C’è un personaggio che, più di molti altri, è entrato nell’immaginario collettivo di questo Paese come il topos dell’eroe buono: un atleta straordinario nello sport più praticato, visto e sognato d’Italia; un uomo onesto e umile, pure dalla cima dell’olimpo sportivo; un padre, un marito, fedele a entrambi i ruoli e fedele a una bandiera come nessuno mai; un un uomo generoso, che molto ha guadagnato e molto ha donato, possibilmente in silenzio, senza clamore; un personaggio pubblico che non si è mai trincerato dietro una barriera e si è sempre donato al suo pubblico. Non credo sia neanche necessario scrivere il suo nome: questa descrizione appartiene inequivocabilmente a Francesco Totti.
Il più fine intellettualismo si sta esercitando in questi giorni nello smontare la sua immagine e la sua carriera, mettendone in evidenza tutto il provincialismo e la mancanza di orizzonti.
Ciò non toglie, però, che per molti, assai di più degli intellettuali da tastiera, Francesco Totti è un modello. Con 28 anni di questa carriera, limpida e riconosciuta dai più, lo è e lo è stato per almeno tre generazioni di uomini, dalla loro infanzia, fino all’età adulta.
Proprio nell’ultimo atto della sua (prima) carriera (perché il futuro di un quarantenne è vasto), ha compiuto un’altra prodezza, qualcosa di epico, qualcosa che pochi eroi hanno avuto il coraggio di ammettere davanti a un pubblico: ha confessato di avere paura del futuro.
“…spegnere la luce non è facile, adesso ho paura, non è la stessa cosa che si prova davanti alla porta. Concedetemi un po’ di paura, stavolta sono io ad aver bisogno di voi e del vostro calore, quello che mi avete sempre dimostrato. Solo con il vostro affetto riuscirò a buttarmi in una nuova avventura.”
– Francesco Totti –
Perché questo discorso mi sembra così importante? Perché nessuno dice ai bambini, maschi, che avere paura è lecito, comune, normale, spesso necessario. L’eroe di tutti i maschietti italiani e neo-italiani, che amano il calcio, che siano ora bambini o lo siano stati, ha semplicemente detto al suo pubblico che ha paura del cambiamento.
Se lui è un modello, e lo è davvero, non solo perché ritenuto tale da molti, ma perché ha meritato di esserlo, tutti, tutti i bambini, i ragazzi, i giovani uomini e i loro padri, possono avere paura.
Francesco Totti ha educato alla naturalità della paura.
Quanti bambini che lo hanno ascoltato quel giorno, hanno capito che si può aver paura di cambiare scuola, paura di non vedere più gli amici perché si va ad abitare altrove, paura perché mamma e papà hanno deciso che non vivranno più insieme. Quanti ragazzini hanno capito che si può avere paura di crescere, di vedere il corpo che cambia, di varcare la soglia di una scuola superiore o di un campo sportivo nuovo. Quanti ragazzi hanno capito che si può aver paura di iniziare a lavorare, di andare via dalla casa dei genitori, di affrontare un viaggio all’estero. Quanti uomini hanno capito che si può aver paura di diventare padre.
La novità è che il Capitano ha paura: no, non quella che si prova davanti alla porta prima di calciare, piuttosto paura che domani non ci sia più una porta davanti alla quale calciare, che domani non sia più come oggi, che la vita vada avanti più veloce di noi, paura di restare indietro. Una paura assolutamente identica a quella di tutti, tutti quelli che non sono supereroi.
E la novità è che ha parlato della sua paura anche in quegli ambienti sociali dove ancora si dà della “femminuccia” a un bambino che piange, senza neanche il dubbio che sia riprovevole. In tutti quegli ambienti dove ancora di dà del “frocio” a un ragazzino che non ha voglia di giocare a pallone, senza pensare che sia una ferita. Perché il Capitano è ascoltato anche in quei luoghi dove c’è poco spazio per gli intellettuali che lo definiscono un provinciale, dove ancora il confine da varcare è un quartiere o una borgata e non c’è internet che abbatta ancora certi muri.
Educare ed educarsi alla paura è una delle forme più efficaci di prevenzione: sapere che tutti hanno paura quanto te, ti salva, ti rende parte della comunità, ti assolve ed è in fondo l’unica percezione che stimoli al coraggio.
L’uomo, maschio, eroe e modello di ogni forma di virilità, perché atleta , padre, compagno, virilmente bello, amato e stimato, sano di mente e di corpo, senza ombre, ha semplicemente paura.
Questo consente a tutti gli uomini, maschi e meno eroi, di averne, restando maschi, figli e padri, compagni e amici.
Maschi, potete avere paura, soprattutto del cambiamento, lo ha detto il Capitano! Potete averne come le donne e femmine, soprattutto potete averne insieme a loro. Potete aver paura di sbagliare – pure di tirare il calcio di rigore – e di cadere; potete insegnare ai vostri figli, maschi e femmine, ad averne senza esserne sopraffatti; potete chiedere di essere consolati e rassicurati; poi potete imparare a tirare avanti anche con la paura, finché non l’avrete vinta e superata.
Totti non basta, però. E’ molto, perché è sicuramente un modello riconosciuto che ha deciso di comportarsi in modo contrario a uno stereotipo, ma non basta se viene criticato per questa sua ammissione. Non basta se gli viene perdonata giusto perché è lui. Questo comportamento deve essere preso come occasione: Francesco Totti ci ha dato un’opportunità. Quella di parlare ai nostri figli, maschi per primi, della paura, perché sarà spesso la paura a tenerli vivi, sani e liberi dai condizionamenti.
Ammettere la paura, prima di tutto a se stessi e poi imparare ad ascoltarla come campanello d’allarme, previene le azioni sconsiderate, rinforza l’autostima e ci rende solidali ed empatici.
Ah, quando mai al cuore dell’uomo
Fu meno che un tradimento
Lasciarsi alla deriva delle cose,
Cedere con grazia alla ragione,
E piegarsi e accettare la fine
D’un amore e d’una stagione?(da: Riluttanza – di Robert Frost)