Maschi e femmine sono differenti fin dalla nascita? Quando interagiamo con dei neonati ci comportiamo in modo diverso a seconda del sesso del bebè e questo condiziona necessariamente come si comporterà da grande.
Quante volte vi siete trovati a giurare che maschi e femmine sono differenti dalla nascita? Ovviamente siamo tutti d’accordo sul fatto che siano diversi, nel senso che ogni individuo è unico, con tutte le sue peculiarità. Ma quanto del loro essere tipicamente maschi e tipicamente femmine è condizionato da noi adulti?
Prendiamo ad esempio uno dei tanti esperimenti condotti per capire le differenze di genere. Hanno preso degli adulti e gli hanno mostrato un filmato. Era un filmato di un neonato di pochissimi mesi, a cui veniva mostrato un giocattolo. Uno dei quei pupazzeti a molla che spuntano fuori da una scatola. Il neonato ad un certo punto iniziava a piangere. Ad un gruppo di adulti hanno detto che si trattava di un maschio, all’altro gruppo hanno detto che si trattava di una femmina. Poi gli hanno chiesto di descrivere cosa succedeva nel film. Quelli che pensavano fosse un maschio hanno detto che il neonato si era arrabbiato. Quelli che pensavano fosse una femmina hanno detto che la neonata si era spaventata.
Questo esperimento mostra senza dubbio alcuno il fatto che per quanto possiamo essere consapevoli e attenti, proiettiamo sui bambini i nostri pregiudizi di genere, anche senza rendercene conto. Un maschio si arrabbia, una femmina si spaventa.
Certo oggi è solo un neonato, che diferenza vuoi che faccia. Però proviamo ad andare oltre.
Proviamo per un momento a seguire un ragionamento per assurdo, partendo proprio da quel neonato di pochi mesi che piange e dalla nostra interpretazione di quel pianto.
I maschi si arrabbiano
Se è un maschio penseremo che si è arrabbiato. Forse lo prenderemo in braccio ma è anche probabile che invece cercheremo di distrarlo senza prenderlo in braccio, magari dicendogli: “Ti sei arrabbiato perché volevi quel gioco. Ma quello non puoi averlo perché ti faresti male.” Useremo un tono di voce fermo e sicuro. Poi magari proveremo a distrarlo dandogli un altro oggetto. Il messaggio che inconsciamente gli passiamo è quello che non c’è ragione di piangere, e che non c’è bisogno di coccole per confortarsi dal pianto. Inoltre gli insegneremo a distrarsi con altro per calmarsi. Certamente non c’è nulla di male in questo messaggio. Ma a lungo andare, giorno dopo giorno, anno dopo anno, insegna ai maschi a non piangere, e non mostrare i sentimenti, a trovare un modo per calmarsi da soli, magari occupandosi di altro.
Le femmine si spaventano
Supponiamo invece di avere una femmina, e quindi di interpretare quel pianto come una reazione allo spavento. Con molta probabilità la prenderemo in braccio, cercando di consolarla. Useremo un tono di voce più soft per cercare di calmarla. Probabilmente diremo cose tipo “ povera piccola! Ti sei spaventata! Vieni qui dalla tua mamma” Cercheremo di coccolarla, farle sentire la sicurezza del nostro caldo abbraccio, empatizzando con lei per lo spavento ricevuto. Il messaggio che inconsciamente gli passiamo è quello che a volte ci si spaventa, che in quei casi si può piangere, e andare da mamma a farsi consolare. Non credo ci sia nulla di male nemmeno in questo messaggio. Eppure giorno dopo giorno, anno dopo anno, insegna alle femmine che i sentimenti possono essere espressi, che va bene piangere, e che si può andare a cercare conforto negli altri.
Eppure in questi due messaggi, così giusti eppure anche così sbagliati, si nasconde l’insidia del nostro pregiudizio sul genere. E se sistematicamente reagiamo in un certo modo con i maschi e in un altro con le femmine?
E se il neonato maschio non si fosse arrabbiato, ma si fosse spaventato?
E se la piccola invece fosse arrabbiata?
Proviamo ad analizzare le reazioni che abbiamo di fronte alle richieste dei nostri figli, anche le risposte più istintive. Reagiremmo allo stesso modo anche se fosse dell’altro sesso?
@Gloria si, era proprio “Dalla parte delle bambine”, a cui poi ha fatto seguito “Ancora dalla parte delle bambine”, scritto nei primi anni 2000 credo. Sono d’accordo, molte delle riflessioni non sono affatto datate, anzi. Qui stiamo parlando di retaggi culturali e ci vogliono ben piu’ di trent’anni a farli passare. Sono d’accordo con te, e’ un libro che andrebbe distribuito nei reparti maternita’, e non solo ai genitori di figlie femmine, anzi. Letto oggi fa riflettere molto anche sui maschi, eccome. Parla proprio dei rischi che si corrono a differenziare troppo e troppo presto fra maschi e femmine (ieri le femmine finivano a sognare un buon matrimonio, oggi magari aspirano a fare le veline), aiuta a capire i propri limiti (mi piace vedere mia figlia con una gonna o un vestito, ma sto sempre bene attenta che gli abiti non le intralcino i movimenti) e fa riflettere sul ruolo della differenziazione di genere nelle attivita’ e nei giocattoli. Parla anche dell’importanza del ruolo di entrambi i genitori nella famiglia (quante volte su questo sito abbiamo fatto attenzione a parlare di genitori di entrambi i sessi e non solo delle mamme?).
Ecco, sto per scatenarmi…
Ok, cerco di bloccarmi senno’ finisco a scrivere un trattato. Due libri che consiglio a tutti. L’ultima parte del secondo e’ un po’ spaventosa, ma l’analisi che fa della pubblicita’ e del targeting nell’editoria e’ assolutamente illuminante…
Io non ho mai avuto pregiudizi di genere, o meglio ho sempre cercato di non averne. Certo però che mi viene spontaneo dire “è proprio un maschio” quando osservo Pacifico che gioca ore e ore con le macchinine.
Però secondo me le differenze da evitare sono piuttosto nei comportamenti che nei giochi.
Mi spiego meglio: avendo un fratello gemello, quando eravamo più piccoli era normale che ci si dividesse i compiti, per esempio, uno apparecchiava la tavola e l’altro la sparecchiava. Mia nonna trovava sempre il modo di fare al posto di mio fratello “perchè è un maschio e non deve fare queste cose”.
Ecco, io in casa aborro completamente questi comportamenti, e, se Radiolina fa di più, è solo perchè è più grande, non perchè è femmina. Entrambi devono farsi il letto, apparecchiare e sparecchiare la tavola, riempire e svuotare la lavastoviglie, svuotare la cesta della roba sporca, mettersi a posto i vestiti stirati negli armadi e pure aiutarmi a far da mangiare.
Anche Pacifico deve mettere a posto i suoi giochi prima di andare a letto, e lo fa senza che glielo dica perchè al nido lo fanno sempre.
Credo sia molto importante far crescere i figli consapevoli del fatto che, no, maschi e femmine NON sono uguali e per fortuna, ma che piuttosto DEVONO essere trattati allo stesso modo e avere gli stessi diritti…
Credo che smontare una struttura culturale millenaria come quella della differenza tra maschi e femmine (stabilita a suo tempo dai maschi e quindi spesso a loro favore) sia difficile come distruggere la cultura del “dolore”, ossia quello della sofferenza come compagna di viaggio inevitabile anzi quasi auspicabile in attesa di una vita ultraterrena a compensazione. E’ dovuto arrivare un popolo “nuovo” come quello dei primi abitanti degli USA per mettere il “diritto alla felicità” nella costituzione del proprio Stato. Un atto grandioso che sposta le prospettive e la visione di se stessi in questo mondo.
Sarebbe bello poter avere un “nuovo popolo” anche per le differenze di genere, persone capaci di esaltare solo le unicità dell’essere umano. Sono certa che tutte noi mamme d’oggi, che siamo riuscite a crescere come persone e non solo come mogli e madri, impegnate su mille fronti, non poniamo volontariamente l’accento sui generi quando acquistiamo abiti e giocattoli nè – soprattutto – se dobbiamo consolare o punire un bambino. Però porteremmo nostro figlio maschio, seppure neonato, a spasso con una tutina tutta rosa e merletti per sentirci dire da tutti “Ma che bella bambina?”. Io non l’ho fatto.
Mio figlio vive in un mondo tutto suo quindi non ha mai mostrato particolare attenzione ai generi (a 4 anni, durante un ricovero in ospedale, ha voluto vicino sia le macchinine sia Ciccio Bello …) ma qualche tempo fa, vedendomi girare per la casa stile trottola – cena, panni da stendere, letti ancora da fare … so che mi capite – mi è venuto vicino e mi ha detto “Mamma, ma essere femmine è un pò più difficile?”. Gli ho risposto che alle volte è così ma mamme e papà hanno tutti tanto da fare, e anche i bimbi! Dal momento che è un esserino molto sensibile credo abbia capito la differenza che ancora credo resti radicata in noi donne: ci mettiamo al fondo della fila delle incombenze (prima vengono compagni, figli, lavoro, casa, parenti, amici …) e quindi rischiamo di strafare.
Leggerò con attenzione qualsiasi consiglio possa utilizzare per dare il mio contributo all’abbattimento dei luoghi comuni.
Non ho mai fatto studi o ricerche sul tema;anche a me però sembra che una tale reazione al film sia più adeguata ad adulti non genitori. Io ho un maschio e non mi sarei immaginata di attribuire uno stato di rabbia a tale reazione.
Io e Pagnotta giochiamo molto con le pentole, facciamo la pappa, lui fa le pulizie (ma le fa anche il suo papà del resto!), se mi vede con le collane le vuole e le può mettere anche lui, si vuole mettere il burro cacao se lo trova in giro, e adora anche le betoniere, i camion gli escavatori senza che mai nessuno gliene abbia parlato o comprato dei giochi prima che se ne appassionasse. Può piangere ed è legittimato, nonostante sia maschio ;o), a provare tutta la gamma completa di sentimenti. Se solo qualcuno si azzarda in mia presenza a saltarsene fuori con una “ma è da maschietto o da femminuccia” giuro che ne faccio polpette!
Sempre stando sugli esempi, solo la scorsa settimana ho incontrato una famigliola, papà, mamma, e figlio sui 7 anni.
Il figlio mi fa vedere delle foto di bambole winx, sono sue. Confesso che sono rimasta stupita, non per il fatto che avesse delle winx, ma di vedere un papà che non gli rompeva le scatole sul fatto che fossero da femmina ma anzi lo incoraggiava a farmele vedere.
Ero così entusiasta di vedere una famiglia così avanti che mi sono messa a chiacchierare, e gli ho detto “sai, vedesse mia figlia che tu ne hai così tante e lei solo una…”.
E il papà precisa “eh, a lui piacciono, perché sono delle guerriere, vero?” aggiungendo il vero guardandomi complice, come se dovessi confermare.
Ecco, lui non gli ha detto che sono da maschi, ma ha cercato di trasformarle in qualcosa adatto a un maschio per giustificarlo. Nonostante che poi il bimbo fosse appassionato anche dei cartoni più maschili che ci sono (ben ten ecc…)
Mi sa che di tempo ce ne vuole ancora…
Il libro di cui parla Barbara è (se indovino bene, “Dalla parte delle bambine”), credo il libro più attuale sugli “stereotipi di genere” che io abbia mai letto (ne avevo parlato a suo tempo qui: http://www.thereadersproject.com/2008/02/dalla-parte-delle-bambine/).
A dire il vero credo che siano ben poche le cose che oggi riterrei datate, forse proprio questa sull’allattamento, e il fatto che i babbi facciano niente in casa. Tante riflessioni rispecchiano la nostra, di educazione, e ci fanno render conto di quanto alcuni atteggiamenti ormai li abbiamo assimilati come “normali”. E di quanto dovremo faticare a smontarli. Soprattutto nei confronti degli esterni (nonni prima di tutto, ma anche educatori).
Per il resto, dovrebbero darlo al corso pre-parto come lettura consigliata. Quando ancora non sai nemmeno se aspetti un maschio o una femmina.
@Serena, la scelta delle madri era, appunto, culturale. Io comunque il libro l’ho consigliato a te e Silvia… 😛
Serena, ecco la mia risposta:
http://mammamogliedonna.blogspot.com/2010/10/novita-in-cucina.html
Posso appoggiarlo nei suoi giochi “femminili” cercando di trasmettere a lui e agli altri (avventori a casa nostra) il messaggio che non c’è nulla di strano se ad un maschietto piace giocare con le pentoline.
ma gli adulti che hanno scelto per l’esperimento erano genitori? Come variava a seconda di questo fattore la reazione? Perche’ secondo me un genitore, specie se apprensivo, tenderebbe a dire che il bimbo/a e’ spaventato comunque, a prescindere dal sesso.
sinceramente, io non credo di aver avuto tali “pregiudizi”: infatti ho sempre presso in braccio il mio pulcino e l’ho coccolato (io e anche tutti gli altri: padre e nonni compresi!)per ore… a 1 anno mia mamma gli ha anche portato un bambolotto di quando ero piccola io e lui ci gioca sempre, lo chiama BODU e gli da da mangiare lo addormenta ecc… ma se sceglie con cosa giocare: tranquilli prende sempre macchinine, puffi, moto elettrica ecc… ha deciso lui che è MASCHIO e anche che è MANCINO! per me potrà essere cio’ che vuole
E´molto interessante leggere i vostri commenti a questo post. Io stessa sono sempre stata convinta di essere molto attenta a non avere pregiudizi di genere, però vi confesso che leggere di questo esperimento mi ha dato da pensare. Il problema infatti non è in quello che facciamo consapevolmente quanto piuttosto nelle nostre risposte instintive. Sono certa che tra quegli adulti che guadavano il filmato ce ne erano molti convinti di trattare maschi e femmine allo stesso modo, eppure hanno avuto una risposta istintiva diversa. Dire a posteriori che io non avrei interpretato il pianto in modo diverso a seconda del sesso del bambino è troppo facile. Bisogna trovarsi li, e avere qualcuno che tra le righe ti passa quell’informazione sul genere senza dargli troppo peso, e vedere la reazione. Provo a spiegarmi meglio. Se il ricercatore avesse detto “ora vi mostro il video di questo bambino perché voglio studiare in che modo siete condizionati dal suo genere” probabilmente quegli adulti non avrebbero fatto molta differenza, ma dicendo: “ora vi mostro il video di questa bambina che piange, vorrei sapere come interpretate questo pianto” allora l’accento è sul pianto e gli adulti rispondono in maniera istintiva apparentemente senza pensare al genere, ma di fatto dandogli più importanza di quello che dovrebbe avere. Mi sono spiegata?
Interessante anche la riflessione sui tempi di allattamento riportata da Barbara, anche se probabilmente datata. Sono certa che quelle madri non stavano facendo una scelta consapevole, ma molto istintiva.
Credo che come dice Flavia bisogna essere consapevoli di questi pregiudizi e impegnarsi a fare piccoli passi ogni giorno.
@smurzy il fatto che tuo figlio abbia deciso di essere MASCHIO significa che nella sua testa si è creata una distinzione netta tra cosa significa essere maschi e femmine, e sul cosa fanno i maschi e le femmine. Chi l’ha detto che i maschi giocano con macchinine, puffi, moto elettrica ecc e le femmine no? Se lui è felice di giocare con quelle cose ben venga, ci mancherebbe, ma non perché è maschio, ma perché gli piacciono quei giochi (tra parentesi mia nipote, femmina, adora giocare con i puffi!)
Evidentemente i bambini sono anche molto condizionati dagli amichetti e dagli ambienti esterni a quello famigliare, chiediamoci però cosa possiamo fare per mettere in discussione ciascuno di questi stereotipi.
Io non mi ritrovo molto negli spettatori del film perché avrei pensato in entrambi i casi che il bambino/a si era spaventato, non mi sarebbe mai venuta in mente una interpretazione diversa per i due sessi.
Per quanto riguarda la consolazione del pianto, posso dire quello che faccio io con mio figlio, ma che farei anche con una figlia femmina se l’avessi.
Intanto da sempre cerco di avere una reazione proporzionata alle sue cadute, ai suoi incidenti, affinché lui non sia caricato delle mie ansie nell’esplicitare la sua reazione: se cade, mi guarda, io lo accolgo col sorriso, se piange è perché si è fatto male e allora lo consolo e mai gli dico “non si piange”, se non si è fatto male sorride anche lui.
Con una femmina farei lo stesso, voglio che mio figlio cresca sicuro di sé, che non sia uno che frigna senza motivo o si spaventa se cade: voglio che sappia rialzarsi e continuare a correre e se fosse femmina? Sarebbe lo stesso. Sono strana?
è inutile illuderci, ci siamo dentro fino al collo. il comportamento e il temperamento dei bambini sono frutto inestricabile di fattori congeniti (e qui la differenza biologica dei sessi ci sta tutta. i cervelli sono proprio fatti in modo diverso, ed è innegabile, e ci condiziona) PIU’ tutti i condizionamenti esterni (e qui non c’è solo la mamma e il papà, ma la famiglia allargata, la scuola gli amichetti la televisione e chi più ne ha più ne metta). Mio figlio a 4 anni diceva “no, è da femmine” ed è un concetto appreso dal suo gruppo di amichetti a scuola e non certo da me. Da me però ha imparato a dire “ti voglio bene” appena ha cominciato a parlare. Da alcune cose non se ne può uscire se non con un lavoro di generazioni e generazioni. Su altre, possiamo fare una piccola differenza ogni giorno…
Comunque se ci riflettete molte differenziazioni di genere si fanno gia’ da prima della nascita. Adesso che il sesso si sa in anticipo, la preparazione del corredino, della cameretta, dei giochi di benvenuto. Spezzo una lancia a favore di alcuni negozi di articoli per bambini che nel reparto 0-9 mesi (quello in cui, diciamocelo, si va di piu’ per i regali….) hanno messo 3 sottoreparti: femmina (un’esplosione di nuvole rosa), maschio (serissimi azzurri) e unisex (trionfo del verde, giallo, arancione).
Ho anche letto un libro in cui si riportava uno studio fatto sui neonati dei due generi e si era visto che in media alle femmine le madri concedevano meno tempo per le poppate e soprattutto meno pause durante la poppata (si, ok, il libro e’ stato scritto nei primi anni ’70, ma a volte ci fa bene vedere da che cultura arriviamo). Insomma i maschi venivano nutriti di piu’ e meglio, e veniva lasciata loro la possibilita’ di godersi il pasto come piacere, oltre che come bisogno. Le femmine no, dovevano disturbare il meno possibile e abituarsi subito a stare ai comodi degli altri. Allucinante, no? Io il libro l’ho letto che TopaGigia aveva 3 mesi, e non vi dico da quel momento in poi le poppate quanto si sono allungate….
Sinceramente non lo so, forse avendo due femmine è difficile capire se faccio distinzioni di genere.
Però di trattamento no. Io non sono molto brava di mio a capire gli altri, quindi difficilmente parto dal presupposto di sapere cosa provano (rabbia o paura, in questo caso) anche se si tratta delle mie figlie. E comunque mai dò il messaggio che non si può.
Ieri mia figlia è caduta e si è fatta male. Pianto e urla disperate. Poi ha smesso ma con la faccia triste. Le ho detto “non so se hai più male o se è stato solo un brutto spavento, se vuoi piangere puoi piangere quanto vuoi, ti chiedo solo di non urlare tanto altrimenti non riesco a starti vicina”. Ecco, non mi sognerei mai di dire a un bambino (maschio o femmina) e forse nemmeno a un adulto che non deve provare ciò che prova.
Su questo abbiamo discusso qualche sera fa, mia figlia, che ha voluto iniziare danza (ecco, io propendevo per judo o karate, visto il suo carattere, e anzi, tifavo vergognosamente ancora più per il nuoto), a un certo punto ci ha detto che aveva paura del saggio.
Mio marito le ha risposto “ma dai, mancano ancora mesi, non devi aver paura”. E’ stata zitta. Dopo un po’ le ho detto io “sai, anche io avevo paura delle gare e dei saggi, è normalissimo, anzi, è giusto perché vuol dire che ci tieni e che ti vuoi impegnare per farlo bene e sono contenta che inizi a fare danza con questo spirito”. Ha sorriso e ha chiacchierato della cosa. Quella sera con mio marito abbiamo parlato molto di questo.
Ma sto cambiando argomento, qui vado oltre al genere, io, ripeto, sono quella che non è per l’uguaglianza totale tra i generi, come personalità, lo sono però come diritti: forse le femmine sono più sensibili, ma tutti e due hanno il diritto di piangere, forse i maschi sono più pratici, ma tutti e due hanno il diritto di fare i meccanici, e così via.
Rispondo in maniera un po’ provocatoria: si, sono convinta che la mia reazione non sarebbe dettata dal genere del bambino che ho davanti (ma io sono piuttosto integralista su queste cose e ci sto molto attenta). Specialmente quando sono molto piccoli, e i tratti esterni sono ancora molto unisex, e’ piu’ facile trascendere il genere e dedicarsi al bambino/a come a un individuo, indipendentemente dal genere.
La provocazione sta in questa mia osservazione: ho notato (in famiglia, al parco, eccetera) che i genitori, quelli “bravi”, quelli attenti a cercare di dare il meglio ai propri figli, difficilmente usano le frasi tipo “non piangere, e’ da femminucce”, “non arrabbiarti, non sta bene per una signorina”. I genitori cercano di dare il massimo ai propri figli, cercano di capire cosa c’e’ che non va e come aiutarli. I commenti sul genere vengono molto piu’ spesso dall’esterno, da terzi, magari anche altri genitori presenti che non farebbero quello stesso commento al proprio figlio.
A volte e’ un tentativo di instaurare una conversazione, di attaccare bottone col bambino perche’ si senta tranquillo a giocare col proprio figlio…