Occuparsi o preoccuparsi?

A frequentare la Sig.ra Luana Troncanetti, scrittrice umoristica, alias La Staccata nel suo blog Tacchi? No grazie, ho smesso… (dal titolo del suo libro d’esordio “Le mamme non mettono mai i tacchi“), ci si guadagna sempre qualcosa! In questo caso, si facevano due chiacchiere e lei ci ha scritto su un guestpost!

Qualche giorno fa ho infestato la rete di post relativi ad alcune mie preoccupazioni di madre. Io, Silvia e Serena, ne discutevamo in uno scambio semiserio di battute su Facebook. La questione è andata avanti per un po’ e poi, Dio solo sa perché, una mia osservazione è stata definita “saggia” dal 50% di genitoricrescono. L’altro 50% mi ha proposto di scrivere un post in merito. Ringrazio quindi Serena e Silvia che hanno deciso, a proprio rischio e pericolo, di ospitarmi per chiacchierare un po’ dell’argomento “preoccupazione”.

La mamma comune è preoccupata se il bambino si muove poco, è preoccupata se invece si muove troppo, è preoccupata se ingrassa troppo oppure se non ingrassa affatto. La mamma comune è preoccupata e basta.”
Ho scritto questa frase da qualche parte, raccontando di come una madre si preoccupi ancor prima che il figlio nasca, paradossalmente quando madre ancora non è. E’ un concetto espresso in modo sicuramente troppo semplicistico, ma credo che esplichi un comportamento piuttosto comune. Le mamme non assumono atteggiamenti fotocopiati, lungi da me affermare una simile baggianata, però è innegabile che il demone della preoccupazione finisca con il cogliere, in un modo o nell’altro, ciascuna di noi.
I motivi sono disparati, e sarebbe impossibile ed estremamente tedioso elencarli tutti. Non è sostanziale disquisire sull’oggetto delle nostre angosce; ciò che preoccupa me potrebbe essere diametralmente opposto a ciò che preoccupa un’altra madre.
[quote]Il punto è che spesso, almeno per quanto mi riguarda, mi ritrovo a preoccuparmi per mio figlio anziché occuparmene. Dovrei smettere di farlo, e forse vivremo tutti e due per sempre felici e contenti. Questa rudimentale uscita ha colpito Silvia. E’ lei il 50% di genitoricrescono che ha avuto l’ardire di definirmi “saggia” per questa asserzione.
No, non sono affatto saggia, ma probabilmente quel giorno ho involontariamente colto una sfumatura importante.
Le sfumature sono sottili, ma esistono. Noi donne, poi, siamo maestre nel coglierle, spesso in modo del tutto arbitrario. E’ proprio questo che ci frega.
Un esempio pratico: qualche giorno prima dell’inizio dell’anno scolastico mio figlio, un giovanottino di 6 anni e mezzo suonati, ha fatto la pipì a letto per ben due giorni consecutivi. Non gli era mai capitato, neanche all’inizio della sua carriera di spannolinato. Non ne ho fatto chiaramente una tragedia; però l’embolo mi è partito, puntuale.
Questo il mio commento all’accaduto (ovviamente lontano anni luce da orecchie infantili):
O mmmio Ddddio! Sicuramente avverte la pressione per l’inizio della prima elementare. Sarà spaventato, confuso, dilaniato fra il desiderio di diventare “grande” e quello di rimanere per sempre il cucciolo della mamma. Oppure avrà qualche altro problema che al momento mi sfugge; quello di fare la pipì a letto è un sistema per attirare l’attenzione, attenzione che evidentemente non so più fornirgli nel modo adeguato… Si sente solo, abbandonato. Ho sicuramente fatto qualcosa di sbagliato, ma cosa? Cosa ho fatto? Perché mai ha fatto la pipì a letto, santo cielo? Come posso aiutarlo a superare il suo disagio? Come? Eh? Come?
Questa la reazione di mio marito:
A Luà! S’è solo pisciato addosso!
Il pragmatismo maschile sarà anche duro da mandare giù ma, con buona pace di Freud, devo ammettere che in certe occasioni l’invidia del pene mi coglie, eccome! Aveva ragione il mio lui: è stato un episodio assolutamente sporadico, che non si è più ripetuto.
Ora, tornando all’argomento principale: in quale modo possiamo occuparci dei nostri figli anziché cadere vittime della preoccupazione? La soluzione non è semplice da cogliere, ma è forse contenuta in un piccolo libro di Spencer Johnson, che ho letto tempo fa. Si chiama “Il Presente” e regala, per chi sappia coglierlo, uno strumento per rendere concreta la nostra capacità di decidere, riflettere, pianificare, adattarci e – soprattutto – di godere e apprezzare Il Presente, la cosa più bella che la vita ha da offrire. [quote1]

Per me è estremamente difficile vivere nel presente senza preoccuparmi del futuro, soprattutto di quello di mio figlio. Il futuro mi spaventa a morte, anche se al 90% le mie preoccupazioni si rivelano come previsioni del tutto errate e fin troppo pessimistiche.
Come posso sdoganarmi dall’atteggiamento deleterio del “succederà questo, me lo sento”?
Scrivere nel blog delle mie preoccupazioni per mio figlio è una potente valvola di sfogo e soprattutto attua una ricerca di condivisione che mi scalda il cuore. Ma delle volte mi chiedo: invece di impiegare il tempo ad esternare le mie perplessità scrivendo dei post, non farei meglio a fermarmi ad ascoltare il suo Presente? Dovrei captare i messaggi nascosti nei suoi vari momenti di vita, soltanto mio figlio è in grado di fornirmeli. Devo smettere di predire il futuro, ma fermarmi ad ascoltare lui.
Sì, quest’ultima frase suona sicuramente sensata, ma la mia domanda rimane: guarire dalla sindrome di Cassandra è davvero possibile?

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27 thoughts on “Occuparsi o preoccuparsi?”

  1. Tra qualche giorno avrò l’incontro con le maestre per fare il punto della situazione prima di Natale! Mi ci voleva questo post. Decisamente la mia lancetta dell’ansia e’ sul rosso. Da talmente tanto che neanche riesco a scrivere più sul mio blog altrimenti sembrerebbe un bollettino di guerra. Ma dovrò riprendere o sarò sommersa dallo stress. Di sicuro dopo la lettura del post e dei commenti sarò a posto per qualche giorno. La mia domanda e’ se la sindrome di Cassandra mi passa come faccio a non farmela tornare?

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  2. Ehm… io ho subito pensato “preoccuparmi io? Ma va… io che se non mangia non fa niente, che se si sporca non fa niente, che se piange all’asilo passerà!”
    Poi mi sono accorta che sono quella superansiosa! Che mezz’ora prima del pranzo o cena se non è già a casa va nel pallone, che se sono le 8,20 inizia a urlare “forza, è tardi” perché le metto a dormire alle 8,15, che analizzo ogni frase che dico, che se la sgrido sono troppo severa e se non la sgrido chissà che vizi prende, che se si sveglia una notte inizio a pensare quale tragedia è successa nella sua giornata, che già ora mi preoccupo di come prenderà la scuola a settembre… Ops 😛

    Bello “urlo di mamma” devo ritirarlo fuori.

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  3. @laDistratta: ti capisco al 100%. Anche io penso all conseguenze del mio comportamento (positivo o negativo) sul suo futuro, mi chiedo se sarà una persona serena, sicura, quale rapporto avrà con l’altro sesso, se saprà cavarsela nelle situazioni difficili… e più ci penso più non ci vengo fuori perchè lo “scopriremo solo vivendo”. O forse mi devo convincere che non posso creare un adulto perfetto, ma una persona spontanea, che avrà difficoltà in certe cose e riuscirà in altre.

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  4. Devo dire che come mamma mi sono scoperta molto meno ansiosa di quello che temevo: non mi importa se si sporca, se mangia poco ,se mangia troppo, se va a dormire un’ora prima o un’ora dopo…tutte le mie ansie sono concentrate nell’evitare che si ammazzi durante uno dei suoi divertentissimi giochi! Tipo ieri che ha deciso di testare la sua capacità nel “lanciae la spada in alto alto!” non fosse che la sua spada è un mestolone di legno da polenta che a momenti gli fracassava il cranio. Invece fatico veramente a vivere il Presente perchè mi rendo conto di farmi un sacco di “pippe mentali” su quelle che saranno le ripercussioni del mio insegnamento nel suo futuro, di come potrà percepire quello che gli dico, se riesco a farmi capire veramente, se potrà fraintendere alcuni insegnamenti…dubbi insomma che a volte, mi rendo conto, limitano la mia spontaneità.

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  5. una volta mia nonna di 94 anni parlando di queste cose mi ha detto: io quando ero neomamma non avevo il tempo di pensare a queste cose perchè dovevo pensare a cercare da mangiare e a non morire durante la guerra…

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  6. @Barbara: ma hai descritto tuo marito o il mio???

    Quando la stanchezza ha il sopravvento e non ce la faccio più a cercare il metodo migliore per ogni minimo aspetto della vita di mia figlia, dal mangiare, al dormire, al giocare, all’usare il vasino, ecc, penso che le mamme di una volta senz’altro tanti problemi non se li facevano e, nonostante questo, il mondo non è popolato solo da pazzi criminali o suicidi o peggio…ogni tanto rilassarsi e seguire l’istinto è l’atteggiamento migliore (sempre che l’istinto non sia quello di fargli ingoiare ad una ad una tutte le perline rovesciate sul pavimento…)

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  7. Io sono figlia di una donna che dell’ansia ha fatto il suo programma di vita. Donna meravigliosa e forte, ma che ha condizionato non poco la mia crescita e il mio modo di affrontare la vita. Se poi sposi un uomo come il marito di Barbara e Serena, allora o cambi o non se ne viene fuori. E così con le mie bimbe sono diventata la meno ansiosa del tipo: non ti preoccupare che non si strozza, non la vestire così tanto che sente caldo, non le comprare tutto ciò che vedi….Tuttavia la mamma comune trova sempre il modo di preoccuparsi!!!! E allora io mi preoccupo per alcune cose, mio marito per altre, è tutta una preoccupazione. Nonostante ciò ci occupiamo molto delle nostre figlie, come credo tutte/tutti noi; il fatto è che siamo talmente preoccupati di doverci occupare di loro che tutto diventa complicato! (scusate il gioco di parole, ma rende l’idea!!!)

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  8. Ok, secondo me quando arriviamo a capire che ci preoccupiamo di trasmettere a loro la nostra ansia siamo già un passo avanti. Come dicevo prima, forse la mia unica ansia riguarda il cibo, ed è un’ansia sia a breve che lungo termine (cioè sia sul singolo pasto che sul rapporto che ha e avrà col cibo). Come me la sono creata? Eeeeehhh, sicuramente c’entra il mio personale rapporto col cibo, che probabilmente si è creato sul rapporto che mia madre ha col cibo (opposto al mio), che sicuramente deriva da quello di mia nonna. Insomma come diceva qualcuno prima, una catena al femminile. Ieri sera leggevo uno dei primi post di Silvia su questo blog, sui bambini che non mangiano (scusate ora non lo ritrovo) e sono perfettamente d’accordo con quello che scrive, anche se forse lei l’ha vissuta con ancora più ansia di me. Poi c’entra il fatto che all’inizio non avevo latte, e senza Serena probabilmente TopaGigia sarebbe cresciuta a latte artificiale e io mi sono sentita inadeguata. E il fatto che da subito dopo il parto è sottopeso. Insomma partiamo male. Allora che faccio quando lei al secondo boccone mi dice “pappa no”? Mi prende l’ansia, ovvio. Mi spazientisco quasi subito. Ma poi mi rendo conto che lei mi sta studiando, e allora devo tirar fuori il carattere e il controllo di me stessa per rendere quel momento una condivisione, un momento rilassato e piacevole e il più possibile libero da aspettative e significati. Faccio un bel respiro, le chiedo se vuole una canzone (e allora canto), una storia (e invento), la siringa invece del cucchiaio (ebbene si, le sparo la pappa in bocca con la siringa se serve), faccio un sorriso e mi rilasso. Lei si rilassa e il più delle volte mangia. Io a volte arrivo a commuovermi, non scherzo. Questo è il mio metodo per l’ansia da singolo pasto. Per quella a lungo termine, beh, quando ne ho la possibilità la faccio mangiare con qualcun altro. In modo che non identifichi il cibo al 100% con me, in modo che lo viva con atmosfere diverse intorno, in modo che adegui il suo comportamento a situazioni diverse (ecco, al nido mi dicono che quando mangia non vuole stare seduta, un boccone, un giro della sala, un boccone, una capatina al bagno a controllare. A casa sta buona buona sul seggiolone….).

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  9. Guarire dalla Sindrome di Cassandra? Dopo il post che hai scritto credo che la tua sia una domanda retorica 🙂
    Se, infatti, preoccupandoci per i nostri figli giungiamo a occuparcene è cosa buona e giusta, altra cosa è il dato “patologico” condizionato però da diversi fattori, caratteriali e ambientali, l’importante è l’autoironia…sono certa che quando i figli saranno adolescenti sapranno difendersi da soli da queste nostre debolezze 😉

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