Mi affaccio su Twitter e do un’occhiata a nostri follower: è da tempo che ci faccio caso. Certo siamo un sito per genitori (genitori appunto, mamme e papà) e quindi come tale abbiamo una visione parziale della faccenda. Però per me è interessante notare che molte delle nostre follower, donne, su Twitter hanno la parola mamma nella loro descrizione. Spesso come primo appellativo, poi magari ne seguono altri, tipo interessi e forse anche la loro professione (forse però). E i papà? Molti dei papà che ci seguono non si descrivono come padri, la maggior parte si descrive unicamente tramite la sua professione, magari una frase di un personaggio famoso, e al limite se l’accenno ad essere un papà appare, lo fa in terza posizione dopo professione e interessi.
Ma perché? Perché per noi donne italiane il diventare madri è così totalizzante, al punto da portare a definirci madri prima ancora che donne?
Sulla relazione tra essere donna e madre sono stati scritti fiumi di parole, e vorrei qui provare a discutere con voi un paio di questioni in particolare. La prima è il fatto che la mamma italiana è una mamma diversa dalle altre mamme del resto del mondo: la mamma italiana, nel momento in cui diventa tale, diventa mamma a vita e continua nel suo ruolo di accudimento anche per i suoi figli ultra-quarantenni. Ma non solo, il ruolo di accudimento della mamma italiana è totalizzante e mammocentrico e si esprime in un modo al limite del soffocante, lasciando pochissimi spazi ad altre figure di riferimento inclusa quella paterna. In Svezia quando dico che una madre italiana può telefonare al figlio/figlia quarantenne con famiglia propria, anche 3 volte al giorno, pensano che io stia scherzando. Ma senza arrivare fino alla Svezia, persino i francesi hanno un rapporto meno morboso del nostro con la figura materna e la donna mantiene prima di tutto la sua femminilità e il suo essere donna come sua caratteristica principale.
E vorrei proprio riflettere sui diversi modi che esistono di essere mamma in tutto il mondo, per capire l’origine di questo modo tutto italiano di sentire la maternità, ma soprattutto per chiederci: a chi fa bene? E soprattutto, a chi fa male?
L’altro argomento a questo strettamente collegato è quello dell’Istinto Materno (lo scrivo volutamente con le lettere maiuscole). L’istinto materno è un istinto animale, è quello che garantisce la sopravvivenza della specie, che porta la mamma a difendere e proteggere il suo cucciolo nei primissimi tempi dopo la nascita, fino a che esso non sia in grado di difendersi da solo. Quest’istinto materno è tipico di tutti gli animali che popolano la terra, a livelli più o meno evidenti in specie diverse, ed è ovvio che la specie umana non possa esimersi. Il problema è che il cosiddetto Istinto Materno è stato preso come giustificazione principale per relegare il ruolo di accudimento in mano esclusivamente alle donne.
Quelli che sono contrari a questa visione della maternità mettono in discussione persino l’esistenza di tale istinto. Io personalmente credo che l’istinto materno esista, ma ci sono talmente tante sovrastrutture, tra spinte socioculturali e difficoltà pratiche e materiali da renderlo sostanzialmente un concetto superabile nell’organizzazione sociale di tutti giorni. In primo luogo perché l’esistenza dell’istinto materno non è una garanzia che la maternità funzioni come un orologio svizzero, e senza nemmeno arrivare ai casi estremi in cui madri uccidono i propri figli, basti pensare alle difficoltà delle quali ci troviamo a riflettere tutti i giorni anche qui su genitoricrescono, in cui questo benedetto istinto non aiuta ad avanzare di un millimetro. E poi perché è troppo semplice affidare tutto all’istinto materno e dimenticare tutto quello che dovrebbe circondare l’evento della maternità. Che forse a furia di parlare di istinto materno ci si dimentica di quello paterno, e del fatto che appunto non siamo leoni e leonesse, e quindi una volta preso un impegno in una coppia, ci si impegna entrambi a portarlo avanti.
Insomma l’istinto materno, che dovrebbe essere semplice, spontaneo, e lineare in realtà non fa altro che confondere, e spostare l’attenzione su quelle che sono le questioni reali, le difficoltà che le donne incontrano nel divenire madri oggi.
E ora ritornando alla prima questione mi chiedo: ma non è che a noi madri italiane ci fa anche un po’ piacere tirarcela, e dire che noi abbiamo l’istinto materno, e che una madre certe cose le sente, e ci costruiamo da sole quella gabbia in cui ci troviamo chiuse ma allo stesso tempo al sicuro? perché magari questo ruolo di madri è quello che ci dà più soddisfazioni e ci fa sentire a nostro agio con noi stesse?
E il nostro voler accudire i figli in maniera così totalizzante per tutta la nostra vita non è forse anche un modo per evitare di prenderci cura della nostra di vita? Di lottare per inseguire i nostri sogni? Per impegnarci per portare avanti i nostri interessi?
fuori dalle tue statistiche perche in UK, ma fra la classe di boy one e quella di boy two conosco due padri che hanno optato per il part time uno e il licenziamento l’altro, per stare a casa, mentre le mogli continuavano a lavorare: se si vive in un regime di collaborazione, di partnership, allora diventa una situazione da studiare a tavolino, e’ una decisione economica e di buona gestione societaria in un certo senso, innanzitutto, il lavoro delle mogli in quei due casi era piu’ stabile e con piu’ prospettive di carriera (e con meno prospettive di licenziamento, vista la crisi non e’ da sottovalutare) quindi era normale che fosse l’altro a tirarsi da parte, in attesa di tempi migliori, e cosi’ risparmiando sul nido. Se stessimo considerando una societa’ commerciale, ci aspetteremmo che le decisioni vengano prese in questo modo, ma per la famiglia, oddio, cominciamo a metter in mezzo tutta una serie di sentimentalismi o vergogne o pressioni sociali e ci mandiamo in fallimento da soli.
@ Barbara:
ne vuoi uno? Mio marito si è preso il part-time per darmi una mano con la figlia. Lo so, comunichiamo via Internet per cui non fa statistica fra le tue conoscenze 😀
Invece le mie conoscenze fra le mamme sono molto più omogenee: diplomate o laureate, spesso precarie, oppure con un lavoro anche da più di 10 anni che sono state spinte a licenziarsi quando dopo la maternità hanno richiesto il part-time oppure una sia pur minima riduzione d’orario di lavoro (1 ora, 2 ore, giusto per non tornare a casa dopo che il bimbo era già andato a dormire). Di casi come quest’ultimo ne conosco personalmente ben tre.
Sono quindi assolutamente a favore del congedo obbligatorio per i padri in modo che la discriminazione sul lavoro in caso di un figlio non colpisca solo la madre ma entrambi i coniugi, chissà che finalmente anche la politica non si svegli e decida di cambiare seriamente qualcosa per agevolare le imprese che assumono genitori. Finché non succederà questo gli uomini si sentiranno sempre il diritto-dovere di svangare gli obblighi familiari, anche perché sennò ti fanno le scarpe sul lavoro.
@Close, sono d’accordo in linea di massima con quello che dici sulla mammità italiana, però devo dire che la mia esperienza personale mi ha fatto incontrare un pò tutte le situazioni. C’è la giovane e carina che si è sposata il cinquantenne con doppio lavoro e famiglia dalle grosse possibilità finanziarie il giorno dopo essersi laureata e aver lasciato la laurea nel cassetto e che ha sfornato due pargoli in due anni, quella che non ha mandato le gemelle al nido e si è presa tre anni di aspettativa senza stipendio, il chirurgo neospecializzata che fa le notti per poter stare con la figlia il pomeriggio, quella che ha perso il lavoro in gravidanza e adesso si arrangia, la ragazza (ultraquarantenne ormai) madre che fa due figli con l’amante sposato e lavora a tempo pieno per mantenerli, quella che alla terza gravidanza ha preso il part time, quella che aspetta di avviare la carriera per fare il figlio, quella che ha avuto il primo figlio mentre stava costruendosi una signora carriera e viaggiava tutta la settimana perchè sotto mobbing e ha fatto il secondo figlio dopo 10 anni e al quel punto si è presa tutta la maternità che poteva, quella in supercarriera che si è presa la tata fissa e dichiara serenamente che “non ci si può annullare per i figli”… insomma io ho incontrato di tutto, e meno male. Quello che non ho visto, sinceramente, è un padre che sia uno che abbia preso un part time. Questo, dal mio punto di vista, non va bene. La maternità in Italia è forse così intensa anche perchè se la maternità non è intensa non c’è una famiglia. Per carità, vedo tanti padri (anche a casa mia) che partecipano attivamente alle attività familiari (dalle cure ai figli alle cure della casa), ma non ne ho visto uno che abbia sconvolto la sua vita per i figli. Se cominciassimo a trattare la famiglia come una VERA famiglia, in cui tutti partecipano con oneri e obblighi paritari, forse anche dal mondo del lavoro qualcosa cambierebbe.
Anche tu Serena trovi “morboso” il rapporto fra madri e figli in Italia? Mi fai sentire meglio. Mi sento fuori posto perché lo vedo così mentre tutti sembrano trovarlo normale, fino ad arrivare a parossismi di questo tipo: http://milano.repubblica.it/cronaca/2012/02/06/news/genitori_troppo_invadenti_in_ateneo_la_bicocca_li_convoca_e_dice_basta_-29401477/ E’ successo anche da noi, gli impiegati hanno dovuto allontanare i genitori che si erano seduti accanto ai figli 19enni alle prove di piazzamento di primo anno. Allucinante. Secondo me una delle ragioni principali è il pensiero condiviso per cui amare vuol dire prima di tutto ‘preoccuparsi’, cioè si mischia l’ansia con l’amore, cioè una madre non viene considerata una buona madre se non mostra costantemente di essere preoccupata per suo figlio e non scatta a salvarlo non appena mostra di aver messo un piedino fuori posto. Con il clima di incertezza che viviamo oggi è diventato quasi impensabile lasciare andare i figli e permettere loro di iniziare a vivere.
Seconda ragione, è ben vero che la maternità in Italia è una dimensione totalizzante, una donna si sente realizzata davvero solo con la maternità – al di là di come ce la raccontiamo. Non è una caratteristica universale femminile, se si crede ad Elisabeth Badinter che spiega che le donne francesi si sentono realizzate soprattutto quando diventano mogli. Invece in Italia mi è capitato diverse volte di sentir dire che una donna non è pienamente tale se non diventa madre. Non ricordo di aver mai sentito la stessa frase per un uomo – che non sarebbe tale se non diventa padre.
Se potessi, io il concetto di mamma all’italiana lo metterei fuori legge. Spesso in Italia scambiamo l’istinto materno con il possesso, la protezione con il controllo.
Schiere di madri che si sono immolate per i figli, salvo poi chiedere in cambio di vivere la loro vita.
Scusate il tono duro, ma proprio in questo periodo per l’ennesima volta sto provando sulla mia pelle (e di mio marito) gli effetti devastanti di queste mamme che si annullano (non richieste) per i figli, con la contropartita però che i figli debbano fare quello che vuole la mamma in tutti gli aspetti, anche i più banali, anche a 40 anni.
Anche la cosa più stupida può sfociare nel “se fate così volete male a mamma”, “mi volete far morire”, “con tutto quello che ho fatto per voi…” etc.
E’ una dinamica distorta dove il figlio rimane sempre bambino e non si ha mai un rapporto alla pari da adulti con i propri genitori.
Spero che le mamme di oggi si siano affrancate da questo modello
e riescano a vivere la propria vita come persone a 360°, non come appendici dei figli.
E siamo d’accordo che non sia affatto un vanto! Ripeto: MAGARI avessi quella stessa serenità su questioni personali o di lavoro!!!
@super, non lo so. Io comunque riporto solo la mia esperienza personale, quella vociona si è manifestata solo dalla gravidanza e solo per cose riguardanti TopaGigia. Magari fossi così tranquilla anche in altre situazioni! Comunque, magari è un’altra cosa e io l’ho identificata male, ma per me quello è il mio istinto materno.
Poi sono io la prima a dire che ci sono infiniti modi diversi di essere genitore, e che tranne situazioni davvero patologiche non esistono cattivi genitori. Ogni genitore sa se ha istinto materno o paterno o no, cioè se ha un istinto particolare che lo guida come succede a me, e come sia fatto e come si comporti questo suo istinto. Per me è quello che ho descritto, tutto qua. Non dico che chi non ce l’ha sia un cattivo genitore, ci mancherebbe! Ha solo la vita un pizzico più difficile della mia (ricordo che il mio ha parlato solo 3 o 4 volte finora, mica c’è tutte le volte che mi serve). Ma quella è una sensazione talmente particolare, che l’ho identificato subito come quell’istinto un pò magico di cui parlavate sopra.
… e, mi viene in mente ora, forse e’ la prova, per tornare all’articolo di serena, che per molte donne italiane i bambini sono “quella” cosa specialissima, che si pone al centro dei loro pensieri e fa si’ che la voce interiore si manifesti, ossia non e’ tanto il problema della presenza della vocina nei confronti dei bambini, ma la sua assenza nei confronti di altre questioni della vita, e forse, si, in questo senso riesco a cogliere questa caratteristica che serena mostra delle mamme italiane, per motivi dei piu’ disparati, e dei quali sono sicura si parlera’ molto in questo mese qui su GC, la mamma italiana e’ una mamma “amplificata” (hehehe), una donna in cui questo ruolo, che pure ha una posizione prominente in tutte le altre donne, diventa cosi’ preponderante e prepotente da offuscare tutti gli altri. Il che non e’ necessariamente un vanto.
@Barbara, credo di sapere cosa sia quella “vocina” interna, ma io non la chiamo istinto materno, se non altro perche’ si manifesta in generale in molte declinazioni, a seconda dell’oggetto delle nostre affezioni/preoccupazioni. Io ho provato alcune volte quello che racconti tu, in varie occasioni, e sempre quando sentivo che c’era qualcosa di “grosso” in ballo, a volte, da quando ci sono, e’ vero, per questioni che riguardano i bambini, ma prima anche per altre, decisioni prese quasi su due piedi (la partecipazione ad un evento che mi avrebbe aperto le porte della vita da expat e’ una, o in un altro caso ricordo di una notte passata quasi completamente in bianco pensando al mio ragazzo lontano (ora mio marito) e la decisione di punto in bianco di comprare il biglietto aereo e partire per andarlo a trovare, credo che se non l’avessi fatto non sarei qui ora, perche’ abbiamo potuto chiarire in quella settimana molte molte cose, abbiamo parlato fino all’esaurimento. Era una cosa, il mio lui, che al momento era al centro dei miei pensieri. E la vocina interna si comportava di conseguenza. Riesco a farmi capire? Se invece continuiamo a parlare di questo famigerata vocina SOLO in rapporto ai figli, ecco che tutti quelli che non riescono a sentirla (forse solo perche’ non si trovano ad affrontare una situazione peculiare, non per altro) poi si crucciano di non esser buone madri, tutto cio’ e’ assurdo, ci siamo mai crucciate di non essere buoni compagni di vita se per una volta abbiamo dimenticato un onomastico? Non credo proprio, perche’ nessuno parla di “istinto” in questo caso, siamo consapevoli di quanto ci sia di razionale e quanto di emozionale e affettivo in questo rapporto. Se una madre eccezionale come Marzia, e chiedo scusa se continuo a prenderla come esempio ma lo dico perche’ adoro il suo blog e come scrive del suo bimbo, ci dice sopra che avrebbe voluto tanto provare l’istinto materno ma non ha funzionato, allora c’e’ qualcosa di profondamente marcio in questa definizione che stiamo circolando.
“ma non è che a noi madri italiane ci fa anche un po’ piacere tirarcela, e dire che noi abbiamo l’istinto materno, e che una madre certe cose le sente, e ci costruiamo da sole quella gabbia in cui ci troviamo chiuse ma allo stesso tempo al sicuro? perché magari questo ruolo di madri è quello che ci da più soddisfazioni e ci fa sentire a nostro agio con noi stesse?”
Esatto. In molti casi è così. Ci sono tante donne che si raccontano la storia della Maternità come vocazione e si autocostruiscono questo mito. Salvo poi prendersela con i propri uomini che non partecipano (è anche vero che a certi uomini fa comodo avere l’alibi, ma insomma, la genitorialità è una cosa che si impara, se si vuole un marito attivo e paritario, bisogna incoraggiarlo e a volte anche prenderlo calci nel sedere affinché si dia una mossa!).
E un’altra cosa, la maternità vissuta come vocazione esclusiva, permette di raggiungere un riconoscimento sociale più facilmente del lavoro. Dico sociale e non economico: la donna, magari anche lavoratrice, ma nella tipica situazione dello stipendio minore di casa e che si sobbarca spesa-cucina-pulizie-stiro, può porsi agli occhi altrui come Madre e Regina della Casa e riceve comunque sorrisi e benevolenza perché ha assolto al suo compito (attenzione, non sto dicendo che *tutte* fanno così, lo so che tante hanno un lavoro part time e uno stipendio “piccolo” perché non c’è alternativa praticabile… ma di fatto questa è una soluzione socialmente accettata e incoraggiata). Invece la donna che cerca di crescere professionalmente, dividendo i carichi familiari col partner e a costo magari di una casa non perfetta e vestiti sgualciti… riceve a volte ammirazione, più spesso compatimento e il sotterraneo sospetto di non essere una brava madre. Appena il bimbo sarà turbolento o qualcosa non andrà per il verso giusto, la colpa ricadrà su di lei che non lo ha seguito abbastanza.
Bene, io la vedo in modo radicalmente opposto. Intanto l’istinto materno è proprio come dice Serena, un istinto animale che ci portiamo dietro dall’evoluzione e non una specie di magia che trasforma la donna-mamma in qualcosa con i superpoteri. Poi, l’istinto di protezione verso un essere inerme e bisognoso di cure viene a tutti gli adulti, mamme, babbi, genitori adottivi, nonni (insomma, come diceva Barbara qua sopra). Terzo poi, io amo i miei figli e tutto, ma mi occupo di loro ANCHE per una responsabilità assunta in modo razionale, e lo stesso fa il papà. E in questa responsabilità razionale ci sta anche il fatto che la famiglia deve mangiare, vestirsi, abitare e che né il mio lavoro né quello di mio marito sono garantiti a vita. E quindi… sì, capita che anziché stare appiccicata ai pupi lavoro, studio e cerco di crescere professionalmente, ANCHE PER LORO, perché potrebbe capitare che ci sia bisogno di più soldi in casa (malattia, problemi vari…). o che mio marito perda il lavoro e l’unico reddito resti il mio. E poi voglio che vedano che è importante impegnarsi per i propri obiettivi ed essere indipendenti, voglio soprattutto che lo veda mia figlia visto che affronterà un mondo in cui tanti messaggi, nei confronti delle ragazze, vanno in senso opposto. E tutto questo è più importante che costruirmi un’identità come Madre o dell’incarnare il modello socialmente accettato di maternità (beh, in quanto a questo, il fatto di essere emigrata aiuta parecchio).
Bon, ho detto la mia, spero di non aver offeso nessuno :). Complimenti Serena per l’articolo!
@Serena, forse mi sono spiegata male. L’istinto di conservazione dei cuccioli ce l’hanno quasi tutti gli animali (maledetti leoni!), anche per i cuccioli degli altri. E’ per questo che la natura li ha dotati i quegli occhioni irresistibili e altre caratteristiche anche fisiche che suscitano protezione. Ed è per questo che il pianto di un neonato, di qualunque specie, è straziante. E’ fatto apposta.
Quello che io chiamo il mio istinto materno, ma per altri genitori può essere diverso non lo metto in dubbio, si manifesta nel modo che ho descritto. Tu mi conosci, sai quanta poca fiducia ho nelle mie intuizioni e nelle mie capacità, ma quando quella vociona si fa sentire, ho imparato ad ascoltarla. Non c’è niente da fare, ci ha sempre preso. E l’episodio del nome è per me cruciale, perchè è stata la prima volta ed è successo in gravidanza. E’ stata come una preparazione, una presentazione, ed è stata veramente una sensazione nuova. Che ora conosco, e la ascolto fiduciosa. Ma è veramente speciale, e si fa viva di rado e non quando la invoco io. Magari fosse così…
Per l’episodio del nido si è trattato di mettere insieme un puzzle di elementi, la mia vociona mi ha detto che erano tante piccole cose che sembravano scorrelate e invece “guarda che c’è anche questo fatto qui, e quell’altro là, TopaGigia sta cercando di dirti che qualcosa non va, indaga al nido”, che ovviamente io davo la colpa a me stessa.
Comunque, si tratta proprio di un canale preferenziale nella mia testa, una sicurezza totale e perfettamente serena che sto facendo la cosa giusta o quella sbagliata, o che devo agire su qualcosa. Così, di punto in bianco, parla. E ha imparato anche mio marito a riconoscere quella serenità speciale di quando gli comunico una decisione su cui perfino lui non avrà controllo ( 🙂 ) perchè non ce n’è per nessuno…
@supemambanana, la mia esperienza personale è diversa. Ripeto: il mio istinto materno si è fatto sentire tre o quattro volte in tre anni, non di più, ma mi ha detto esattamente cosa fare e come affrontare un problema o una situazione particolare. Mi ha fatto scegliere il nome per TopaGigia (mi sono svegliata una mattina e ho sentito scorrere attraverso la testa un nome che non avevo mai considerato, e che si è rivelato perfetto e che a lei piace tanto – gliel’ho raccontata la storia, e lei mi ha assicurato che la mia testa ha scelto bene), mi ha detto come affrontare i grossi problemi che ho avuto a inizio allattamento (e non dimenticherò mai la faccia di mia madre, che cercava di sciorinarmi i vantaggi del latte artificiale per tirarmi su il morale, quando ha visto dalla mia faccia che era una causa persa), mi ha fatto capire che il primo asilo era sbagliato, mi ha fatto fare la divisione fra episodi, fasi e abitudini che nei primi mesi è stata fondamentale per il mio equilibrio psicologico. Tutte le volte è stata palese la differenza con una “normale” intuizione: il mio istinto materno ha una corsia preferenziale nel mio cervello, lo riconosco immediatamente ed è una certezza immediata, perentoria. Spero di essere riuscita a spiegarmi. Non penso affatto che sia una prerogativa esclusiva delle madri, ripeto, penso sia provocato da una speciale empatia che si crea fra due individui che vogliano crearla, ma devo riconoscere che è una cosa un pò speciale, ecco.
@Barbara ecco quello che intendo per fraintendimento del concetto di istinto materno: l’instinto materno non è quello che ti fa scegliere il nome di tua figlia. E se ci rifletti un attimo lo capisci anche da sola. Non credo che l’istinto animale di salvaguardia della specie possa essere applicato alla scelta del nome di un cucciolo 😉
Magari il cambio di nido può essere più in tema, ma è anche parecchio buon senso, non so se mi spiego, ed è quello che sostengono quelli che dicono che l’Istinto Materno non esiste. L’empatia è sicuramente più spontanea in alcune persone rispetto ad altre, e probabilmente una madre riesce ad empatizzare con facilità con il proprio piccolo, ma pure questo è tutt’altro che universale, e io stessa quando mi figlio passava le giornate a piangere facevo una fatica immensa ad empatizzare con lui, e più spontaneamente lo avrei frullato fuori dalla finestra. Nel mio caso l’istinto materno mi ha impedito di farlo, pur in totale assenza di empatia 😉
@@Supermambanana, non lo avevo considerato da questo punto di vista. Hai ragione, se mio figlio è arrivato a 7 anni allora devo averlo da qualche parte questo animalesco istinto materno!! 🙂
credo ci sia un errore di fondo sull’istinto materno pero’ – si parla spesso dell’istinto materno nella specie umana come di qualcosa di sentimentale, di attaccamento, oppure di innata percezione di quello che e’ giusto fare ad ogni momento e in ogni occasione. Insomma, al solito, e’ diventata una “storia” come dicevo altrove. Invece secondo me e’ proprio quell’istinto, come dici tu serena, del tutto animale che, nel momento in cui mettiamo al mondo la prole, ci fa sentire in dovere di farla campare. Quindi Marzia, tu sei l’esempio piu’ lampante di istinto materno secondo me, perche’ non hai buttato nel cassonetto della spazzatura il pupo al giorno 3 🙂 tutto il resto sono romanticherie inutili, che ci fanno solo del male
@supermambanana grazie per la precisazione, è importante di distinguere tra l’istinto animale che ci permette di non uccidere i nostri figli nonostante le difficoltà (vero Marzia?! ;)), ma anche di accogliere e di innamorarci più o meno profondamente di un neonato che non fa assolutamente nulla tranne smorfie, pianti e cacca a chili, e il fatto che si dia la responsabilità a questo benedetto istinto di trasformarci in supermamme, in grado di occuparci di tutto da sole (lavoro, figli, marito, casa, ecc.).
Io credo che non sia sbagliato sentirsi mamma al 100%, come ogni cosa è una scelta (se è una scelta, certo che se è mezza imposta cambia), io penso sia sbagliato credere che sia l’unica strada giusta. A parte che l’istinto materno c’è e non c’è, credo che l’istinto di protezione dei figli sia naturale, ma per il resto è molto soggettivo. Oggi ho chiamato un centro di ascolto per genitori, proprio perché il mio istinto non sa dirmi cosa è giusto e cosa no da molto molto tempo. Solo che se succede ti senti a terra, sbagliata, guardi le altre mamme e ti sembrano tutte perfette, e tu sei difettosa. Ma perché? Eppure siamo ancora al punto in cui una donna è una donna finché non è madre, quando lo diventa è “buona” solo se è una buona madre, senza troppe pretese.
Ecco, sempre il libro “pane nero”, durante il fascismo c’erano specifiche “regole” per trovare una buona moglie: piccolina, tonda, non troppo bella, senza tante pretese e senza troppa cura di sé. Era quella che doveva diventare una madre (di tanti figli) e dedicarsi solo a figli e casa, era la donna migliore.
Ancora adesso vedo la distinzione tra belle donne, e mamme. Quasi che le due cose non si incastrino. Si fa fatica ad essere entrambi, non tanto sul bello, ma sul donna, sono donna, oltre che madre.
POi appunto, da me l’istinto fa i capricci, e così la via di mezzo non sai mai qual è. Io sono mamma, tanto, se le mie figlie non sono con me mi mancano. Ma non per questo mi faccio problemi a lasciarle a nonna per una serata con mio marito. O lasciarle al papà per un’ora per me. Non per questo sono mamma prima di tutto il resto.