io e mio marito abbiamo dovuto prendere una delle decisioni più dolorose della nostra vita. Abbiamo dovuto interrompere la gravidanza alla 23 settimana perchè la bambina aveva una malformazione cerebrale. E’ successo tutto il 23 novembre, dopo due settimane di attese, false speranze, corse dei medici.
    L’Italia fa schifo e ora ne abbiamo avuto un’ulteriore prova.
    Il 12 novembre ho fatto la prima morfologica, a 22 settimane e 1 giorno al Fatebenefratelli di Roma. L’ecografia era iniziata bene, poi ci hanno spostato di stanza perchè volevano vedere meglio una cosa…la mia vita si è fermata, ho iniziato a piangere ancora prima di sapere cosa stesse succedendo. La ginecologa ha cercato di tranquillizzarmi dicendo che non riusciva a vedere una cosa ma probabilmente dipendeva dalla posizione della bambina. “Ritorni tra un’oretta”…Torniamo…stessa cosa. Mille sguardi su quel monitor a vedere la dilatazione dei ventricoli un pò preoccupante ma ancora nella norma…non si riesce a vedere il corpo calloso, forse si…”Non si preoccupi! Si mi sembra di vederlo! Facciamo così…torni tra una settimana! Non si preoccupi, ci sono persone che vivono senza corpo calloso e sono normali! Certo ci sono anche quelle che non lo sono, non è possibile fare una diagnosi.”
    Abbiamo telefonato alla mia ginecologa che non poteva riceverci. “Stai tranquilla, torna da loro tra una settimana, se questa dilatazione aumenta, ci organizzeremo di conseguenza.
    La settimana più lunga e orribile, con la tentazione di guardare su internet cosa fossero questi ventricoli, ma la certezza che probabilmente si stessero sbagliando.
    Arriva giovedì pomeriggio (23 settimane):” Signora mi dispiace questo corpo calloso non riusciamo proprio a vederlo. Chiamo il responsabile di ginecologia, così controlla lui.” Niente, mi spingono sulla pancia, cercano cercano ma non c’è e la dilatazione è pure aumentata. Non si può fare una diagnosi precisa mi dicono. Potrebbe essere una bambina vegetale, con il ritardo dello sviluppo motorio, linguistico. Il mondo ci è crollato esattamente addosso. Nessun sospetto di niente fino a quel pomeriggio, niente di niente. E poi tutto cambia. Chiediamo se possiamo interrompere la gravidanza, lo chiedo sentendomi la madre più orribile del mondo. Mi dicono di si, di pensarci nel fine settimana.
    Usciamo di là e iniziamo a fare mille telefonate. Chiamo la ginecologa che ci dice di andare da lei il giorno dopo. Andiamo da lei e ci dice che ha sentito una ginecologa del SAN Giovanni che le dice che qui non possiamo fare più niente, che ci sono delle linee guida nazionali per qui non possiamo interrompere la gravidanza dopo le 22 settimane e 6 giorni. Le rispondo che loro mi hanno fatto fare la morfologica così tardi, che non è possibile che i ginecologi non siano a conoscenza di queste linee guida. L’unica alternativa che abbiamo è andare a Barcellona! BARCELLONA!!!
    Corriamo al San Giovanni a parlare con questa ginecologa. Mi conferma tutto, qui non si può più fare. Chiamo la psicologa della scuola dove lavoro per sapere qualcosa di più su questa patologia e mi dice che non può dirmi molto e mi mette in contatto con un genetista per il giorno dopo. Chiamo anche una collega di scuola che conosce un neuropsichiatra che lavora con questi bambini. Ci riporta racconti orribili, operazioni al cervello, ritardi mentali. Ma a noi hanno detto che ci sono persone che vivono senza corpo calloso…una stronzata ci rispondono. nON è VERO. Giorno dopo dal genetista, persona molto sicura di sè che ci illustra la situazione e ci dice che non è vero che qui in Italia non si può fare più nulla. Andate dalla Scasselati al San Camillo. Ma è sabato e lei il fine settimana non c’è. Cerco su internet, trovo l’email e le scrivo. intanto contatto la clinica di Barcellona che ci chiede 3500 euro e ci da un appuntamento per martedì mattina. Lunedì mattina vado e trovo questa ginecologa, incazzata nera con tutti perchè andiamo tutte da lei, perchè nessun ginecologo vuole prendersi più queste responsabilità, perchè ci fanno fare le visite troppo tardi. Guarda le ecografie e mi dice che non c’è niente da fare sarebbe sulla sedia a rotelle. Mi ricovera, ma prima devo passare dallo psichiatra che scrive sulla mia cartella che soffro di una depressione in seguito alla scoperta di questa cosa che nn mi permette di adattarmi alla situazione. “Sa in questi casi si parla di aborto terapeutico e ci deve essere una motivazione di salute per il bambino di vita o morte o un problema psichico della mamma”
    Il resto non ve lo racconto perchè anch’io vorrei non dovermelo raccontare da qui all’eternità. So solo che ho dovuto partorire la mia bambina, senza nessun tipo di anestesia, senza il supporto di un’ostretica perchè mi ripetevano che avevano da fare con altre donne, che avrei potuto partorire la mia bambina da un momento all’altro. Ho dovuto fare tutto da sola, trovare la posizione che mi permettesse di finire tutto al più presto e i medici sono arrivati 1 minuto esatto prima che lei nascesse. Da quel martedì pomeriggio non c’è più la nostra Lara e io non so da che parte ricomninciare, come guardarmi allo specchio, come guardare la nostra prima figlia, E. E’ difficile ma so che solo con mio marito ed E. potrò superare questo momento così tragico e difficile.
    Mi ripeto che non potevamo far nascere una bambina malata, malata al punto di non poter godere delle meraviglie che questo mondo che sembra solo una gran merda a volte ci riserva. E’ giusto e’ sbagliato. Non lo so ognuno di noi la pensa diversamente. Da dove ricominciare?

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  11. Io posso parlare della mia esperienza, ero alla 25 e aspettavo 2 gemelli maschi ed eravamo super entusiasti: 2 in colpo solo, così avrei partorito 1 volta sola e loro avrebbero fatto le stesse esperienze e si sarebbero fatti compagnia, ma una domenica pomeriggio mi vennero le contrazioni (meno male che ero con mia mamma e lei capì subito). Corsa in ospedale e dopo visita mi dissere che praticamente ero pronta x partorire, ma i gemelli non erano pronti x sopravvivere e mi diedero un farmaco x bloccare le contrazioni, che però provocava tachicardia. Penso sia stato la notte più lunga della mia vita, tremavo tutta, non riuscivano a farmi neanche i prelievi, il cuore impazziva e io e mio marito dovevamo decidere se andare avanti ancora 1 mese o 2 sotto farmaci x cercare di completare gli apparati respiratori o lasciare che la natura facesse il suo corso.
    Devo dire che l’ospedale e i medici sono stati gentilissimi e mi hanno aiutato a capire quale fosse la reale situazione e le aspettative x il futuro dei mei gemellini e mie (nonostante i farmaci io continuavo a sentire le contrazioni). Abbiamo scelto di non forzare la natura e alla 25 settimana ho partorito sotto anestesia, ma ovviamente senza nessuna speranza per i miei gemellini.
    Devo dire che ho trovato dei medici eccezionali, ma tutta la struttura mi ha aiutato, anche se non ho mai capito cosìè successo, dicono che ho preso un’infezione, peccato che 4 gg prima del fattaccio, ero stata in ospedale al controllo, ed era tutto a posto … ma io penso che non bisogna forzare la natura, vuol dire che era destino. Poi sono arrivati Walter e Gaia e sono la gioia della mia vita. Scusate se sono stata prolissa.

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  12. Mi viene da piangere… Trovo sconvolgente che si debba passare attraverso questo calvario di rimpalli, giudizi morali e incertezza, quando si vive già una esperienza straziante e dilaniante.

    Ricordo bene la storia di una donna colpita da CMV: il bambino rivelava malformazioni incompatibili con la vita, e nessuno in Italia ha voluto aiutarli, nonostante la Legge fosse dalla loro parte. Hanno dovuto recarsi in Spagna.

    Ma questo del resto è lo sport italiano per eccellenza: nessuno ha mai responsabilità di nulla. Dal bambino piccolo, al politico di turno. Sono veramente arrabbiata!

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  13. Quando una mia amica scopri’ di aver contratto il CMV durante la seconda gravidanza, era gia’ ai limiti dei termini per l’IVG. La sua ginecologa le prospetto’ la possibilita’ di andare ad abortire in un altro paese europeo (sinceramente non mi ricordo quale, forse l’Inghilterra) che aveva dei termini piu’ ampi dei nostri. L’avrebbe messa in contatto lei con una clinica o un ospedale. Non so se la cosa sia legale, comunque tanto di cappello alla ginecologa: le ha fatto l’amniocentesi il piu’ tardi possibile per verificare se il virus fosse passato alla bimba, ha rifatto le analisi credo 3 volte e si e’ assicurata che il virus non fosse passato (certo, la certezza non si ha, ma con credo il 95% di probabilita’ la mia amica ha scelto di portare avanti la gravidanza). E’ andato tutto bene, la bimba ora ha 5 anni e nel frattempo ha avuto un altro fratello.
    Un abbraccio a voi, non ho parole per la vostra esperienza. Voglio solo farvi i complimenti per essere riusciti, in tutto quel marasma emotivo, a mantenere la lucidita’ e seguire i vostri cuori per il bene del piccolo G. E altri complimenti per avere avuto il coraggio di condividere i vostri drammi con noi. Grazie.

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