L’asilo nido rende più intelligenti?

E’ vero che l’asilo nido rende più intelligenti i bambini? Ma non è meglio stare con la mamma fino all’inizio della scuola materna? Ecco alcune riflessioni che possono aiutarvi, qualsiasi sia la vostra scelta.

asilo-nido
Ho avuto il colloquio all’asilo per entrambi i figli la scorsa settimana e come spesso avviene mi ritrovo a riflettere sulle tante caratteristiche che li distinguono. Sono tornata a casa con un sacco di pensieri in testa, dall’evidente differenza di temperamento tra i figli, all’effetto che la frequentazione dell’asilo sta avendo su di loro.

Ci sono due scuole di pensiero riguardo all’asilo nido. Quelli del si, e quelli del no. Anzi scusate, ci sono anche quelli del magari!. Cioè magari ne trovassi uno che non mi costi un rene, e anche magari ne trovassi uno buono, ma anche solo magari ne trovassi uno. Ma ammettiamo per un momento che di asili nido ce ne fossero a volontà, e fossero accessibili anche dal punto di vista economico, e che fossero di un buon livello con educatrici preparate e in un ambiente accogliente e sereno. Restano sempre le due scuole di pensiero: asilo nido si, e asilo nido no. E la discussione accende sempre gli animi perché, diciamo la verità, dipende. Dipende da un sacco di cose.

Ultimamente è uscito un articolo che riporta i risultati di uno studio effettuato dalla fondazione Agnelli sugli effetti della frequentazione del nido sul rendimento scolastico. I risultati in sintesi sono che chi ha frequentato l’asilo nido va meglio in italiano e matematica quando si trova in seconda elementare, di chi non lo ha frequentato. La mia prima reazione in questi casi come sempre è quella di chiedermi come hanno fatto ad escludere altri fattori, quali la classe sociale di provenienza o il livello di educazione dei genitori, oltre a tutte le altre possibili ed immaginabili, fratelli o sorelle, nonni disponibili o meno eccetera.
Sono andata a cercarmi lo studio, che si trova sul sito della fondazione Agnelli e ho visto che in effetti hanno preso in considerazione molti di questi fattori per normalizzare i dati e quindi da questo punto di vista mi sembra un buon lavoro. Purtroppo non ho trovato il dato rispetto all’incertezza sulla misura, cioè quando mi dicono che in media i bambini che hanno frequentato al nido hanno 1 punto e mezzo più degli altri, se non mi dicono quanto variano i risultati all’interno di ciascun campione non ho sufficienti informazioni per capire se questo è importante oppure no.

E allora torno alla mia esperienza diretta, anche se mi trovo in un sistema svedese e non italiano. Ogni volta che vedo i progressi che fanno i miei figli grazie al nido sono estremamente contenta e so per certo che se fossi stata io a dover lavorare su certi aspetti non sarei riuscita altrettanto bene e tantomeno altrettanto in fretta. Se andranno meglio in italiano o matematica in seconda elementare mi importa molto poco, e sono consapevole che questo è solo un parametro per misurare l’effetto che il nido può avere sui loro piccoli cervelli. Però io vedo dei vantaggi già nell’immediato.

Pollicino è al nido da quando ha 16 mesi, quindi non prestissimo, e questo grazie ad un buon sistema di congedi parentali in Svezia che ci ha permesso di prenderci cura di lui così a lungo. Da quando ha iniziato il nido però ha fatto dei passi avanti da gigante. Ha voglia di fare da solo più di prima, ama interagire con altri bambini, è più sicuro di se. Ovviamente ci sono aspetti che maturano con l’età e non sto parlando di questo. Sto parlando del fatto che all’asilo nido riescono a fargli fare cose che io a casa non potrei mai fare. E la spinta più forte è data dalla presenza di altri bambini.

La socializzazione. Cosa significa socializzare per un bambino di 1 o 2 anni? A questa età i bambini fanno spesso giochi paralleli e non collaborano, quindi parlare di socializzazione nel senso in cui spesso lo intendiamo noi è sicuramente prematuro. Ma io vedo che la spinta della presenza di altri bambini intorno che fanno cose diverse da quelle che fanno loro gli fa venire l’idea di provare. Cosa che magari io a casa non riuscirei a fare perché non sono un bambino, ma sono un adulto. Nel mondo bambinocentrico l’adulto è quello che fa le cose perché le sa fare e basta e il bambino si affida totalmente all’adulto in questione. Quando il bambino è al nido insieme ad altri bambini è continuamente spinto dal suo istinto a fare quello che fanno gli altri, che sia mangiare con la forchetta da solo, sedersi sul vasino, addormentarsi per il riposino, mettere a posto i giochi dopo averli usati.
Quando un bambino è a casa con la mamma (o con i nonni) fino a 3 anni perde questa grande opportunità di confronto con altri bambini. E non perché se ne sta chiuso in casa e non gli capita di incontrarne, perché lo so bene che uno i bambini li fa uscire e li fa stare ai giardini a giocare o li porta dai cuginetti. Ma non è la stessa cosa. Una cosa è la condivisione di routine che comprendono anche il mangiare, il dormire e tutto il resto oltre al gioco, un’altra è incontrare un amichetto per giocare.

Le relazioni affettive. I sostenitori del no affermano che un bambino che va all’asilo nido subisce un senso di sdradicamento rispetto agli affetti famigliari, gli viene a mancare l’abbraccio caldo della mamma, che lo protegge e lo coccola e lo fa crescere sicuro. Io però vedo anche che i bambini al nido si creano delle bellissime relazioni affettive con il personale che si prende cura di loro e anche con gli altri bambini. Il loro mondo affettivo diventa più ampio e più ricco. Imparano a sentirsi più sicuri anche in gruppo e a cercare delle relazioni diverse con i diversi individui che li circondano. Credo che per compensare questo effetto tenendo il bambino a casa fino a 3 anni bisogna fare molto sforzo per riuscire a dargli quella stessa possibilità creando degli incontri ad-hoc. Non è impossibile, ma è più difficile.
Poi qui entra in gioco il fattore nonni, ma quello è un’altro capitolo, che dipende dai nonni, dalla loro età, dai conflitti in famiglia, dalla disponibilità, e per ora non voglio entrarci. Comunque mandare i figli al nido mica vuol dire che i nonni non li vede mai, no?

L’indipendenza.Uno dei lavori più importanti del nido è quello della spinta all’indipendenza. Un po’ perché un adulto che si deve occupare di 5 o 6 bambini al di sotto dei 3 anni non può fare tutto da solo, un po’ perché fa parte dell’aspetto pedagogico (vedi Montessori ad esempio). Un bambino di 13 mesi può mangiare da solo, uno di 18 mesi può infilarsi i pantaloni da solo, uno di 2 anni può lavarsi le mani da solo, uno di 2 anni e mezzo può usare il coltello per tagliare il cibo da solo (magari no una fiorentina al sangue!) Mediamente queste possibilità a casa non gli sono date. E qui mi ci metto anche io. Primo, io non ho pazienza e spesso nella fretta finisce che le cose le faccio io così ci si sbriga. Secondo perché magari non mi viene in mente. Pollicino su queste cose è abbastanza pigro e si lascia fare tutto. E io lo faccio. E poi scopro che all’asilo lo fa da solo e resto basita. Certo ci si può chiedere se sia così importante che faccia questi passi quando è in grado di farli. Per me è importante nel senso che stimola l’autostima e una formazione di una coscienza di se stessi come individui. Quando Pollicino riesce a fare una cosa e si batte le mani felice è molto più importante di quando io mi sbrigo a farla per lui. Ora è vero che anche questo si può fare a casa, lasciandoli provare e rispettando i loro tempi, ma quanti sono a farlo? E quanti continuano ad imboccare i figli fino ai 2 anni? (io ne conosco!)

Queste sono solo alcune riflessioni che mi sono venute in seguito ai colloqui e alla lettura dell’articolo di Repubblica. Credo che sia importante pensare bene anche al tipo di bambino che si ha, perché i bambini sono diversi e magari si adattano meglio o peggio all’ambiente dell’asilo nido. Ma la mia esperienza per entrambi i figli (diversissimi) è stata assolutamente positiva, e mi sentirei di raccomandarla a chiunque, magari non prestissimo (il Vikingo ha iniziato a 13 mesi), e magari con un orario ridotto in modo da garantire anche del tempo di qualità con i genitori, che nel mio mondo ideale farebbero i turni per andare a prendere i figli al nido. E poi ovviamente bisogna pensare a che tipo di genitore si è, perché si può fare tutto o quasi anche a casa, ma con molta più fatica, e se certi aspetti vengono salvaguardati meglio all’interno delle mura domestiche, altri vengono sottovalutati o dimenticati, tendendo magari a proteggere un po’ più del necessario. Per me non è un problema di delega educativa, ma di offrire una possibilità educativa più ampia, che prenda il meglio di quello che io, genitore, posso offrire, e il meglio di quello che un asilo nido può offrire.
Voi che ne pensate?

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55 thoughts on “L’asilo nido rende più intelligenti?”

  1. Io sono stata bambina lasciata al nido da piccolissima (scusate non ricordo l’età), poi dai nonni e dagli zii. Sono stata molto amata dai miei genitori ma per loro era importante anche darmi una sicurezza economica… Io ho sofferto molto per questo. La mamma mi mancava. Mi mancavano le sue braccia, le su coccole. Adesso sono mamma anche io e prorpio ancora non ci riesco a lasciare in mani estranee il mio piccolo (16 mesi). Non posso non lavorare e quindi ho impostato il mio lavoro da casa. Non nego che conciliare le due cose sia una grande fatica ma d’altra parte non perdo anni magnifici e particolari (che vanno e non tornano più) del mio piccolo. Anche noi frequentiamo piscina, ludoteca, parchi ecc. e i momenti di socializzazione non mancano. Per quanto riguarda l’autonomia: mio figlio vuole mangiare da solo, si lava da solo (forse dovrei dire sguazza) e molto intraprendente anche con persone che non conosce e sicuro di sè. Quindi penso che il confronto in benefici non si possa fare perché ogni bambino è a se, come lo è ogni mamma. Insomma qui da noi per il momento nido NO

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  2. Io penso che il nido dia più stimoli, più risorse, ma che renda più intelligenti…
    Le mie figlie sono andate tutte e due prestissimo al nido: la prima a 3 mesi e mezzo e la seconda a 5 mesi. Se avessi potuto tenerle a casa di più l’avrei fatto, ecco io sono di quelle nido si, ma non così presto (cosa vuoi che socializzino a 4 mesi?). Ma non ho potuto e l’ho fatto, tra nonna full time e nido ho preferito tenerli tutti e due part time. Nido tutte le mattine, e i pomeriggi con me, o con papi, o con nonna (che le tiene quasi tutti i sabati più un pomeriggio quasi tutte le settimane). E c’è un po’ di spazio per tutti.

    Ecco, detto questo, Sara ha una cuginetta di 5 anni più grande di lei. Sara ha camminato prima, ha parlato prima, si è spannolinata prima, ha corso prima, ha iniziato a scrivere prima. E ogni volta la frase era sempre “eh, al nido imparano” “vedi, va al nido, è più sveglia” “ha imparato prima, va al nido sai?”. Ecco, confesso che mi irritavano anche un po’: con tutto il rispetto per chi arriva prima e dopo, ma che diamine, prima figlia, sveglia, e nemmeno la soddisfazione di avere un po’ di merito? No, tutto al nido 😉

    La seconda va al nido. Da piccolissima anche lei. Ha camminato dopo, di spannolinarsi ancora ovviamente non se ne parla, correre è una cosa che è arrivata molto avanti, e ora alla bellezza di 20 mesi (e Sara a quest’età contava fino a 10 e faceva frasi compiute di più parola) ha imparato a dire “bava” (brava) oltre a mamma e papà. Punto. Anzi, confonde ancora papà con mamma, se vogliamo dirla tutta.

    Io avevo paura di fare paragoni, invece no, cioé li faccio ovvio, ma con estrema naturalità, non ho nessuna fretta solo perché la prima è stata sveglia, anzi, ho la lieve speranza che questa sia più “facile” (ma me la sta togliendo molto energicamente).

    Però credo che sia la prova che il nido (stesso nido, stesse maestre) c’entri fino a un certo punto. Tutte e due hanno imparato tanto al nido, te ne accorgi quando dici “capelli” e se li toccano e ti chiedi quando gliel’hai fatto vedere (ah, no, non sono stata io!). O quando le dici “quello è un asino” e ti risponde “hi-hooo” e ti chiedi quando mai ha visto un asino…

    Ecco, imparano tanto di più, è vero. Ma non penso sia una grande marcia in più. Tra nido e nonni preferisco nido (senza escludere mai i nonni, ma senza dargli il ruolo di baby sitter), ma tra nido e genitori, almeno fino ai due anni, preferisco i genitori, che diciamo, sono a metà tra i nonni (esclusivamente a disposizione dei nipoti) e il nido (dove una maestra ne ha sempre più di uno da guardare). Perché mamma non ha solo i figli, ha la casa, il pranzo, la cena, un fratellino, la voglia di farsi anche un po’ di cose sue (anche solo una doccia). E quindi meno disponibile di un nonno. Ma sicuramente più calorosa di un nido.

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  3. Piccola parentesi: è bello leggere che con tutti i pensieri che uno in genere si fa a lasciare i figli in mano a persone in fondo scnosciute, qui si sentano solo commenti positivi sulle strutture e sul personale… no?

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  4. puffolomeo va al nido da quando aveva 9 mesi per ragioni di lavoro di noi genitori. STA DA DIO!! le educatrici sono preparate e attente, il nano la mattina è felicissimo di andare e la sera quando mi vede dopo avermi squadrata come a dire “‘azz sei già qui ?!” mi gattona incontro tutto sorridente. Credo che la struttura e il personale siano fondamentali, così come la serenità di lasciarli. All’inserimento alcune piangevano e i loro bimbi pure!!!
    se fossimo rimasti in casa io e lui nel paese dove non conosciamo nessuno dove non ci sono occasioni di socialità ne per grandi ne per piccoli sicuramente non sarebbe sereno e gioviale come è adesso e io sarei dietro le sbarre….avete presente un giorno di ordinaria follia?! God bless creche.

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    • Stamattina quando, dopo aver fatto capricci per tutto il pecorso è arrivato al nido ed è corso incontro all’educatrice sorridendole e abbracciandola, mi sono così commossa che l’avrei abbracciata anche io 😉

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  5. Oggi, purtroppo nelle citta ‘ si vive in 70 metri quadrati, in palazzi, sono poche le famiglie che possono permettersi un giardino, una volta le mamme facevano 6 o 7 figli, ma erano fuori in giedino a giocare tutto il giorno con altri bambini, o lavorare nei campi che per i bambini puo ‘ essere anche un gioco , e cosi le mamme erano libere di fare i loro lavori casa ed anche i bambini di giocare e spaziare come volevano senza che nessuno gli dice ogni due minuti, questo non si fa’ , qua’ non si gioca, e pretendere che un bambini vivi come noi in 7o metri quadrati senza dover far nulla della sua natura di bambino. allora alla luce di questa nuova societa’ in cui anche le mamme sono cambiate, non hanno piu’ la pazienza, la calma , forse l’ amore delle mamme del passato, anche loro sono effetto di una societa’ in cui spesso i sentimenti umani vengono considerati come ultima delle cose nella lista di importanza , io consiglio alle mamme di portare i bambini all asilo, un buon asilo nido in cui i bambini vengono naturalmente rispettati, protetti ed aiutati nel loro percorso di crescita, ma in fondo se guardiamo bene , il bambino ha bisogno di un ambiente in cui gli viene permesso di esprimersi , giocare , esplorare, e fare cosi un cammino il piu’ naturale possibile, e se le mamme oggi si stancano troppo facilmente da rischiare serie depressioni , da cui possono uscire con difficolta’, io consiglio alle mamme di prendere tutti gli aiuti possibili, affinche’ una mamma possa fare al meglio il proprio ruolo di mamma, una mamma esaurita non serve a niente, anzi puo’ fare danni irreparabili per se e gli altri, e di questo ne abbiamo avuto prova in questi ultimi anni, vedendo il telegiornale.
    IL BAMBINO DEVE VIVER IN UN AMBIENTE SERENO , IN PRIMO LUOGO, AFFINCHE LUI POSSA ESPRIMERE , TUTTE LE SUE CAPACITA’ , MA IN PRIMO LUOGO POSSA SEMPLICENTE ESPRIMERSI E VIVERE IL SUO CAMMINO DA BAMBINO .

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  6. @Serena, ciao, mi ero chiesta “a che pro” dopo aver letto l’articolo di Repubblica, che per forza di cose rende tutto un po’ superficiale, adesso che ho letto l’originale sono assolutamente d’accordo con te. Anche se studi di questo tipo sono stati fatti e strafatti all’estero, penso che sia importante che vengano ripetuti sulla realtà italiana. Cito questo passaggio: “Una maggiore disponibilità di
    nidi aiuterebbe le famiglie a lavorare di più e fare più figli? Non è in realtà possibile dirlo in mancanza di un disegno di valutazione di impatto scientificamente valido, un grave limite che accompagna praticamente ogni scelta di politica sociale in Italia.” (par. 3.1, pag 14).

    Se le scelte di politica sociale in Italia vengono fatte “a cavolo”, o piuttosto con l’unico scopo di guadagnare voti alle prossime elezioni, probabilmente questo documento non cambierà molto nell’immediato, ma è fondamentale che esista e che venga pubblicizzato anche per far capire all’opinione pubblica che no, mandare i figli al nido non vuol dire abbandonarli, non vuol dire minare per sempre la loro autostima e la loro fiducia nei genitori, e, almeno statisticamente parlando, i bambini che hanno fatto il nido non stanno affatto peggio degli altri, anzi. Mi ha colpito molto questo dato, “in Italia un numero più elevato di famiglie rispetto agli altri paesi europei ritiene che i bambini piccoli soffrano se stanno all’asilo e la madre lavora: la percentuale è l’80% di famiglie in Italia, mentre la maggior parte dei paesi oscilla tra il 40 e 60%” (pag 14).

    E allora, ben venga la statistica.

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  7. La tua analisi è perfetta.
    Il Moccioso va al Nido da quando ha 9 mesi, scelta obbligata perchè io sono rientrata al lavoro e possibile perchè ce lo possiamo permettere (circa 500 euro mensili, non dimentichiamo questa discriminante). Ma sono stata da subito entusiasta dell’ambiente, delle educatrici, delle mini-amicizie che sta creando con gli altri mocciosi. Nemmeno io sarei in grado di fare con lui le cose che gli sono proposte al Nido. E non metterei nemmeno io al primo posto la questione “socializzazione”. Quello che è interessante è il percorso didattico, le mille attività, il loro percorso verso l’autonomia.
    Francamente non vedo il Nido necessariamente in contrasto con la costruzione di un rapporto solido e affettuoso con la mamma. Quando porto il Moccioso al Nido la mattina lui mi piazza una bacio veloce e si precipita di corsa in aula per giocare con i suoi amichetti. Quando torno a prenderlo e mi affaccio alla classe lui lancia un urlo di gioia e corre verso di me riempiendomi di baci. Lo vedo sereno e sento che quell’ambiente è giusto per lui, lo accoglie, lo abbraccia, lo protegge e lo aiuta ad essere il bambino che è. Sono onesta, non sono sicura che 24 ore al giorno con me sarebbe lo stesso.
    Io credo di aver fatto la scelta giusta, lo vedo felice di andare al Nido e felice di tornare a casa con me la sera.
    E io sono felice di avere un lavoro remunerativo che mi piace molto.
    E anche questo per me è molto importante.

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  8. Sopratutto su una cosa sono d’accordo: ci sono molti aspetti da prendere in considerazione.
    Personalmente sono sempre stata pro-nido e ho deciso di mandarci Daniel a 13 mesi perchè la soluzione “nonni” non mi soddisfaceva: lui ha sempre avuto un carattere molto forte, addirittura prepotente, e il fatto di essere continuamente assecondato dai nonni non lo spronava di certo a migliorare questo suo lato. Ho pensato che il nido e l’interazione ALLA PARI con i suoi coetanei sarebbe stato il miglior insegnamento che potessi dargli e così è stato per un periodo. Ha migliorato tantissimo sotto questo aspetto e sotto molti altri, primo fra tutti il linguaggio. Però la struttura che avevo scelto, un piccolo nido con non più di 30 bambini e 5 educatrici formidabili il cui lavoro era una vera e propria vocazione, dopo un anno ha dovuto chiudere per motivi vari. Diciamo che sono stati assorbiti da una struttura mooolto più grande dove per un periodo ho continuato a mandare Daniel: un disastro! Si è ritrovato improvvisamente in un salone sconosciuto, con 100 bambini sconosciuti, tante maestre sconosciute e questa cosa enorme e dispersiva e caotica lo ha mandato in crisi. Ha iniziato a piangere come non aveva mai pianto oltre a non dormire la notte tra incubi e urla, così dopo una lunga riflessione ho deciso di ritirarlo in attesa di mandarlo alla materna. Forse la cosa si ripeterà, ma al momento mi sono resa conto che si erano annullati tutti quelli che io ritenevo i benefici del nido, quindi insistere nel mandarlo mi sembrava insensato.

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  9. Ho fatto scelte diverse per il primo rispetto alla seconda. Leo al nido ai 17 mesi. Picca ai 12 mesi. Entrambi solo part-time per lasciarli dormire a casa ma mangiare insieme agli altri bimbi. Non so se saranno più o meno bravi. Onestamente non mi interessa ma più autonomi e in grado di gestire la separazione questo sì. Almeno questa è la mia percezione. Poi tutto dipende dalla struttura, dagli educatori ma l’allenamento al “mamma/papà tornano” secondo me aiuta l’auto-stima. Sulla socializzazione ho visto che prima dei 12 mesi ai miei non importava nulla di stare con altri bambini. Dopo sicuramente inizi a vedere uni sguardo che va oltre l’uno a uno ma in modo graduale. Una cosa, tra le molte che condivido, hai detto molto importante: quello che fanno al nido io non sarei mai stata in grado di farlo, né io né una persona, un nonno incaricati a seguirli. L’uso intensivo dei colori, i pasticci, i piccoli laboratori. Insomma la mia esperienza la ripeterei pari pari.
    Sempre un piacere leggere le tue analisi.

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  10. Bellissima la tua certezza, in fondo alla tua frase 🙂 !
    Ed hai ragione: non potrai mai sapere se hai fatto la scelta giusta. Ma neppure io! Però io ho scelto con il cuore e penso pure tu!

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  11. Non sapevo proprio che questi studi venissero fatti regolarmente. Però hai detto bene… Mah, in Italia famiglia e bambini stanno scendendo in fondo alla classifica dei valori. Povera scuola 🙁
    In ogni caso io penso che non terrei conto di questo dato per decidere se mandare mio figlio al nido oppure no. Ma se lo studio servisse ad aprire nuovi nidi, ben venga!! Perchè ce ne sono pochi e troppo cari. Purtroppo le mamme che lavorano ne hanno bisogno, in Italia.

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  12. Potessi permettermelo i miei figli li terrei con me fino ai 3 anni, quando poi li manderei alla materna.
    Per me è più importante sentirsi sicuri di un rapporto con la mamma, fino ai 3 anni, tutto il resto, la socializzazione, l’indipendenza, la vita in società, penso che sia più giusto che lo imparino dopo i 3 anni, alla materna.
    Però sono costretta a lavorare fin dai 4 mesi dei miei figli (la maternità facoltativa non posso permettermela, e mi va bene se non mi salta anche l’obbligatoria), e potendo scegliere tra nonni e nido sceglierei per questo secondo figlio sicuramente il nido. Perchè il primo coi nonni è stato benissimo, ma ho capito che i nonni non possono in alcun modo sostituire la mamma, e allora molto meglio un nido, con personale qualificato e tutti i vantaggi di cui si parla nell’articolo.
    Peccato che ci siano pochissimi posti e costino troppo per le mie tasche, quindi anche ‘stavolta si andrà di nonni, che a me non è concesso nemmeno il part-time…

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    • Mi piace leggere nelle vostre risposte il fatto che ognuno ha scelto il suo percorso, guidato dalle proprie convinzioni ma anche dall’osservazione delle esigenze del bambino specifico. Io a volte mi chiedo se al Vikingo abbiamo chiesto troppo, se tenendolo a casa fino ai 3 anni sarebbe cresciuto più sicuro di se. Per noi non c’era possibilità reale di scelta perché c’erano troppi fattori in gioco, tra cui quello di imparare una lingua che non è parlata in famiglia. E farlo arrivare a 3 anni senza contatto quotidiano con lo svedese sarebbe stato un suicidio. La verità però è anche che proprio sul piano delle sue debolezze, delle sue insicurezze emotive, penso che il frequentare il nido gli abbia portato un giovamento maggiore. Se lo avessi fatto rimanere a casa, protetto, in attesa del suo sentirsi pronto, non sono certa che gli avrei fatto un favore. Ma naturalmente non potrò mai saperlo veramente. L’unica certezza è che io avrei avuto l’esaurimento nervoso 😉

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  13. Anche io ho seguito la discussione sul blog di Claudia Citato da MammaFelice e altre discussioni nate qua e là. Io ho avuto una bellissima esperienza con il nido aziendale, frequentato da Topastro dai 12 mesi fino ai 38 mesi, solo dalle 8.00 alle 12.30 (massimo fino 13.30)
    Però, al di là delle scelte personali… ovvero: voglio stare a casa con mio figlio e godermelo, preferisco lasciarlo ai nonni, il nido costa troppo…
    Non credo che avrei mai preso in considerazione questo studio per decidere se mandare mio figlio al nido oppure no, (per quanto i dati presentati siano attendibili, come hai fatto notare tu). Sono bimbi! Oggi si tende sempre più a volerli far crescere in fretta, a vantarsi dei risultati ottenuti, (il mio riconosce tutte le lettere dell’alfabeto a 4 anni, il mio sa contare fino 20…), a renderli indipendenti… Perchè non possono godersi il loro essere bimbi? Giocare, scoprire le cose piano piano… Se il loro rendimento scolastico sarà un pochino più basso, pazienza! L’anno dopo saranno più bravi. Ed io, ripeto, ho avuto una bella esperienza con il nido. E come te mi sono accorta che dopo solo qualche settimana il Topastro ha iniziato a voler mangiare da solo e fare altre cose che forse io non gli avrei insegnato. Tra l’altro sappiamo benissimo che i bimbi sono tutti diversi e alcuni soffrono parecchio al nido. Magari i più timidi, i più abituati a stare con mamma da mattina a sera… Topastro è sempre stato un bimbo socievole, il nido non gli è servito a rafforzare questa capacità. Lui a cinque mesi attirava l’attenzione dei passanti e poco dopo aver iniziato a parlare e camminare salutava tutti per strada e si fermava a “chiaccherare”.
    A me non importa proprio che il Topastro non sappia ancora mettersi o togliere la maglietta, che sappia contare solo fino 4 e dal 5 in poi pronunci dei numeri che neppure esistono. Mi importa invece che al nido sia stato bene, nonostante il momento del distacco sia sempre stato un pochino doloroso, ogni giorno.

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  14. anche io ho tenuto la cucciola con me fino ai 2 anni e considerando tutte le pause nido per malattia si può dire che un vero percorso non l’abbiamo ancora cominciato (siamo sui 5 giorni all’asilo e 10 a casa malata) e mi dispiace perchè credo in tutto ciò che hai scritto credo che il nido può darle un’opportunità in più che io a casa posso trascurare. ad esempio questa tua frase “Un bambino di 13 mesi può mangiare da solo, uno di 18 mesi può infilarsi i pantaloni da solo, uno di 2 anni può lavarsi le mani da solo, uno di 2 anni e mezzo può usare il coltello per tagliare il cibo da solo (magari no una fiorentina al sangue!)” mi ha fatto trattenere il respiro…perchè sono in enorme ritardo. 27 mesi e la imbocco io, i pantaloni o gonna per pipì li tolgo io, le mani le lavo io e il coltello neanche a toccarlo. sono un disastro. ma lei è pigrissima e se aspetto che deve mangiare da sola 2 o 3 cucchiai e poi vuole giocare e non mangia più. insomma hai pienamente ragione certi tempi a casa sono molto più lenti.

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  15. Mi rileggo nelle parole di Monica,
    e so per certo che intorno ai 3 anni sarà lui stesso a chiederci di mettersi in gioco in quel “grande divertimento che è la corsa all’indipendenza”,in quanto è una spinta naturale evolutiva, non gli stiamo negando nulla ora.
    Mi sento, potendolo fare, di assecondare i suoi ritmi accompagnandolo verso le tappe obbligate, mostrandogli la strada senza grosse forzature. Per questo anche noi frequentiamo la ludoteca, e nonostante il primo mese di crisi di pianto/isteriche/rifiuto (anche se sto sempre là anche io con lui) a forza di empatia, discorsi, spiegazioni e tanta pazienza ora ci va volentieri.
    La differenza tra bimbi che fequentano e quelli che non lo fanno si vede eccome, come però è immensa anche tra bimbi di 2 anni e bimbi di 2 anni e mezzo. Differenze che andaranno a equilibrarsi per scomparire con il tempo.

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