Quando ero piccolo esistevano due tipi di domenica sera, ed erano tutte e due a base di riso in bianco e carne bollita avanzata a pranzo: in una eravano “soli” (per quanto si possa essere soli con papà, mamma, due fratelli e i nonni paterni che vivevano con noi), nell’altra c’erano gli zii che si fermavano a cena.
Fortuna di chi ha i nonni che vivono assieme, ho capito più avanti negli anni. Una volta morti i nonni ed invecchiati gli zii la consuetudine andò via via perdendosi, ma ricordo come fosse oggi l’iter che portava alla cena: “Chiediamo agli zii se si fermano?” “Vi fermate?” “Siii!!! Si Fermano!!!”.
Erano domeniche così, invernali, a guardare programmi calcistici che ancora mostravano solo i gol, a sentire le bestemmie dello zio Pino se l’Inter aveva perso e ad imparare le barzellette di zio Severino, sempre le stesse, così rassicuranti e calde come la polenta fatta in fretta e furia per accompagnarla all’Asiago che, grazie a dio, ce n’era ancora in frigo.
Quanto dipende, di me, da quelle calde domeniche invernali? La barzelletta e l’aneddoto compulsivi, forse, e l’amore per l’ospitalità, che scalda più di un caminetto acceso.
Me lo chiedo anche come zio, avendo la fortuna di essere ed essere stato zio in varie sfumature: zio giovane di nipoti piccole. Quello con la vespa, che suona la chitarra, che annoda i palloncini, che sa far girare le palle (giocoleria, non pensate male).
Quello che è insieme alla zia più divertente, che abita di sopra, che stanno con te a fare i babysitter quando papà e mamma si vogliono prendere una sera o che ti portano al cinema a Vicenza, quando tua sorella è ancora troppo piccola per consentire un’uscita di famiglia.
Chissà cosa rimarrà di questo zio, che giusto giusto ora riesce a passare un paio di libri da leggere o un film da guardare, che spesso, adesso, me li passa lei.
E poi zio vecchio, quello che ha già figli, quello che ha poca pazienza e sgrida sempre i cugini. Che però poi, ogni tanto, ti coccola o porta in piscina, ti aiuta in doccia.
Com’è diverso essere zii vecchi di figli di fratelli più giovani; quanto rivedo degli uni negli altri.
Così tanto che a volte mi viene da sbagliare nome e chiamarli come i loro papà o mamma così tanto che a volte ho come l’impressione di spiegare le cose ai genitori e non ai figli, come se gli anni non fossero passati.
Invece gli anni sono passati, ma è come la seconda chance tipica dei nonni. È come se potessi finalmente essere con i miei fratelli quello che per tracotanza da fratello maggiore, non sono mai stato: affettuoso, indulgente, paziente nell’insegnare.
Ma poi, penso, per chi vale questo esame di riparazione? Probabilmente solo per me. Ed i miei fratelli continueranno a vedermi per lo stronzo che sono sempre stato ma mi chiederanno comunque ancora di fermarmi a cena la domenica: perché farà piacere ai loro figli e perché è così che abbiamo imparato a volerci bene.
Gae mi ricordi cose bellissime dei miei zii giovani, Mario e Giovannino, i cugini di mio padre, ma cugini speciali – mio padre assomigliava talmente al marito della zia, come tipo, che tutti dicevano che meno male che era nato prima che questo zio entrasse in famiglia, e c’era quindi una grande affinità, papà che era il figlio piccolo poteva fare un po’ da fratello maggiore ai cugini giovani. Insomma, è che mio padre aveva tipo una quarantina di cugini che si volevano bene come fratelli, e quindi tutte queste sensazioni bellissime che mi arrivano dal tuo racconto m riportano a tanti bei momenti della mia infanzia e adolescenza. Grazie