Non stare fermi è un modo di essere: Leo e l’ADHD

Chiara Garbarino ha scritto un libro molto bello, che già dal titolo mette allegria: La felicità non sta mai ferma, editore UTET.
Lei la definisce la storia di Leo, il suo bambino ribelle, che è anche il sottotitolo, ma dopo averla letta io credo che sia piuttosto la storia di una genitorialità, quella di Chiara e Yari, e della loro crescita come genitori, una storia di scoperte quotidiane, a volte faticosissime, piene di incertezze, di domande, di dubbi e sensi di colpa, insomma la storia di chiunque si ritrovi ad essere genitore per accorgersi che le cose che gli succedono non sono come quelle descritte dai manuali. Un libro che può parlare a molti, forse tutti i genitori e i ragazzi.

Aggiungo ragazzi, perché, anche se magari non era quello il pubblico a cui può aver pensato Chiara nello scriverlo, a mio avviso potrebbe essere molto utile anche ad adolescenti che, in proprio o tramite amici e fratelli e sorelle, si ritrovano ad avere una consuetudine con l’ADHD, la sindrome da deficit di attenzione e iperattività.

Confesso che, avendo avuto io stessa una diagnosi di ADHD pochi anni fa, da un lato ero felice di poter leggere questo libro, e dall’altro ne avevo un po’ paura, perché confrontarsi con cose che a volte ti hanno reso la vita difficile e toccare cose troppo vicine al tuo quotidiano, può essere destabilizzante. Ma adesso mi sento di dire che non solo è un libro piacevolissimo, scorrevole e che si legge tutto di un fiato, ma, proprio perché ci sono tante situazioni riconoscibili, secondo me è un libro adatto a chiunque: genitori, insegnanti, amici e parenti e soprattutto persone che sospettano o sanno di avere l’ADHD.

Ciò che il libro chiarisce bene, secondo me, è proprio che si tratta di una diversità neurologica, e quindi non ci puoi fare niente: si esprime in comportamenti che in un bambino piccolo possono sembrare estremi o comunque ti espongono a critiche e, per un genitore che già ha le sue difficoltà in casa a gestire un bambino magari faticoso di suo, dover reggere anche lo stigma sociale o la mancanza di competenze di insegnanti e professionisti non preparati è un ulteriore sassolino sulla propria tomba.

Insomma, anche i piccoli “teppisti” non ci possono fare niente, ma certo è che un approccio inclusivo serve moltissimo a non rovinargli l’autostima, farli sentire strani o diversi in senso negativo, perché poi non è che tutto questo li aiuti a gestirsi.

L’aspetto più bello di questo libro è, appunto, che da un lato seguiamo un percorso faticoso e incerto, emotivamente sfiancante, ma dall’altro impariamo a gioire insieme a Leo e ai suoi genitori di ogni piccola conquista, perché di conquiste ce ne sono tante, e tutti i giorni, solo che a volte serve un po’ di distanza per apprezzarle.

Un unico appunto che farei, ma non all’autrice, piuttosto una specie di “avviso ai naviganti” per i lettori: l’ADHD e le cosiddette diagnosi comportamentali sono situazioni complesse, anche difficili da diagnosticare con precisione, ci vogliono persone esperte ed aperte ad accogliere un bambino così com’è. Essendo questa una storia assolutamente personale, ed è questo il suo punto di forza, è difficile che copra anche le tante altre manifestazioni di ADHD e ADD.

Per chi si trova a confrontarsi con altri bambini e altre situazioni è certamente utile cercare il riconoscimento di esperienze, emozioni, avventure, ma è anche fondamentale ricordarsi che il mondo è bello perché è vario. Ci sono bambini che hanno il deficit di attenzione ma fisicamente sono meno irrequieti, o quelli in cui l’iperattività si manifesta a livello verbale, sono logorroici quindi, ma in fondo non troppo ipercinetici. Ci sono quelli che dormono tre ore a notte e quelli che magari fanno fatica ad addormentarsi ma poi le loro 8 ore di sonno filate se le fanno. Ci sono quelli che reagiscono immediatamente e in maniera fantastica alle medicazioni, riuscendo persino a spiegarti come si sentono se prendono o non prendono la pillolina e quelli a cui l’efficacia delle medicazioni si valutano sul lungo termine, o che hanno più giovamento da attività fisica e sport adatti, o che si trovano meglio a praticare la mindfulness.
Ma tutti, tutti, tutti hanno bisogno di un ambiente che li accolga senza punirli per quello che non è in loro potere controllare, e di amici che li accettino per come sono.

O come mi disse anni fa un bambino in corso di diagnosi: “Voi dite che è psicosomatico, ma io mi sento male davvero e se avessi la leucemia mi prendereste più sul serio e sapreste come curarmi.”
Ecco, queste condizioni, non sono sicuramente mortali ma possono essere faticose da gestire fino a quando non si scopre il trucco che funziona. Perciò, impariamo tutti, con l’accettazione, ad accogliere anche bambini “difficili”.

Chiara in questo bel libro ha voluto manifestare un inno alla resilienza dei genitori e alle grandi capacità di sviluppo dei bambini, insomma, un incoraggiamento per tutti noi, con ADHD o senza.

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