Questo bellissimo articolo è di Marilde Trinchero, l’autrice del “La solitudine delle madri“, libro che dovrebbe essere “obbligatorio” leggere, quantomeno durante la gravidanza. Diciamo che dovrebbe essere come l’amiocentesi dopo i 35: mutuabile!
Alla prima lettura ha toccato delle corde tese dentro di me: l’ho sentito come scritto per me e per le mie paure, scritto per darmi sollievo al pensiero del “distacco”, IL tema più attinente alla maternità.
Imprevisto è uno degli aggettivi che potrei associare alla parola maternità, e considerando che ho scelto se e quando diventare madre, è tutto un dire. A dire il vero non avevo scelto di avere due gemelli la seconda gravidanza e tuttavia quando l’avevo saputo, altro non era stato che avere una conferma di ciò che in qualche modo intuivo. Dunque è un evento che non definirei imprevisto: giusto qualche aggiustamento organizzativo, che, alla luce dei miei allora giovani anni, mi pareva abbastanza gestibile. Ciò che non avevo messo in conto era la potenza di un modello di madre a me molto stretto. Così stretto che di frequente mi pareva di soffocare in quel tessuto cucito da mani altrui che in troppi mi suggerivano di indossare. Scalpitavo. E facevo a modo mio.
Ripenso alla fase 0-20 anni dei miei figli ed emerge una sequenza infinita di eventi, alcuni molto divertenti, altri faticosi, altri ancora carichi di preoccupazione e gioia, insieme al lungo scorrere della quotidianità. Ovviamente in vent’anni ho avuto modo più volte di fare i conti con le illusioni e le disillusioni e soprattutto con quella crepa enorme che c’era tra la realtà dell’essere madre e quello che avevo immaginato.[quote1] La mia irritazione sullo stereotipo della maternità è dovuta – tra le altre cose – al fatto che, tacendone i lati oscuri, ne smorza anche gli aspetti più luminosi, e tenta di rendere collettiva un’esperienza che – specie a livello emotivo- è quanto di più soggettivo possa esistere.
Le ombre continuano a persistere: una delle ultime riguarda le donne che desiderano essere madri a tempo pieno e, anche qui, figuriamoci se non c’è qualcuno che trova qualcosa da ridire. Ma di questo ho già più volte scritto. Quel che dico poco invece, e voglio dire, ma che ha sempre a che fare con l’imprevisto (è incredibile quanti errori di valutazione io abbia fatto come madre), è che quando i miei figli giunsero ai vent’anni, e il periodo adolescenziale era quasi alle spalle, pensai che finalmente il compito di noi genitori si sarebbe parecchio allentato, e avremmo probabilmente iniziato quel periodo in cui si è presenti se necessario ma per gran parte delle cose non lo è. Immaginavo che avrebbero coltivato la distanza e a questo mi ero preparata.
“Voi siete gli archi dai quali i vostri figli vengono proiettati in avanti, come frecce viventi” ha scritto Gibran e io, che ho sempre amato quelle parole, negli anni del loro divenire adulti, mi sono munita di tre archi accertandomi, di tanto in tanto, che la corda fosse ben tesa, pronta per il loro lancio nel futuro. Anche se lasciar andare i figli è un compito che riguarda entrambi i genitori, ero e sono ben consapevole che il legame con un figlio maschio è più a rischio di invischiamenti per una madre e non avevo nessuna intenzione di aggregarmi al già fin troppo ben nutrito gruppo delle donne gelose della vita, dei sentimenti, del futuro dei propri figli. [quote]Sono donne tristi, con dei vuoti spaventosi, che spacciano per amore materno un cannibalismo affettivo di cui ho orrore.
Dunque li ho cresciuti attenta al fatto che rivolgessero lo sguardo altrove, ovunque, ma non a me, li ho spinti avanti facendo i conti con il dolore sordo dello strappo che la carne sempre dà quando ci si saluta.
Di questi ultimi anni, potrei narrare mille episodi, ma ho pudore della felicità e timore di tradirla. Come non scrivere però del piacere di chiacchierare a lungo- con ognuno di loro o tutti e tre- a raccontarci la vita, sia che siamo seduti a tavola durante una cena strappata ad altri appuntamenti, oppure via telefono o via skype. E del piacere di quando imitano atteggiamenti miei prendendomi affettuosamente in giro e provocandomi risate tali che per uscirne devo cambiare stanza.
La sostanza non cambia – il succo è quello: hanno la loro vita, le loro donne, il loro futuro e ogni giorno mi stupiscono perché da quel territorio raggiunto dopo il lancio con l’arco, ancora si voltano e con il loro sguardo diretto e pulito o la loro voce allegra mi dicono: “Siamo qui, ma siamo anche lì”. [quote2]
Non so quante altre cose scoprirò in futuro sulle quali ancora una volta mi sarò sbagliata, certo per quanto riguarda questi ultimi due lustri il clamoroso errore è stato quello di non mettere in conto che avrei ricevuto a piene mani tanta vita e tanto amore indietro. Questo è stato l’imprevisto. Ricevere.
Splendido. Bravissima.
Ma deve essere sempre la madre quella che accetta il distacco con più difficoltà? Da noi a dire il vero è un po’ il contrario. Proprio oggi, in giro all’Ikea, il Vikingo ha espresso il desiderio per la prima volta in vita sua di entrare a giocare allo Småland. Io ho immediatamente esultato. Finché mi sono accorta che il padre aveva iniziato un discorso strano…ma guarda che li noi non ci possiamo venire…staresti li da solo…ma sei sicuro…ma non ti manca papà tuo. Ho immediatamente fatto segno di smetterla, e ho spedito il pargolo dentro. Il padre ha vacillato un po’. mi ha guardato e ha detto “come è cresciuto!” Poi però è stato bravo. E non ha pianto. (Il padre). 😉
Mancano un po’ nella blogosfera mamme di bambini diventati adulti che attraverso la loro esperienze ci facciano da apri-pista, pur con vista soggettiva. Tu, Marilde, lo sai che sei un po’ il mio faro. Lo confermi ogni volta che scrivi un pensiero in più. Non riuscirai a montarti la testa perché ci metto pure del mio, lo sai :))
Ci credo in quello sguardo dei figli. E’ lo stesso sguardo che mi conferma di non poter essere una Mamma Cattiva, che anche io, anche noi cerchiamo di accompagnare altrove, il doc ed io, con la nostra voglia di trovare il nostro rifugio, non appena avranno trovato la loro strada. E temiamo pure che a forza di dire loro di andare, resteranno più agganciati e ci invidieranno quel rifugio. Il mio cuore dice: “Magari” 😉
Questo post mi ha toccata profondamente. Ho due figli maschi, di cui uno 19enne e come hai detto l’età adolescenziale con tutti i suoi problemi è passata, un’equilibrio è stato raggiunto: guardo il giovane uomo che ho davanti a me e penso allo strappo, penso a quando prenderà il volo per lavoro o per amore o per entrambe le cose, lasciando definitivamente il nido in cui l’ho cresciuto. Penso che renderlo indipendente ed autonomo è sempre stata la mia priorità, e penso al fatto che ho sempre voluto che fosse altro da me, pur restando per lui un preciso punto di riferimento.
Però mi chiedo spesso ultimamente come sarà quando non condivideremo più la quotidianità, quanto per vedersi o parlarsi bisognerà volerlo…e mi sento sinceramente smarrita e insicura. Ho paura che non troverà mai il tempo, che varà troppi impegni, che in fondo forse non saprà nenache di cosa parlare con me. E leggendo il tuo post mi sono commossa, ed mi piace pensare che anche dopo il lancio dell’arco saremo ancora, in qualche modo vicini.
Che bello sapere che le freccie arrivano al bersaglio, che l’essere genitore non è solo sacrificio. La mia più grande paura rispetto ai miei figli, oltre ai problemi di salute, è che deraglino, si perdano, diventino persone che non sono in grado di stimare (non parlo di amare: se voglio bene a una gatta psicotica con problemi di evacuazione, vuoi che non ami i miei figli, comunque?). L’idea che un giorno possiamo chiacchierare di tutto da adulti, stimandoci a vicenda, è la mia idea di successo nella vita.
Che belle riflessioni! Io, madre da due anni, non troverei parole migliori per esprimere i miei desideri e le mie speranze.
Grazie.
YaDSM: certo, scrivimi qui: solitudinedellemadri@tiscali.it
“Questo è stato l’imprevisto. Ricevere.” lo sapete, sono mamma da poco, poco, un anno appena, e ho tanto pudore a chiamarmi mamma eppure, con tutti i miei giorni no, lo scontro con il reale, il dover fare spazio a mia figlia per poi lasciarla andare ecco già adesso sottoscrivo questo: si lascia spazio alla persona nuova che man mano si stacca da te e diventa sè e in cambio – anche dopo il dolore del riscatto – ne ricevi tanto, anche in consapevolezza di sè.
per questo dico grazie a Marilde, Silvia, Serena e gli altri blog in cui non si ha paura di dire che senza buio non c’è luce.
un abbraccio
silvietta
A me che non sono iniziata all’arte dell’attenzione verso il prossimo ma solo un po’ sensibile, fa paura intervenire con il mio carattere vulcanico sulla delicatezza della mia sensibilissima monella e deviarla dalla sua nobile natura oppure farla sentire sola per troppa distanza. Già solo avere un punto di riferimento, un caso di equilibrio o ideale o reale, mi farebbe sentire meno instabile e oscillante. Finora mi sono appoggiata, spero con tanto senso critico, a un libro adatto all’infanzia (autore Marcello Bernardi) che non copre però gli anni della adolescenza che stanno arrivando velocemente. Ne approfitto per chiederti consiglio, alla faccia del non fare pubblicità: comprerei anche quattro libri, se fosse necessario. Credo che più di quattro non riuscirei a leggerne nel tempo che mi rimane prima di partire per la prossima avventura 😀
Posso scriverti in privato?
Grazie
Intanto grazie a tutte di questi bei commenti, e a YaDSM dico che ci penso, e attraverso esempi di quello che è stato per me, potrei scrivere qualcosa in merito. Che io davvero non credo che si possa spiegare o insegnare, e non lo vorrei mica! al massimo si può narrare la propria esperienza e poi da lì ognuno può trovare qualcosa per sé. Proprio perché la maternità è un percorso molto soggettivo, ma poi in effetti …la separazione, il distacco, ci toccano. Eccome se toccano a tutti.
Perchè non spieghi anche a noi come si fa? Io mi sento abbastanza impreparata sulla faccenda di tendere l’arco….
Un post bellissimo. Grazie
distacco è sempre una parola che fa paura. almeno a me.
e io, che immagino mio figlio adulto, indipendente, vagabondo per il mondo, ho allo stesso tempo una fottuta paura di tutto questo.
mia madre mi ha sempre detto: i figli non sono delle madri.
però un po’ sì, secondo me.
e, come scrive marilde, rimangono tali anche quando se ne vanno.
sì, io credo nelle sue parole. credo che un figlio, ovunque sia, abbia sempre lo sguardo di cui lei parla e che dica: “sono qui, ma sono anche lì”.
uff … com’ è difficile fare la mamma.
paola
Caia, anche a me la prima lettura di questo post mi ha regalato una sensazione di sollievo. Perchè in fondo mi accorgo che la paura più inconfessabile per una madre è quella del distacco, anche quando hai la lucidità di capire che questo distacco, in fondo, è la tua missione di genitore.
che sospiro di sollievo questo post.
pensare che esista una via di mezzo, che si possa conservare il legame senza incorrere in quegli invischiamenti perversi che in genere come donne abbiamo subito dalla suocera di turno e che ci ripromettiamo di non perpetrare coi nostri figli e le loro vite.
è sempre un piacere leggerti, marilde
un abbraccio