L’ estate dell’expat, fare i pomodori e riti tribali

Come osservava Maria Pia alcuni post fa, la vita dell’emigrante è caratterizzata dal fatto che in estate o nelle feste comandate, raramente vai in vacanza, preferisci tornare a casa. Poi, preferire, preferire è una parola grossa. Con quello che mi costa una transumanza inversa, me ne sarei andata in crociera, ma il sacro dovere del clan mi chiama.

Infatti, come potrei crescere queste creature carne della mia carne in questo nord privo di vitamina D (devo ancora partire e questa è la seconda estate più piovosa degli ultimi tre secoli di fila, non so se traspare) senza una sana provvista di pomodori fatti in casa? In Italia. Il pomodoro non italico manco lo prendo in considerazione (e sicuramente non il pomodoro batavo, che negli anni ’80 i tedeschi -i tedeschi, mio dio- chiamavano affettuosamente bomba d’acqua).

Perché adesso non vorrei spararvi un pippone nutrizional-agro-alimentare, però lo capisce un bambino (soprattutto un mio bambino) che non c’è paragone tra la lattina di pelati fatti nonosdove da gente schiavizzata dalla mala e il pomodoro che il contadino a km. zero mi raccoglie la sera e io li spremo la mattina dopo senza avergli fatti manco vedere a distanza un frigorifero, figuriamoci una cella frigorifera.

Home is where la macchinetta of the tomatoes is, e la mia di macchinetta è professionale. Con un motore da lavatrice. Che si puppa 100 kg. di pomodori senza neanche surriscaldarsi, non come quelle robine in plastica che ogni 10 minuti le devi infilare sotto il ventilatore per farle riprendere.[quote]

(Oh, sentite, ognuno ha le sue perversioni estive, c’è chi a Ferragosto si fa i gavettoni, per esempio. Magari con le bombe d’acqua pomodorose o meno).

Insomma, per me fare figli, portarli in estate il più a lungo possibile in Abruzzo e fare i pomodori sono stati un processo organico, nel senso che manco ci ho dovuto pensare, l’ho fatto.

Ma quale credete che sia il maggior ostacolo al mio sacro dovere di madre? Le commari, proprio quelle che non solo passano l’estate a imbottigliare qualunque frutto o verdura gli capiti sottomano, ma che prima di arrivarci se le sono piantate, diserbate e annaffiate in quei lunghi pomeriggi quando la temperatura da 44 gradi passa a 38 e si può lavorare nell’orto con il fresco.

E chi te lo fa fare?

E perché non ti godi un giorno in più di mare con i bambini invece di mettere su questo baraccone?

E poi adesso nei supermercati si trovano tante salse buone che alla fine ti costano pure di meno“.

Io sono andata avanti per la mia strada e un paio di anni fa, con la casa inagibile, mi sono comprata il bruciatore da attaccare alla bombola per farmelo all’aperto nel vicolo. Anche se idealmente avrei preferito il vecchio fusto dell’olio annerito, con la forcella fatta apposta dal fabbro locale e un fuoco di legnetti. Ce metti le bottiglie separate da pani vecchi, riempi con la canna dell’ acqua, porti a bollore mentre intorno calano le prime ombre della sera, e la mattina dopo, quando si sono raffreddate, le tiri fuori e butti quel paio che sono scoppiate.

Perché con i miei tempi e la casa inagibile, e i figli al mare, e il maschio alfa che poi deve caricarsi il tutto e ripartire e che fai, gli rovini l’ultimo giorno di vacanze, io mi sono dovuta staccare dalle pratiche tradizionali e inventarmi dei tempi e metodi turbo. Invece di schiavizzare i polacchi e gli africani per raccogliere i pomodori, mi limito a schiavizzare mia madre per fare 80-100 kg. In un giorno. Ci riusciamo, fra bestemmie (c’è sempre un barattolo che si apre e sporca tutto, o una buccia che blocca tutta la macchinetta, o la corrente che se ne va, perché anche se la casa fosse stata agibile l’impianto, porello, che gli vuoi dire? Andrebbe rifatto, e così ogni volta mezz’ora a cercare cosa fa corto circuito e staccarlo).

Però anche in questo il blog aiuta. Perché mica solo l’unica ad avere le nostalgie pomodorizie? Con Desian, con cui condivido il confine del Tronto, io di sotto e lui di sopra, sono già un paio d’anni che ci scambiamo commenti su come vanno fatte le bottiglie. Quest’anno abbiamo persino fatto un tentativo di confronto date, ma non ce l’abbiamo fatta.

E lo scorso anno (si chiamerà circonvenzione di incapace anche quando la vittima è più giovane?) Amedeo di Mente Miscellanea mi ha raggiunta in Abruzzo e si è beccato tutta l’immersione nel clan. Mi pare ci si sia trovato bene, ma so che i suoi piani attuali prevedono una partenza per Irkutsk in Siberia. Chissà se è la sana reazione ai pomodori imbottigliati in agosto in un posto che chiamano Il Forno d’Abruzzo? Poi dicono che i blog non hanno niente a che fare con la vita vera. E i miei barattoli dell’anno scorso li chiamate virtuali?

– di Mammamsterdam

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20 thoughts on “L’ estate dell’expat, fare i pomodori e riti tribali”

  1. anche noi li stiamo facendo i pomodori, ma tu li fai a “crudo” o li cuoci due volte? C’è una diatriba in famiglia io li cuocio prima di passarli e dopo nel calderone, invece mia suocera li cuoce una sola volta nel calderone ma ci vuole un ora per cuocerla dopo quando devi fare la pasta!

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