Mini-corso di autostima per genitori: 2- Reggere ai confronti

Seconda puntata del Mini-corso di autostima per genitori. Ancora un dialogo tra Lorenzo Gasparrini e Mammamsterdam su uno degli aspetti dell’esistenza che più mina l’autostima: il confronto.
Il genitore, poi, rischia sempre di cadere nel vortice del doppio confronto: quello tra i propri figli e i bambini altrui e quello tra se stesso come genitore e tutti gli altri là fuori, che sembrano avere la verità in mano. E se sei una persona che si pone delle domande e dà spazio ai suoi dubbi, per natura e per convinzione che la verità non è mai semplice, rischi di disorientarti.
Anche in questo caso nutrire l’autostima fa bene alla vita e alla serenità: confrontarsi è crescita, ma soccombere al timore del confronto è stress. Il contesto non ci aiuta (ma non ci aiuta mai?!) e resistere alle lusinghe del paragone non è semplice.
Barbara e Lorenzo parlano del loro metodo per sconfiggere lo stress da confronto e salvare il buono che c’è nel mettersi in gioco fianco a fianco.

Lorenzo:
Uh, accidenti se sono duri i confronti. Non serve a niente pensarci prima, quando arrivano sono comunque difficilissimi da affrontare.
Anche perché molti sono del tutto indiretti, mica hanno bisogno di parole: guardi gli altri bambini fare (o non fare) una certa cosa e parte il sospiro, il “perché mio figlio no“, il “ma quando lo farà mai lui” – insieme al classico “chissà dove sbaglio“. No?

Barbara:
No, guarda, se il signore mi ha voluto risparmiare una croce è stata proprio questa. Io non sono competitiva e non sono gelosa ed è forse il meglio che si possa dire di me (sono territoriale su certe cose e ho un pessimo carattere, ma quello si era capito). I miei figli poi non li confronto con niente e nessuno e soprattutto non fra di loro, sono troppo diversi per riuscirci. In genere cerco, ma non so neanche fino a quando cerco, in genere mi viene spontaneo, di guardare alla cosa in sé fatta da quel bambino lì.

Mi viene facile perché naturalmente i miei bambini sono i più fantastici del mondo, quindi le pochissime volte che dico: questo bambino è proprio bello, quasi (o persino) più dei miei, lo dico con assoluta sincerità e obiettività.
Lo so che ci sono modi migliori di fare i complimenti, ma questo è per me il massimo.

Ti dirò di più, l’unica volta che veramente ho sfanculato di cuore Maschio Alfa, che davvero ho pensato seriamente “io da questo divorzio, non è degno di fare il padre dei miei figli“, è stato a questo proposito. Eravamo da poco rientrati dall’ospedale, Orso era nato da un 4-5 ore (si, se stai bene ti dimettono dopo i punti e la doccia in Olanda) e ci eravamo spicciati talmente in fretta che i nonni non erano neanche riusciti a montare la culla che gli avevamo lasciato a pezzi. Io sto nel lettone col pupo fresco fresco a contemplarmelo, hai presente l’Adorazione del Bambino del Correggio? Ecco, almeno il doppio.

E suo padre di passaggio, si ferma, contempla e fa: “Eh, certo che è un peccato che non sarà così bello come suo fratello“. Che oggettivamente, figlio 1 da piccolo era il perfetto bambino ariano della pubblicità, veramente non si capisce come mi sia venuto così bene, merito dei geni del lattaio, sicuramente, ma io, dimmi pure che ero ancora strafatta dalle endorfine del parto, l’ormone in circolo,la prolattina, che ti devo dire, io mentalmente l’ho sfanculato e mi sono fatta il film in cui gli facevo togliere la patria potestà.
Ecco.

Quindi sicuramente io mi sono chiesta infinite volte dove sbaglio, e almeno la metà mi sono anche data una risposta, o mi sono detta “perché proprio noi?!“, ma sarà che sono buonista, io tengo a giustificare, motivare e consolarmi.

Tu invece quando è che ti è partito il sospiro? Che magari mi ritorna in mente qualcosa che avevo rimosso e scopro di essere meno d’un pezzo di quello che credo. Che hai ragione tu, il confronto fa tanto.

L.:
Il problema non è che il confronto parta da te, il problema è che esiste comunque. Viviamo in ambienti continuamente classificatori, perché la cultura media occidentale è quella che inquadra le persone in “più” e “meno”, seguito da connotazioni: intelligente, bello, simile a me, estraneo, fortunato, ignorante, stronzo, raccomandato, ricco, sfacciato…
Quindi che parta da te o meno, tuo figlio verrà sempre messo da qualcuno in una fila, secondo un ordine: il problema è crescerlo facendogli capire che quello non è un valore, e che le persone hanno tante dimensioni di cui nessuna classifica potrà mai tenere conto. E ovviamente, questa cosa devi prima crederla tu.

Ivan e Andrea si stenta a credere che siano fratelli. A parte l’invincibile legame che li unisce (che loro corroborano a furia di botte reciproche e dormite nello stesso letto), sono in ogni cosa uno “più” dell’altro – e tutto il mondo circostante te lo fa notare. Eppure ti assicuro che io e Nicoletta dobbiamo letteralmente lottare contro le forze “parificatrici” che li vogliono il più possibile simili nel mangiare, nel giocare, nel parlare, nel rapporto con noi.

A questo poi si aggiunge il confronto con altri genitori e con altri bambini. Perché si è sempre presi in mezzo tra due forze: quella che ti dice “nessuna storia genitoriale è confrontabile con un’altra” e quella che ti dice “non cadere nell’errore di pensare che tu sia speciale”. In mezzo, la tua autostima che cerca di rimanere a galla.

B.:
Capisco, in quel senso. Noi lavoriamo molto sul loro senso di sé, tendiamo a incoraggiarli, lodarli e convincerli che le classificazioni della gente per noi/loro/te stesso contano, ma sempre meno di quello che pensi tu.
Una volta che Ennio riferiva, dispiaciuto, di una cosa detta dalla madre di una compagna, in gran confidenza e facendogli giurare che non l’avrebbe mai detto a nessuno, gli ho confidato che esistono anche le persone stupide, e che la madre di quell’amichetta era una delle meglio cretine che conoscevo e quindi, pur rispettando il fatto che lei la pensa così, i giudizi dei cretini dobbiamo imparare a farceli entrare da un orecchio e uscire dall’altro.
Certo è che non posso aspettarmi che solo a chiacchiere si incoraggino e imparino a fidarsi di se stessi, ma spero che sul lungo termine ci riusciremo tutti quanti, perché è vero che io parlo facile, poi mi stresso come tutti quando nel confronto ci casco io.

L.:
Ammetto che ancora questo tipo di discorso non l’ho affrontato con loro. Diciamo il tipo di discorso in cui gli fai presente che esiste un ambito di parole che si possono sapere ma non si possono dire. Vero è che molto dipende dal carattere di partenza. I miei due non sembrano avere il problema delle parole altrui, perché sono entrambi di una volontà inarrestabile.
Ivan non sente ragioni né giudizi di alcun tipo, ha una “visione del mondo” assolutamente granitica e contesta sonoramente e lungamente qualunque cosa non gli stia bene.
L’altro, invece, più pragmatico, aggrotta le ciglia e ti minaccia, annunciandoti senza problemi che sta per fare esattamente quello che gli hai sconsigliato, vietato o impedito.

Detta così, la questione sembra essere che il confronto è sempre più sentito dal genitore che dal bambino – e per noi devo dire che è così: in effetti, per quello che è la mia impressione, la loro autostima non sembra minimamente intaccata dal “feedback” esterno, mentre, se devo essere sincero, la nostra… insomma…

Pensando quindi a quale sia il migliore strumento per consolidare l’autostima della famiglia “contro” ogni confronto, trovo che sia efficacissimo il ‘grazie’ reciproco, usato e scambiato spesso. Che ne pensi?

B.:
Al discorso della gratitudine ci volevo arrivare anch’io, riallacciandolo anche a quanto detto nella prima parte.
Essere grati di quello che abbiamo mi sembra un ottimo primo passo per volersi bene a prescindere e comunque non lo vedo come un accontentarsi, ma come una consapevolezza del bello e del buono che già abbiamo.
Io avrò pure i miei periodi “no” e normalmente i periodi “no” sono di tutta la famiglia, ma ci pensavo stamattina: quando mi sono svegliata presto per una serie di idee che mi ribollivano e sono andata a sdraiarmi accanto ai bambini che dormivano insieme nel divano letto, come facciamo nel weekend (si, anche i miei si menano e poi vogliono dormire solo insieme, che sarà mai?)

Uno era sveglio e ci siamo messi a chiacchierare sottovoce tenendoci per mano al di sopra del fratello dormiente in mezzo. Il dormiente è il tipo che se gli ti sdrai accanto mentre dorme immediatamente ti avvolge in un abbraccio. E insomma, stavamo lì respirando e amandoci e mi sono detta che dovevo assorbire tutto di quel momento bellissimo, bellissimo e normale nella sua quotidianità semplice, per usarlo come antidoto per i momenti di sfida. Quelli che la vita ti manda, a volte, ma basta saperlo e reagire, o aspettare che passino.

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6 thoughts on “Mini-corso di autostima per genitori: 2- Reggere ai confronti”

  1. è difficele spiegarlo,ma ho imparato ad amare e stimare me stessa da quando è nata il mio fiorellino: lei ha il mio stesso carattere è permalosa, sensibile (cose che io odiavo di me stessa)ma amandola tantissimo ho naturalmente amato e accettato i suoi difetti e di conseguenza i miei….poi ha di quei pregi che non vi sto ad elencare perchè sono pazzeschi!!perciò è lei che da lezioni di autostima a me!

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  2. mi allineo a tutti voi e soprattutto a Deborah. Ho sempre pensato che quando vedi in trasparenza anche i difetti della persona che ami, e va bene, ne prendi atto e ami anche quelli, pur sfanculandosi di tanto in tanto, è rpoprio quello il vero amore.

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  3. Che vi devo dire? Io li vedo eccome i difetti in mia figlia, ma la amo anche per quelli, anche se cerco, senza motificarla di limarne gli eccessi. Ma rimane lei, la mia pupattola, unica nel suo genere. E se devo avere un punto di riferimento della mia educazione genitoriale è sempre l’equilibrio della sua felicità a darmelo, del suo entusiasmo per la vita, della sua voglia di essere “buona”.
    Quando invece succede che mi pare demoralizzata, che fa la bambina lagnosa o viziata, allora è sempre lei che mi sta dicendo che devo correggere la rotta, cambiare qualcosa. Le uniche persone che possono intervenire sono quelle a cui sono legata da un affetto profondo e, naturalmente , le sue maestre, di cui ho molta stima. Ascolto, faccio tesoro, anche se magari non condivido tutto. Ma quando mi è successo di sentire che mia figlia non piaceva a un genitore perchè , secondo lui, “faceva la fighetta” (e che vorrà dire poi su una bambina di 6 anni?)allora ho pensato che ci fosse qualcosa di sbagliato nel genitore, non in mia figlia

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  4. Come scrive Lorenzo il confronto esiste, come esiste questo la tendenza continua a inquadrare le persone nel “più e meno” e così via. Questo pone la questione dell’approccio che di fronte a questo dato di fatto evidente si deve avere: e questo vale (credo sia per se stessi che per i propri figli). Sono convinto che alcune leve importanti siano da una parte riconosce che ognuno di noi è unico. Non necessariamente migliore o peggiore, ma unico, “diverso” dagli altri. Lo sono io e lo sono i miei figli. E questa unicità va amata per dice chi sono. La cosa più faticosa è accettarsi e quindi aiutare i propri piccoli a farlo: con serenità e senza ansie da prestazione.
    Un’altra leva credo possa essere quella di non temere il “confronto” o almeno relegarlo nell’orizzonte degli “scotti da pagare” in una vita sociale. Ci saranno sempre. A volte intelligenti e utile, altre inopportuni e superflui (per non dire altro). Avere l’approccio giusto a questa dinamica può essere una bella sfida (per anni mi sono pesati molto…) ma alla lunga paga. Rasserena.
    Nella nostra casa cerchiamo di usare pochissime volte vocabili come “i migliori, speciali, fantastici, meravigliosi” riferiti a noi stessi, perchè questi termini nel tempo hanno il loro peso… forse sbaglio ma temo le “frustrazioni” future. In più Bea se dico che sono il papà più bello che c’è mi risponde che “tutti sono belli, non solo tu”.

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  5. “Le opinioni/giudizi/osservazioni su di lei non sono giudizi su di me come madre e come persona. Io sono qui per aiutarla a crescere, a capire i suoi punti di forza e di debolezza, e a lavorarci su se e quando necessario”. Ecco, questo sarebbe un punto essenziale, ma non è facile evitare quella considerazione in più che ci porta a pensare “Dove ho/abbiamo sbagliato”?
    Forse è tutto più semplice se abbiamo sempre chiaro in mente che i figli sono altro-da-noi, non sono nostre appendici e noi non influenziamo tutti i loro comportamenti. Questa consapevolezza, oltre ad arricchire il nostro rapporto con loro, magari ci assolve e ci solleva anche da qualche pesantezza.

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  6. Io ho un atteggiamento simile a Barbara: mia figlia è l’essere più meraviglioso dell’Universo, se qualcuno la pensa diversamente è perchè poveretto non vede. Ma io li compatisco, poverini, mica hanno una figlia come la mia, devono accontentarsi… e allora i giudizi e i confronti li ascolto e poi li faccio scivolare via, a meno che non siano costruttivi e non valgano la pena.
    Forse ho anche un altro vaccino contro i confronti: mia figlia è una persona indipendente e completa, non tutte le sue caratteristiche/peculiarità/capacità/superpoteri/latioscuri dipendono da me e da suo padre. Le opinioni/giudizi/osservazioni su di lei non sono giudizi su di me come madre e come persona. Io sono qui per aiutarla a crescere, a capire i suoi punti di forza e di debolezza, e a lavorarci su se e quando necessario.
    Certo, noto anche io che è “avanti” su alcune cose e che disegna da cani, per dire. E quando disegna con l’amichetta superpittrice e la mamma dell’amichetta le fa vedere con grande orgoglio la dovizia di particolari di cui l’altra è capace, io non mi sento una madre incapace ma spendo tutte le mie energie a non minare la sua autostima: le faccio notare che il suo disegno è molto più bello di quello della settimana scorsa e che lei sa fare le costruzioni e arrampicarsi meglio dell’amichetta. Ognuno di noi è più bravo in qualcosa e meno in qualcos’altro, è normale.

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