Leggere a tre anni (ma perchè?)

Un bel giorno di circa 3 anni fa, mia madre, che ha sempre creduto fin troppo nelle potenzialità del nipote e che di per sè è già un tipo diffiicile da tenere a freno, tornò a casa con un libro intitolato “Leggere a tre anni” (Armando Editore). Autore Glenn Doman, un medico che ha dedicato la vita alla cura dei bambini cerebrolesi e, da questa esperienza, ha tratto molte informazioni sulle funzionalità cerebrali dei bambini normodotati in età evolutiva.
La mia prima reazione all’acquisto è sta la domanda: “ma perchè?”. Insomma, io che sono sempre un po’ scettica sull’accelerazione dell’apprendimento, anche se mi affascina, che ho timore del bombardamento di informazioni, anche se mi viene spontaneo per carattere, le ho detto… “Ah ma’…. ma che te sei messa in testa???“.
Lei mi ha risposto semplicemente che il Sorcio manifestava chiaramente la voglia di sapere cosa c’era scritto sui libri, tutto qua! Così, avendo visto il libro aveva avuto voglia di leggerlo (confesso che il suo tono lasciava anche intendere: “E poi di che ti impicci tu? E’ una questione tra me e mio nipote…“)
Beh… in effetti, vista così… che male c’era? Anche perchè era verissimo che, tra i tre e quattro anni al Sorcetto era venuta una gran smania di leggere.
Pochi giorni dopo mi capitò di andare dalla pediatra e, chiacchierando (forse dell’influsso deleterio dei nonni sui nipoti!! 🙂 ), le dissi dell’acquisto di mia madre. Tutt’altro che critica, mi rispose che conosceva bene il metodo e lo riteneva del tutto valido. Insomma, se al bambino interessa e si diverte, perchè no?
In realtà, mi spiegò, intorno ai tre anni i bambini hanno potenzialità inimmaginabili. Un metodo classico di insegnamento della scrittura e lettura prevede l’imbrigliamento nelle strutture scolastiche (intese in senso di scuola primaria), assolutamente inadatte allo sviluppo emotivo di un treenne (non pottrebbe fare dei compiti, ascoltare ore di lezione, imparare in modo strutturato, insomma). Ma non è l’apprendimento ad essere inadatto alla sua età, lo è solo l’infrastruttura in cui, nella nostra cultura, si propone l’apprendimento. Insomma, anche per lei era accettabilissimo che un treenne imparasse a leggere, solo se ne era contento, però, e se si divertiva a farlo.

Il libretto, davvero molto interessante, è venduto anche in una scatola con dei sussidi per l’applicazione del metodo. Fondamentalmente dei cartelli scritti in caratteri grandi e con fonts molto leggibili (che potrebbero essere tranquillamente riprodotti in casa). E’ comunque un libretto molto affascinante, che parla delle potenzialità di apprendimento dei bambini dalla nascita, ma che, secondo me, va anche letto in modo critico.
La teoria di Doman è che noi facciamo di tutto per scoraggiare l’apprendimento di capacità evolute nei bambini molto piccoli e sottovalutiamo continuamente le potenzialità dei piccoli ed, ovviamente, ogni pagina è ispirata all concetto che ogni treenne dovrebbe imparare a leggere… Un po’ eccessivo, direi! Ma noi siamo lettori attenti e sappiamo prendere il meglio anche dalla bislacca manualistica americana, vero?!

Il mantra Domaniano è questo:
I bambini piccoli VOGLIONO imparare a leggere;
i bambini piccoli POSSONO imparare a leggere;
i bambini piccoli STANNO imparando a leggere;
i bambini piccoli DOVREBBERO imparare a leggere.

Il metodo si basa, prima che sull’insegnamento dell’alfabeto e sul riconoscimento delle singole lettere, sull’apprendimento di parole fondamentali, riconoscibili con la memoria visiva. In pratica il bambino impara prima riconoscere le parole “mamma”, “papà”, “naso”, “bocca”, ecc., piuttosto che le lettere A, B, C, ecc.
SI parte con parole che interessano particolarmente il bambino: i suoi riferimenti (mamma, papà) e le parole per descrivere se stesso (le parti del suo corpo: mani, occhi).
Soltanto dopo si introduce la distinzione delle singole lettere per la composizione delle parole. E’ un metodo che non prevede anche l’apprendimento della scrittura, ma si riferisce alla sola lettura.

I risultati, per quello che abbiamo sperimentato noi, sono piuttosto rapidi e sorprendenti. Il Sorcio imparava una parola al giorno, dai cartelli a caratteri grandi, e non ne dimenticava nessuna di quelle apprese nei giorni precedenti.
Però c’è stato un intoppo. Un ostacolo insormontabile… almeno per noi. Il Sorcetto si è stufato. Ha smesso di essere divertito dal leggere quelle parole, si è fatto prendere da altre cose, da altri giochi. Non gli interessava più: quindi, ovviamente, basta!
Ha dimenticato ogni cosa ed ha normalmente imparato a leggere in prima elementare.
Quindi non so bene come va a finire! 🙂
So che molti bambini, anche senza alcun metodo, imparano a leggere da soli per il grande desiderio e curiosità che hanno; so che questo metodo funziona se protratto per un tempo sufficiente; so che il libro è comunque interessante e pieno di spunti; so che non è affatto necessario leggere a tre anni, nè a quattro, nè a cinque (…a sei la maestra invece dice che è necessario! 🙂 ); so che se ad un bambino va di fare una cosa, la farà molto bene e con molto impegno, anche se non gliela insegna nessuno.
Se avete un bambino in età prescolare, realmente motivato a leggere, che manifesta spesso e con convinzione la voglia di imparare… beh, perchè non provare?

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LaFeltrinelli

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25 thoughts on “Leggere a tre anni (ma perchè?)”

  1. @Serena: hai perfettamente centrato il punto, finora non ero riuscita a spiegare quale fosse il mio cruccio. Grazie a Lorenza e a te ci sono finalmente arrivata. Parlavo giorni fa di questo argomento con la mamma di un ragazzo con caratteristiche simili a mio figlio che ora ha 12 anni. Lei è l’unica amica con la quale mi sento libera di parlare senza il timore di essere fraintesa. Perchè le rarissime volte in cui ho esternato le mie perplessità a chi ha un vissuto diverso dal mio, ho rischiato di apparire come quella che vuole atteggiarsi a mamma del fenomeno.
    Mio figlio non è un genio, lungi da me affermare una cretinata del genere, i geni sono ben altri, ma presenta innegabilmente delle attitudini non troppo comuni.
    L’esperienza della mia amica è a tratti sconfortante: si è trovata più volte a dover combattere contro un sistema scolastico inadeguato, dove un bambino come il suo viene paradossalmente ghettizzato. E’ un bambino scomodo da gestire, che in qualche occasione mette addirittura in difficoltà le insegnanti, che i compagni considerano bizzarro, a voler proprio usare un eufemismo.
    Esattamente come è successo a me, si è ritrovata a dover nascondere le capacità del proprio bambino quasi si trattasse di una vergogna.
    Lei ha trovato il modo di soddisfare le sue esigenze iscrivendo ad alcune attività extrascolastiche. Così il suo bambino ha modo di “sfogare” tutta la sua energia in modo alternativo.
    Lo so che è illogico e decisamente stupido da parte mia, ma in molte occasioni ho minimizzato e per certi versi arginato la voglia di apprendimento del mio piccolo. L’ho fatto soprattutto nell’arco di quest’ultimo anno, in previsione dell’inizio della scuola elementare.
    Effettivamente la questione è paradossale: possibile che i pregi di un figlio possano trasformarsi in un motivo di ansia per una madre?
    E’ un sollievo leggere i commenti che mi hanno preceduta e non perchè fossi convinta di aver partorito il genio del secolo, ce ne sono tanti di bimbi come il mio (le statistiche dicono 1 su 25), ma perchè mi sento meno scema. Sono sollevata perchè ora so di non essere l’unica a crucciarsi per questo problema.
    La differenziazione scolastica è un’impresa complicata da attuare, non è impossibile ma è innegabilmente complicata. Quindi, avere un bimbo come il mio non è più una benedizione, ma può costituire un problema. Spero che le mie preoccupazioni siano immotivate, e mi auguro vivamente che siano soltanto dettate dal mio carattere ansiogeno. Staremo a vedere.
    Ringrazio Genitori Crescono perchè ancora una volta mi ha aiutato a non sentirmi un’aliena, tutte le mamme che hanno commentato finora e che commenteranno in futuro.

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  2. La questione del riuscire a differenziare è davvero molto complessa, ma sarebbe così importante affrontarla. Mio figlio ha una maestra molto dolce che ci mette dedizione ma ha 30 bimbi di 6 anni da introdurre alle gioie dell’apprendimento e per me questo sarebbe un compito titanico. Eppure se hai un bambino fuori media, e il mio Nano lo è sia nel bene sia nel male, senti questa gestione “media” come un macigno da cui non sai come sollevarti. Mio figlio legge come un bambino di 3° elementare ma resta tutto il giorno senza fare pipì perchè se ne sta raggomitolato nel suo angolo. Che fare? Io ci metto la mia volontà, l’aiuto di uno psicologo, l’appoggio a distanza alla maestra (ossia cerco, senza sfinirla, di passarle qualche informazione che possa esserle utile per comprendere mio figlio) ma alla fine queste maestre hanno davvero una mole pazzesca di individuali necessità da far confluire nello stesso programma educativo. Come dice Serena, non so offrire soluzioni ma mi piacerebbe tanto che gli esperti della scuola ne potessero avere una. Anche i bimbi “alieni” dovrebbero poter trovare uno spazio in cui essere quello che sono anche se è vero che dopo qualche anno le maggiori differenze sono destinate a sparire (e in parte lo spero!). Magari una maggiore attenzione alle peculiarità consentirebbe a tutti di riconoscere precocemente i propri talenti speciali e sfruttarli meglio …

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    • Io sto seguendo un po’ nell’ombra questo dibattito, forse perchè in questi giorni me lo sento troppo sulla pelle.
      Sto avendo problemi col Sorcio a scuola e quindi, consentitemi di non dire la mia, perchè, da buona amplificata (che non ha ancora capito se è introversa o estroversa), ho bisogno anche io di ritirarmi nel mio angolo a riorganizzare i miei pensieri…
      Però mi viene da pensare che lo scollamento tra l’attenzione alle peculiarità di ognuno e la realtà della scuola è enorme. E non per via dei maestri. Come dice Marzia, le risorse sono ai minimi termini.
      Tagliate le ore di compresenza tra maestri che consentivano il potenziamento delle peculiarità “per difetto”, insomma, l’aiuto a chi non riusciva a stare al passo. Si può ipotizzare di applicare risorse per supportare le peculiarità “per eccesso”? Di fronte all’urgenza di aiutare chi non ce la fa, senza un numero di insegnanti di sostegno adeguato, senza mediatori culturali per i bambini stranieri che non conoscono la lingua, come possiamo pensare allo sviluppo delle capacità maggiori?
      L’atteggiamento della scuola è quello di non lasciare nessuno indietro: omologare è l’unica salvezza di fronte alla scarsità di ore, di persone e di risorse. Figuriamoci se può esserci un progetto che sostiene le extra-capacità.
      Gli “esperti della scuola” hanno smesso di pensare alla costruzione di un progetto per concentrarsi su come risparmiare. Poi ci sono gli insegnanti, i veri “esperti”, che spesso, troppo spesso, fanno quello che possono. Spesso non sono formati per capire. Non hanno neanche il tempo per fermarsi a comprendere quello che non è nella comune esperienza.
      Non so, mi sembra di essere nel Paese sbagliato, nell’epoca storica sbagliata… Inutile dirvi che questo commento è frutto di una brutta giornata e di un po’ di sconforto… Una scuola povera di mezzi, non può che puntare alla media…
      Non ci resta che metter su una Scuola di Barbiana per amplificati??? 🙂

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      • Ah, dimenticavo… il Sorcio attuallmente, in seconda, legge come uno di prima… tanto per chiarire che qui di geni non ne girano davvero!

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  3. Io ho imparato a leggere verso i quattro anni, perché le mie sorelle più grandi si divertivano a fare le maestrine 🙂 e mi ricordo ancora la noia vissuta in prima elementare! Però effettivamente avevo una brava maestra che mi dava da fare dei compiti un po’ più impegnativi. E comunque nel giro di pochi mesi la differenza dai miei compagni è scomparsa, ovviamente.
    Certo che, anche secondo me, la scuola dovrebbe saper differenziare. Ma non è sempre semplice, parola di prof.
    Ciao

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  4. @Lorenza: pur rispettando al massimo la tua idea, mi permetto di dissentire quando affermi che se un bimbo si annoia a scuola ciò potrebbe dipendere dalla scarsa empatia con la maestra oppure da una qualche forma di incapacità a coinvolgere gli alunni.
    Un bimbo che in prima elementare legge come un bambino di terza, oppure sa già fare le moltiplicazioni per forza di cose si annoia.
    E’ come se si trovasse a rivedere per l’ennesima volta un cartone che gli è piaciuto un sacco. Il cartone gli piace ancora, ma lo conosce a memoria, e quindi si annoia.
    Chiaramente ci sono bimbi che si annoiano a morte anche se non sanno leggere, non tutte le maestre possiedono il dono dell’insegnamento,ma è anche vero che non tutti nasciamo con un amore sfrenato nei confronti dello studio. Alcuni si annoiano semplicemente perchè andare a scuola non rientra nella top ten delle cose che amano fare.
    Il mio modesto parere è che insegnare ai bambini a leggere a tre anni non sia un’idea brillante, perchè in alcuni casi il piccolo è talmente ricettivo da scavallare certi limiti.
    Finora non ho specificato un particolare, e cioè che mio figlio a 4 anni era in grado di leggere al volo le scritte in sovraimpressione del telegiornale, o che ora legge un Topolino di 250 pagine in un’ora e conosce già le basi elementari della matematica.
    Non lo dico per vantarmene, perchè come già spiegato ciò dal mio punto di vista costituisce un problema, ma per fornire la misura di quanto sia avanti rispetto ai coetanei.
    Quando mi sono resa conto di quanto avesse imparato soltanto alla scuola materna (perchè ribadisco che non sono stata io ad introdurlo allo studio)il mio primo pensiero è stato: e ora come accidenti faccio? Non lo posso mandare a scuola a cinque anni e mezzo, quello gli smonta i banchi a morsi, e non posso mandarcelo a sei anni e mezzo, perchè ho paura che si annoi.
    Finora, viva Dio, mio figlio sembra divertirsi a scuola. Magari ha incontrato un’insegnante motivata, non hanno ancora predisposto dei colloqui individuali, e quindi la conosco in modo piuttosto sommario. Però a pelle quell’insegnante mi piace.
    Spero tanto di non sbagliarmi…

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    • @lastaccata @Lorenza è molto interessante questo dibattito. Io spontaneamente tendo a pensarla come Lorenza, ossia che sia compito degli insegnati trovare il modo di interessare tutti gli studenti. Il caso di un bambino di prima che sappia leggere come uno di terza lo voglio prendere come un caso estremo, perché mi sembra poco probabile. Credo che uno dei limiti maggiori dell’insegnamento tradizionale ia proprio quello di pensare agli studenti come tutti uguali e tutti allo stesso livello. Questa è comunque una approssimazione, e una base di partenza molto limitante. L’insegnamento dovrebbe partire dal capire chi sono gli studenti che si hanno di fronte, prendere atto delle loro conoscenze preesistenti, studiare una strategia di crescita usando i punti di forza presenti. Quello di cui parla la staccata, non fa altro che sottolineare una deficienza del sistema. Un bambino che a 3 anni mostri voglia di imparare a leggere, e ci sono molti commenti in questo post che testimoniano proprio questo, perché dovrebbe essere bloccato? In virtù di una presunta noia arrivati alle scuole elementari? A me sembra ci sia una falla nel sistema. Ovviamente non offro soluzioni, questa è solo una riflessione

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  5. Concordo con la necessità di assecondare lo sviluppo dei bambini e non forzarli, però non credo si debba temere di insegnare per paura che poi siano troppo avanti alle elementari.
    Che brutto sentire dire di bambini che si annoiano a scuola! Credo che sia il modo peggiore di farli avvicinare allo studio. Però non credo che sia colpa del fatto di arrivare in prima sapendo già leggere: è inevitabile che ci siano differenti livelli, l’importante è saper interessare i bambini e in questo le maestre hanno un ruolo fondamentale.
    Anch’io ho iniziato le elementari sapendo leggere e un po’ scrivere, tendevo a capire in fretta e quindi quando la maestra ripeteva mi annoiavo e iniziavo a parlare. La maestra in tutta risposta mi riepiva di cose da fare, mi dava da leggere e compiti in più, mi faceva mettere a posto l’armadio dei libri, mi chiedeva di aiutare gli altri bambini (se oggi sono brava a spiegare le cose è merito anche di questo). Certo è più facile gestire bambini “medi”, ma alla fine non ci vuole molto anche a interessare quelli più esuberanti, se questa esuberanza deriva da una spiccata curiosità.
    Spero di trovare per mia figlia un’insegnante motivata come la mia!

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  6. avevo iniziato con la papazzana…andava di lusso
    20 parole in 2 giorni
    però poi mi sono accorta che non le sapeva ricomporre
    aveva colto dei particolari in ognuna e le ripeteva
    alla fine ci siamo annoiate, sia io che lei
    le ho insegnato l’alfabeto
    per gioco scrive lettere a casaccio e sgorbie
    (ha 3 anni e due mesi), sa molte cose ma non socializzava…ora va alla materna, colora, non vuole piu fare giochi con le lettere, ma socializza che è un amore…e sinceramente preferisco così.Infatti titubo fortemente anche sulla home school…ma è solo la mia opinione ovvio.
    Ps:mia nipote è arrivata in prima elementare che sa leggere, si annoia da matti e non ci vuole andare…
    questo mi fa paura

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  7. Sono sempre stata piuttosto scettica sulla necessità di precorrere i tempi eppure, mio malgrado, ho in casa un bimbo che ha iniziato a leggere a tre anni e mezzo e ora, che di anni ne ha sei e mezzo, per forza di cose si ritrova notevolmente “anticipato”rispetto ai suoi coetanei. La mia personale opinione è che con sia affatto un vantaggio, anzi!
    Preciso che quella di introdurlo precocemente alla lettura non è stata una mia idea, tutt’altro. A dirla tutta ho sempre temuto che ricalcasse in qualche modo la mia esperienza,eppure è capitato. Ha imparato rubando il mestiere ai bimbi più grandi che frequentavano la sua stessa classe alla materna dove convivevamo età variabili fra i due anni e mezzo e i cinque anni e mezzo. I piccoli giocavano, i più grandicelli venivano introdotti alla lettura.
    Nel mezzo c’era lui. Non è un bimbo particolarmente dotato, così come sostengono alcuni conoscenti, credo semplicemente che adori leggere esattamente come sua madre. La sua è una passione, equiparabile all’amore che nutre per il pallone, me lo dice sempre. Non è particolarmente intelligente, è soltanto un bambino che adora giocare ma contestualmente ama alla follia i libri.
    Anch’io ho precorso i tempi (a tre anni ho sfinito mia madre affinchè mi insegnasse l’alfabeto e a cinque anni avevo già letto il libro Cuore in una settimana), ma in prima elementare mi annoiavo a morte. Ho “campato di rendita” almeno fino alla terza elementare, pensando presuntuosamente di essere in qualche modo più intelligente degli altri.
    Questo, chiaramente, lo pensavo a sei anni. Ora che ne ho quaranta la mia opinione è che il leggere precocemente non sia foriero di straordinarie capacità: qualsiasi bimbo, se stimolato adeguatamente, può riuscirci. Questo libro racconta proprio questo.
    C’è poi chi chiede spontaneamente di imparare, così come ho fatto io, e chi invece ci riesce per caso, come è successo a mio figlio.
    La cosa più sensata, secondo me, è attendere che un bimbo sia maturo per leggere, oppure assecondarlo solo se manifesta il desiderio di leggere, ma senza strafare.
    L’ansia da prestazione che colgo in alcuni genitori è un qualcosa che non condivido. Per questo ho deciso di mandare mio figlio in prima elementare a 6 anni e mezzo, non prima.
    Avrebbe potuto senz’altro affrontare la scuola primaria un anno fa, ma non era scolarizzato nè tantomeno maturo per rimanere seduto in un banco.
    Ora temo che possa rivivere ciò che è accaduto a me: annoiarsi a scuola perchè lui certe cose (per fortuna, direbbero alcuni, purtroppo, dico io) le sa già.
    Magari non accadrà, perchè lui è solo mio figlio e non un mio clone, ma il rischio che possa rompersi le scatole è un’eventualità piuttosto concreta.
    E’ per questo che sono piuttosto sfavorevole a testi come “Leggere a tre anni”. Parafrasando Silvia ribadisco: ma perchè?

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  8. Ho letto di questo libro, e non so più dove né perché ho cercato di capire meglio la teoria, ma poi ho lasciato stare. Insomma, bene o male è un metodo, e a me questi metodi per imparare prima cose che impareranno, con altri metodi, dopo non piacciono molto.

    Ecco, per chiarirmi: ok, mia figlia impara a leggere a 3 anni, io mi metto lì con metodo e buona volontà, lei impara. Poi arriva in prima elementare e deve rifarsi la solfa dall’inizio, con un altro metodo, a imparare cose che sa già (quindi ad annoiarsi). Ecco, confesso che a frenarmi era questo…

    Però è vero che i bambini a 3 anni vogliono imparare, possono imparare, e hanno mezzi straordinari. Ma è anche vero che già a 3 anni vogliono e possono scegliere. Io ho sempre evitato di insegnare a mia figlia a leggere e scrivere proprio per questa fissa (probabilmente infondata) che poi se si trovasse in classe avanti si annoierebbe.

    ma lei ha voluto imparare. Ha iniziato con i tappetini di gomma “mamma, chetta cos’è?” e niente la divertiva di più che il “salta sulla A, salta sulla E, salta sul 6″ecc… Avevamo solo mezzo alfabeto, ma meglio così… Poi le targhe delle macchine “mamma, lì cosa è schitto?”, poi i bidoni della pattumiera…

    Ora ha 5 anni e legge in stampatello, lenta e impacciata ma legge righe intere, scrive lettere, piene di errori che io non correggo mai (se non mi chiede, avrà tempo!), ma ogni giorno scrive e legge e nessuno glielo chiede. E oggi all’asilo hanno iniziato le lettere, stampatello e corsivo. Ecco, a lei il corsivo non piace, e io mai gliel’ho proposto, ma ora ha scoperto che è capace di fare la “a” e si è buttata a pesce…

    Ecco, però mi chiedo, ma se mi fossi messa lì con cartelli e altro? Boh… non lo so, ha scelto lei e mi è andata di lusso, spero solo che conservi questo entusiasmo.

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  9. Bravissima Lorenza, in questi manuali c’è tanta “fuffa”, che io sintetizzo in “roba da americani”! I concetti da estrapolare sono semplici e diretti, ma, mi dico, forse non basterebbero a confezionare un libro, quindi aggiungono la fuffa!
    Io, in realtà, condivido tutte le opinioni che avete espresso: se un bambino è proprio interessato, si può provare, ma in caso contrario, me ne guarderei bene.
    Sull’esposizione continua (e passiva) ai cartelli, non mi sembra che si insista più di tanto nel libro, ma devo dire che non è necessaria.
    Certo, se il metodo Domman è usato per “creare bambini genio”…. beh, mi sa che non è poi così efficace!!!
    Come spero di aver fatto capire dai toni del post, sono la prima ad essere scettica, ma, finchè il Sorcio si divertiva, ne era contento e soddisfatto, quindi perchè no?
    Quando ha smesso di essere interessato, ci siamo guardati bene dal continuare. Vi assicuro che oggi non è un gran lettore: è piuttosto pigro ed alterna periodi in cui ha voglia di leggere a quelli in cui la paginetta dei compiti per scuola è uno stillicidio…
    Temo di non averne fatto un genio! 😉

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  10. Sono convintissima che ogni bambino abbia i suoi tempi per tutto: dal mangiare le prime pappe, al togliere il pannolino, a lasciare il ciuccio, ad imparare a leggere e a scrivere. Ogni forzatura produce effetti devastanti!! Perciò a mio parere via libera ad ogni metodo di apprendimento quando e solo quando il bambino ha voglia di apprendere

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  11. Che flashback!
    Mia madre ha usato con me i cartelli a suo tempo (sono del ’73), verso i 4-5 anni e ho imparato a leggere senza fatica, non sapevo fosse il metodo Doman!
    Nel mio caso ha funzionato bene, ricordo questi cartelli di colori diversi a seconda della difficoltà, si iniziava con quelli rossi tipo “mamma” e ogni giorno se ne imparava uno e si ripetevano quelli precedenti; l’ultimo era la frase “bimbo legge”. Non la ricordo come un’imposizione, perché fin da piccolissima prendevo i libri e chiedevo cosa c’era scritto.
    Ora per mia figlia ho acquistato dello stesso autore “imparare la matematica entro i 3 anni”.
    Spero di trarre qualche informazione utile come metodo, ma non ho ancora superato la parte della fuffa autocelebrativa, a volte questi manuali sono così infantili con il loro gusto per l’iperbole, sembra che se il metodo non è rivoluzionario, unico, risolutivo etc. non valga la pena di leggere! Mah, ‘sti americani 🙂
    Vi farò sapere quando l’ho finito, se vi può interessare vi faccio un riassunto.

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  12. Peccato non aver letto questo post ai tempi in cui mia figlia era in eta’ prescolare. Mi ha tormentata perchè le insegnassi a leggere, e non ci ho provato perche’ pensavo che fosse prematuro e non conoscendo alcun metodo avevo paura che potessi solo danneggiarla. Infatti quando ha frequentato la prima elementare in due gg gia’ riusciva a leggere,

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  13. condivido in pieno! là dove c’è un forte interesse da parte del bambino (ma anche dell’adulto!) l’apprendimento è rapido e piacevole, che si tratti di apprendere a leggere o di apprendere le regole del gioco del calcio 🙂

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  14. Io il libro l’ho acquistato e letto un paio d’anni fa, per cercare di capire cosa potevo fare per aiutare Nano visto che aveva iniziato a leggere le prime semplici parole spontaneamente intorno ai 3 anni e 1/2. Non so dire se il metodo descritto funzioni poichè non mi è stato dato il tempo neppure di pensare a come applicarlo. Immagino che ogni bambino abbia i suoi tempi per le cose, lui ad es. ha iniziato a parlare molto tardi (diciamo che fino ai 3 anni è stato molto silenzioso!) ma contemporaneamente ha tirato fuori le sue competenze nella lettura e nella gestione dei numeri.
    Non avevo alcuna pianificazione in merito al suo apprendimento precoce, anzi, non possedendo alcuna esperienza di insegnamento ho sempre pensato che lasciar fare alle maestre fosse la miglior cosa. Ma Nano ha fatto davvero tutto da solo, non so spiegare perchè per lui non sia mai stato un problema capire come si legga “sci” o “che” o “gni”. Per lui leggere è una cosa naturale, come parlare o camminare e lo fa solo se gli è utile o ne ha voglia. La storia prima di dormire la leggo sempre io! Così come non so come abbia sviluppato da solo la capacità di addizionare o sottrarre, di contare di 2 in 2 o di 5 in 5, etc.
    Allo stesso tempo non so perchè competenze di tipo diverso, come quelle sociali, non sia ancora in grado di applicarle. Insomma, come avrete capito, brancolo ancora nel buio. Però, avessi potuto scegliere, avrei lasciato lettere e numeri per la scuola e avrei giocato, giocato, giocato. Ma Nano non è me quindi lo seguo incuriosita.

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  15. Ciao, non so…. Io il metodo Doman l’ho conosciuto quando ero piccola, lo usavamo con mio fratello (diversamente abile) e ne ho un ricordo da incubo… Ore e ore con quei maledetti cartelli, perché se non erro nella teoria c’è da farlo per un sacco di volte al giorno, sbaglio?
    Poi mi infastidiva il fatto che, almeno da quanto ci avevano insegnato, i cartelli andavano proposti anche se lui in quel momento stava facendo dell’altro, che so… era distratto, non guardava… perché tanto, dicevano, apprende lo stesso.
    Ecco, a me questa idea della passività totale del soggetto mi fa rabbrividire. Sono convinta che non siamo automi a cui basta dare gli stimoli giusti, in giusta quantità (esagerata) e nei giusti tempi (eccessivi) per avere le risposte giuste (e preconfezionate). No, credo di più in un apprendimento coinvolgente, attivo e condiviso.
    Il metodo Doman, tra l’altro, è stato usato in America per “creare” bambini-genio…Che, a dire il vero, a me sembra più un torto nei loro confronti che altro….
    Poi, per carità, io il libro non l’ho letto, mi baso semplicemente sulla mia esperienza

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