Non riesco a trovare nulla di utile da dire sull’attentato di Parigi di venerdì sera. Neanche su come sia possibile parlarne ai bambini. Semplicemente, non so. Credo però che l’urgenza sia un’altra.
![Foto di Jen Brunele - licenza CC Flickr](https://genitoricrescono.com/wp-content/uploads/2015/11/mano-nella-mano.jpg)
Molti hanno evidenziato il disagio e la preoccupazione nel dover spiegare ai propri figli l’accaduto. Soprattutto la difficoltà di rispondere a domande dirette sulla possibilità che accada qualcosa del genere anche a ciascuno di noi.
Leggevo consigli molto equilibrati e formalmente correttissimi, come in questo articolo in cui la psicoterapeuta Dott.ssa Vinciguerra, dà ottime indicazioni per affrontare le domande, ma suggerisce di comunicare “che quanto è accaduto a Parigi è un fatto al di fuori della normalità e che non tocca il loro quotidiano. I bambini devono essere certi di essere al sicuro“.
Ecco, nel dire cose del genere sento proprio il peso della menzogna e ammetto di non saper come risolvere il conflitto tra il loro bisogno di essere rassicurati e la necessità di non mentire nel raccontare questo mondo.
Di fronte a questo dilemma, però, cerco di ricordarmi che il mio problema di genitore, è comunque marginale.
C’è una vera urgenza, a cui provvedere domani mattina e nei giorni a venire e riguarda tutti le bambine e i bambini musulmani (o semplicemente stranieri del colore sbagliato, o con una acconciatura sbagliata) che vivono nel nostro Paese, che siano nostri connazionali o meno (perché in pochi si chiederanno dove sono nati), che domani dovranno entrare in classe e affrontare compagni e insegnanti.
Domani per i musulmani, d’Italia e d’Europa, è un giorno difficile e per i bambini può esserlo ancora di più, perché per loro è impossibile comprendere perché il loro mondo quotidiano li sta tenendo a distanza.
Pensavo che potremmo impegnarci chiedendo ai nostri bimbi di accompagnare in classe per mano un amico musulmano, per dimostrare affetto e solidarietà e sollevarlo dal peso di doversi “distanziare” o “dichiarare contrario” o dichiarare qualsiasi altra bestialità solo in nome di un velo o di un nome dato alla nascita, invece di essere abbracciato come tutti gli altri bimbi.
Anche noi potremmo impegnarci con i loro genitori: una stretta di mano, un abbraccio, se la confidenza lo consente, come gesto di accoglienza e di solidarietà per questa loro pena ulteriore.
Ricordando che oggi, tutti i musulmani hanno una pena sul cuore e un peso da portare in più rispetto a tutti i non musulmani occidentali, che pure hanno contribuito a caricare questo peso sulle loro spalle.
Per non dimenticare che un altro privilegio di noi bianchi europei è che non dobbiamo rilasciare alcuna dichiarazione per la stampa ogni volta che un nostro simile fa qualcosa di scellerato e disumano.
Non una campagna social, non un hashtag: un impegno concreto, domani, dopodomani, nei giorni prossimi. Perdiamo qualche minuto a spiegare ai nostri figli che qualcosa si può fare e serve a difenderci non in quanto occidentali non musulmani, ma in quanto esseri umani, qualcosa che ci difenderà tutti, senza distinzione. Dare la mano.
Mentre scrivevo queste poche righe, faticando a dar loro un senso, Albero Pellai ha pubblicato questo post, senz’altro più lucido e solido, che vi invito a leggere per intero sulla sua pagina Facebook,
“…Perché se c’è una cosa che la vita mi ha insegnato è che chi è amato, impara ad amare. Mentre chi odia, impara ad odiare. E allora, anche se qualcuno ti verrà a dire che adesso c’è bisogno di vendetta, perché nessuno ha il diritto di farci provare così tanto terrore e paura, tu non crederci. Perché nel bisogno di vendetta si nasconde l’odio. E l’odio non porterà mai alla pace. E alla giustizia.
Abbraccia Amina, Abdul, Abed, Asif, domattina. Porta un pallone a scuola e andate tutti insieme in cortile a giocare. Fagli assaggiare la tua merenda e di che vuoi assaggiare la loro. Continua a vivere non col terrore che qualcuno ci possa fare del male, ma con la speranza che io, te e tutti gli altri possiamo insieme costruire un Amore su questa terra che è infinitamente più grande dell’odio con cui qualcuno ci vuole spaventare.”
Grazie anche a Chiara Peri per questo suo piccolo, sincero, sentitissimo post.
I miei figli sono italo-francesi, ma sono nati e continuano a vivere qui in Italia. Sabato ho chiamato i parenti francesi, ma per assurdo è stato molto difficile coinvolgere i miei figli.
Il piccolo è troppo piccolo e al grande, di 7 anni, non è stato detto niente a scuola e il fatto che a casa non ci sia la TV lo ha reso di fatto impermeabile alla notizia. Così ho cercato di parlargliene con un linguaggio semplice e diretto. Credo di esserci riuscita abbastanza.
La cosa che più mi ha fatto riflettere è stata quando mi ha chiesto: si chiamano terroristi perché fanno il terrore?
Mi è sembrata un’immagine tragicamente esatta.