Mi affaccio su Twitter e do un’occhiata a nostri follower: è da tempo che ci faccio caso. Certo siamo un sito per genitori (genitori appunto, mamme e papà) e quindi come tale abbiamo una visione parziale della faccenda. Però per me è interessante notare che molte delle nostre follower, donne, su Twitter hanno la parola mamma nella loro descrizione. Spesso come primo appellativo, poi magari ne seguono altri, tipo interessi e forse anche la loro professione (forse però). E i papà? Molti dei papà che ci seguono non si descrivono come padri, la maggior parte si descrive unicamente tramite la sua professione, magari una frase di un personaggio famoso, e al limite se l’accenno ad essere un papà appare, lo fa in terza posizione dopo professione e interessi.
Ma perché? Perché per noi donne italiane il diventare madri è così totalizzante, al punto da portare a definirci madri prima ancora che donne?
Sulla relazione tra essere donna e madre sono stati scritti fiumi di parole, e vorrei qui provare a discutere con voi un paio di questioni in particolare. La prima è il fatto che la mamma italiana è una mamma diversa dalle altre mamme del resto del mondo: la mamma italiana, nel momento in cui diventa tale, diventa mamma a vita e continua nel suo ruolo di accudimento anche per i suoi figli ultra-quarantenni. Ma non solo, il ruolo di accudimento della mamma italiana è totalizzante e mammocentrico e si esprime in un modo al limite del soffocante, lasciando pochissimi spazi ad altre figure di riferimento inclusa quella paterna. In Svezia quando dico che una madre italiana può telefonare al figlio/figlia quarantenne con famiglia propria, anche 3 volte al giorno, pensano che io stia scherzando. Ma senza arrivare fino alla Svezia, persino i francesi hanno un rapporto meno morboso del nostro con la figura materna e la donna mantiene prima di tutto la sua femminilità e il suo essere donna come sua caratteristica principale.
E vorrei proprio riflettere sui diversi modi che esistono di essere mamma in tutto il mondo, per capire l’origine di questo modo tutto italiano di sentire la maternità, ma soprattutto per chiederci: a chi fa bene? E soprattutto, a chi fa male?
L’altro argomento a questo strettamente collegato è quello dell’Istinto Materno (lo scrivo volutamente con le lettere maiuscole). L’istinto materno è un istinto animale, è quello che garantisce la sopravvivenza della specie, che porta la mamma a difendere e proteggere il suo cucciolo nei primissimi tempi dopo la nascita, fino a che esso non sia in grado di difendersi da solo. Quest’istinto materno è tipico di tutti gli animali che popolano la terra, a livelli più o meno evidenti in specie diverse, ed è ovvio che la specie umana non possa esimersi. Il problema è che il cosiddetto Istinto Materno è stato preso come giustificazione principale per relegare il ruolo di accudimento in mano esclusivamente alle donne.
Quelli che sono contrari a questa visione della maternità mettono in discussione persino l’esistenza di tale istinto. Io personalmente credo che l’istinto materno esista, ma ci sono talmente tante sovrastrutture, tra spinte socioculturali e difficoltà pratiche e materiali da renderlo sostanzialmente un concetto superabile nell’organizzazione sociale di tutti giorni. In primo luogo perché l’esistenza dell’istinto materno non è una garanzia che la maternità funzioni come un orologio svizzero, e senza nemmeno arrivare ai casi estremi in cui madri uccidono i propri figli, basti pensare alle difficoltà delle quali ci troviamo a riflettere tutti i giorni anche qui su genitoricrescono, in cui questo benedetto istinto non aiuta ad avanzare di un millimetro. E poi perché è troppo semplice affidare tutto all’istinto materno e dimenticare tutto quello che dovrebbe circondare l’evento della maternità. Che forse a furia di parlare di istinto materno ci si dimentica di quello paterno, e del fatto che appunto non siamo leoni e leonesse, e quindi una volta preso un impegno in una coppia, ci si impegna entrambi a portarlo avanti.
Insomma l’istinto materno, che dovrebbe essere semplice, spontaneo, e lineare in realtà non fa altro che confondere, e spostare l’attenzione su quelle che sono le questioni reali, le difficoltà che le donne incontrano nel divenire madri oggi.
E ora ritornando alla prima questione mi chiedo: ma non è che a noi madri italiane ci fa anche un po’ piacere tirarcela, e dire che noi abbiamo l’istinto materno, e che una madre certe cose le sente, e ci costruiamo da sole quella gabbia in cui ci troviamo chiuse ma allo stesso tempo al sicuro? perché magari questo ruolo di madri è quello che ci dà più soddisfazioni e ci fa sentire a nostro agio con noi stesse?
E il nostro voler accudire i figli in maniera così totalizzante per tutta la nostra vita non è forse anche un modo per evitare di prenderci cura della nostra di vita? Di lottare per inseguire i nostri sogni? Per impegnarci per portare avanti i nostri interessi?
Non so, io credo che le cose stiano un pò cambiando e che, – riprendendo la domanda di Claudia( chi sono queste mamme?) – , nell’articolo si parli della generazione di mamme che ci ha preceduto, quindi le nostre mamme, con figli che ora hanno 40 o 30 anni o giù di lì. E’ improbabile che con l’insofferenza che proviamo per certi atteggiamenti, questi atteggiamenti verranno poi riprodotti :), però magari mi sbaglio .Voglio illudermi comunque che la nostra generazione stia faticosamente costruendo un modello diverso perchè ha problemi diversi.
Rimane il fatto che l’esperienza della meternità secondo me E’ un’esperienza potentissima e totalizzante anche e proprio perchè “costringe” alla ridefinizione costante della propria identità di persone. Il problema è che questo incessante “lavoro” qualche volta rischia di diventare davvero una gabbia e di fagocitarsi il resto, soprattutto se fatto in condizioni di costante pressione sociale, psicologica, lavorativa, emotiva ecc.. allora a questo punto scatta la critica: non sai delegare, non sai prenderti il tuo spazio, non sai rimanere quella eri, non sai essere affidabile sul lavoro. Ecco, a questo proposito aggiungo solo una considerazione: quello che le donne chiedono a se stesse e quello che si chiede alle donne sia nel privato sia nella società è veramente troppo per poter essere gestito da sole, come ha scritto silvia nel suo articolo, centrando secondo me un punto importante. Questa cosa che le mamme non sappiano conservarsi la loro identità in molti casi serve solo come alibi per le persone che stanno accanto alle donne – maschi e femmine – per scaricare la responsabilità veramente onerosa di gestire equilibri, relazioni e compiti complessi.
Penso che, al di là della giusta separazione tra ciò che è naturale e ciò che è culturale, appurato che essere una madre totalitaria, italiana è un fatto puramente culturale e se vuoi non necessario, ecco, non è che liberarsi del retaggio sia più facile. Non solo: neppure i maschi italiani riescono a liberarsi così facilmente del ruolo paterno “confinato”, se vuoi anche “macho” e magari pure “calciocentrico”. C’è tutto un sistema che non solo giustifica i nostri atteggiamenti: ci spinge proprio a fare così. E fai fatica a liberartene perché il più delle volte non te ne accorgi. Soffochi i tuoi figli quasi per bisogno fisico, come quando ti scoppiano le tette e senti che devi allattare il neonato.
Al di là comunque del discorso culturale, parlo per me: io mi fido tantissimo del mio istinto. Il mio istinto mi dice di proteggere come una tigre i sentimenti delle mie figlie; mi dice di procurare loro il nutrimento, l’istruzione, una casa; e poi mi dice anche di andarmi a divertire, di lottare ogni giorno per guardarmi allo specchio soddisfatta del mio lavoro. Le mie figlie fanno parte del mio viaggio di donna, e in questo momento sono la parte preponderante. “Tutto” qui.
Ah, e comunque per me l’istinto materno non è una cosa che ti viene perchè hai avuto la pancia, è il frutto di un’enorme empatia che si crea fra un soggetto adulto e indipendente e un frugoletto totalmente inetto. Ce l’hanno anche i padri che vogliano sviluppare questa empatia, i nonni, i genitori adottivi, chiunque si prenda carico di un bambino, anche non suo. Sono totalmente d’accordo con l’analisi di Serena dell’arma a doppio taglio.
Il mio, di istinto materno, si è palesato una manciata di volte in tre anni e ogni volta non mi ha parlato, mi ha urlato perentoriamente. Non avrei potuto non seguirlo neanche se avessi voluto. E finora ha sempre avuto ragione 🙂
Oh, io invece sono una mamma più totalizzata di quanto vorrebbe. Ho perso il lavoro mentre ero incinta, ma era un lavoro totalizzante e sottopagato e sottocontrattualizzato quindi non ho pensato neanche alla possibilità di rincorrerlo dopo un pò. Ora sono una tigre in gabbia. I miei interessi personali principali comportano tempo e fatica (sport all’aria aperta, montagna) e non riesco più a dedicarmici granchè. Ho un lavoraccio part time che mi fa schifo ed è sottopagato ma senza quello non si tira avanti, e sto cercando di meglio ma non è proprio il momento più facile…
Insomma, faccio la mamma più di quanto vorrei e cerco di bilanciare il mio istinto poco fisico e partecipe con il rischio di diventare la classica mamma italiana. Perchè i bambini (piccoli) hanno anche bisogno di abbracci e coccole. Che mi piacciono un sacco, ma una volta ogni tanto, e invece TopaGigia me li chiede proprio…
Comunque per me la mammitudine è una grande avventura, non lo scopo della mia vita. Spero davvero di ritrovare la mia dimensione.
l’ho notato anch’io tanti nick con “mamma” dentro.
Forse è così in nome omen e pure mamma. ho un figlio volutissimo, spupazzato sempre e solo dal babbo e da me, causa genitori lontani. Un lavoro pesantissimo e diciamolo pure alle volte di una noia mortale. Stare da sole con un robino che quando hai fortuna dorme e tu devi vivere con la sordina non riesco a trovarlo totalizzante manco se mi spremo. Certo ti sorride, le soddisfazioni ecc ecc ecc.
Ma io non sono mai riuscita – sono passati da poco due anni – non trovare spazi per me, il fatto che mi annoiavo, che ero stanca per fare altre cose che mi piacevano di più che cambiare pannolini e frullare pappe, mi ha reso insofferente, poco simpatica ed esaurita.
Le vedo, le sento le altre mamme che son tutte un cucciolino-gattino-pallino-piccipocciobello, io non ci riesco. Anche io appioppo nomignoli al mal capitato figlio, ma l’estasi non mi ha mai rapita, ora che è più grandino è più divertente, ma fino a che non c’è interazione signore mie: che palle!
Alle volte penso che la maternità per alcune sia come il matrimonio (inteso come giorno del matrimonio) la figura del marito è pleonastica, si è al centro dell’attenzione di tutti e tanto basta.
Riassumo? non riesco a identificare me stessa con la figura della mamma, io resto io, la mamma è in me come la figlia, la moglie, l’amica, la lavoratrice, la mammità non mi identifica, almeno non per adesso.
Il mondo è bello perchè è vario l’altro giorno leggevo che il parto naturale è fantastico ” perchè sentire dolore e superarlo è potere”, io sono per l’epidurale anche in fase esplusiva ecco!:-)
Istinto materno, sarebbe stato una bella cosa da vivere, credo. Ci ho provato. Come diceva Mammasterdam mi sono preparata, documentata, ho riflettuto, ho immaginato e poi pensavo che il resto lo avrebbe fatto il rapporto naturale tra madre e figlio. Nel mio caso non ha funzionato, gli intoppi sono stati tanti e il romanticismo della maternità non l’ho vissuto. Amo mio figlio tantissimo, è ovvio, ma ho capito che il mio rapporto con lui non mi definisce, non mi è sufficiente. Forse dipende dal fatto che mi sono scontrata con un essere umano che da subito ha chiarito di essere altro da me, talvolta lontanissimo, che posso accompagnare solo fino ad un certo punto, con il quale l’istinto ha fatto cilecca troppe volte per crederci. Quindi nessuna simbiosi o ossessione o gabbia, so bene che lui non è MIO, so che posso aiutarlo solo vivendo la mia vita nel modo più corretto e coerente che posso, per permettergli un giorno di scegliere il SUO bene.
E poi non ci sono solo io, il papà, i nonni, la scuola … certo io resto quella con un rapporto privilegiato con lui perchè so che nonostante tutto la mia presenza produce effetti, positivi per molta parte. Ma desidero essere un trampolino, non una culla. Spero vada bene comunque!
Sai che ho letto questo post almeno tre volte e non riesco a capire di quali mamme stai parlando? mi sfugge il target. 🙂 gli atteggiamenti estremi di cui parlate nei commenti mi sembrano delle belle nevrosi. Le italiane sono piu’ nevrotiche? E se si’, da cosa puo’ dipendere? (io mi stanco sicuramente di piu’ a fare la mamma quando sono in Italia, mi sento oppressa, ma non vorrei estrapolare a tutto il Paese una cosa che magari ha solo a che fare col mio vissuto)
Io ho, in questo senso, un istinto ambivalente. Credo che i figli vadano molto accuditi quando sono piccoli, tanto che guardo, lo ammetto, con sospetto un po’ quei genitori (e non ne faccio una questione di sesso) che trascorrono poco tempo con i propri figli, tipo mezz’ora la sera, ma ti dicono che è una mezz’ora di qualità.
Poi , però, mano a mano che crescono, bisogna lasciarli andare, santo cielo! A vent’anni, se possibile, se ne devono andare fuori di casa, trovarsi un lavoretto anche se studiano, tagliare ‘sto benedetto cordone. Quando sento di ultra ventenni che vivono ancora con i genitori e si fanno passare la paghetta, mi viene da pensare che ci sia qualcosa che non funziona..
E io, che ormonalmente ero tutta mamma fino a qualche anno fa, già sento di essere anche in un altro modo. Mia figlia ha iniziato la prima elementare, ma so che devo darle anche maggiore autonomia e fiducia nelle sue piccole cose. Anche perche’, secondo me, autonomia e fiducia, vanno proprio di pari passo, non dimentichiamolo
Chi mi conosce, mi dice spesso che “quanto bene ti hanno fatto ‘sti figli!” Sì, perché sin da quando ero bambina, sognavo di diventare mamma. E la mia vita adesso ruota attorno a loro; nel senso che cerco di occuparmi di me stessa soprattutto per il loro bene…una mamma stressata non fa bene a nessuno. Ma LORO sono il mio senso della vita!
questa è un questione un po’ ostica per me…
Perchè innanzitutto io riconosco tutti i tratti della mamma ossessiva in mia madre, che se non ci si sente TUTTE le sere su skype è una tragedia e che una sera su due si offre di venire su ad aiutarmi (e io puntualmente rifiuto), che ogni volta che vede Tommaso mi rinfaccia che stiamo troppo lontani e che non gli può stare vicino “come sarebbe giusto”, che ancora mi fa le prediche “mangia” o “fai ginnastica”. Che ha come centro gravitazionale della sua vita noi figlie (e ora il nipote) e da quando questo centro s’è spostato da casa non riesce a trovare un altro equilibrio.
E io mi ripropongo sempre e fermamentissimamente di non diventare così, di mantenermi dei punti fermi (lavoro, interessi, hobby…) che siano miei comunque, indipendentemente dalla presenza dei figli, e che diano un senso alla mia vita anche quando i mie figli avranno preso le loro strade.
D’altro canto devo ammettere – a malincuore – questi tratti del possesso materno (e paterno… perchè anche il babbo è così e tra noi non c’è affatto competizione) ce li ho anche io e si fanno evidenti soprattutto nei confronti delle nonne e di altre “ingerenze esterne”: sono quelli che ci fanno, appunto, rifiutare l’eccessivo aiuto e presenza dei nonni, che non ci fanno ricorrere a babysitter o nido, che ci fanno scegliere di fare una scomoda vacanza tutti insieme piuttosto che lasciare Tommaso alle nonne e farci una comodissima settimana bianca tete-a-tete.
E ci auto-giustifichiamo dicendo che “è meglio starci ora, coi figli, perchè poi da grandi non vorranno più stare con noi e avremo tutto il tempo di fare viaggi e serate in due!”. Ma sotto sotto rode il dubbio: quando saranno grandi e vorranno lasciarci, saremo noi in grado di lasciarli andare??
Condivido pienamente le parole di Elly!
Anch-io mi sento di dire che mia figlia non la considero una mia proprieta-, una cosa solo mia, ci mancherebbe, pur allattandola, pur svegliandomi la notte, pur preoccupandomi tantissimo quando e- malata. Per dirne una, sono di quelle mamme che non ha fatto una piega ne- una lacrima quando ho portato la bimba al nido.
Eppure ci sono mamme che vedono i figli come LORO proprieta-: loro li hanno partoriti e accuditi e quindi pensano che siano loro.
Un esempio per tutti? mia suocera. E ci tengo a dire che non e- italiana. Beh, mia suocera chiama mio marito sempre ‘SUO Figlio’, e telefona 1,2,3,10 volte finche- non lo trova. Perche- e- SUO Figlio. Quando e- ammalato non ne parliamo, chiama dicendo: io sono LA Madre e DEVO sapere. Tra le foto ricordo ho trovato una in cui mio marito aveva pochi giorni e dietro ci ha scritto “Qui eri solo mio”. A me sono venuti i brividi sinceramente.
E su questa scia un giorno mentre allattavo mia figlia mi ha detto: eh, in questi momenti e- SOLO TUA, un giorno li rimpiangerai. EHHHHH????? ma stiamo scherzando????
Questo per dire che molto dipende dalle persone, dal carattere, dagli obiettivi che abbiamo nella vita. Forse per alcune donne il diventare madri segna li culmine della loro vita e li- si fermano.
Secondo me l-essere madri dovrebbe essere una ricchezza, un valore aggiunto al nostro essere donne, da vivere in modo sano e non ossessivo/possessivo, ricordandoci che i nostri figli hanno la loro vita, e che il nostro compito e’ guidarli, aiutarli a spiccare il volo, a lasciare il nido.
Io ho passato una vita a non fidarmi degli istinti, quindi per diventare madre, cosa che comunque volevo con un istinto animale, una roba tipo fame, ho iniziato a documentarmi. In qualche modo ho messo delle sovrastrutture. Il ruolo di madre me lo sono faticata, prima perché per 4 anni e mezzo ‘sto figlio non veniva, poi perché ci sono tanto dovuta scendere a patti con la maternità, a me che l’ allattamento sarebbe stata una cosa tipo le torture con l’ elettricità i libri non l’ avevano detto. Eppure mi ci sono piazzata subito, il mio nick è mammesco, la madre al mondo la faccio da sempre e persino la mia agenzia di lingue si chiama Madrelingua, mi faceva notare qualcuno.
E la mia coach a un certo punto mi ha detto che io checchè ne pensassi (le solite pippe mentali e sensi di colpa, che lo dico affà) ero un ottima madre perché era il primo ruolo in vita mia che mi sono davvero costruita da sola e su misura suonandomelo e cantandomelo. Ed è stata una bella scoperta capire che non so se è istinto materno, ma io sulla mammitudine ho una sicurezza di fondo che in altri campi mi sono dovuta acquisire con le armi in mano.
Poi sulle madri italiane, veramente, quanto c’ è da dire. Innanzitutto non avete mai conosciuto le madri polacche, io ne ho una, per fortuna estremamente atipica, come sono atipica io, ma conosco bene il genere. E le madri ebree, a parte le storielle di Moni Ovadia e i film di Woody Allen, ne vogliamo parlare?
Un punto a favore delle madri italiane è forse la carnalità, quella fisicità ad oltranza che c’è con i figli, che stiamo sempre a toccarceli, allisciarceli, pomiciarceli, fino a che cominciano a impedircelo, ma magari anche no. Ecco, se penso alla madre italiana nel bene e nel male penso a mia nonna (e a tutte le sue 8 sorelle) con cui mio padre da adulto ha avuto un rapporto faticosissimo e combattuto, ma ogni tanto avevano questi momenti di tenerezza e allisciamenti di capelli appunto (il resto del tempo si urlavano).
C’ è persino una teoria che sostiene che il mito del latin lover sia nato proprio da questa enorme confidenza corporea di affetto prima che di sesso che gli uomini (e spero le donne) italiane pare abbiano assorbito con il latte materno e che riescono a riportare anche nei contatti adulti. E per quanto l’ uomo italiano mammone e latin lover sia un po’ il mio babau da una vita, quando li incrocio in azione capisco perfettamente quello che intendono e che so che il mio maschio alfa olandese, con tutta l’ integrazione che si è voluto fare e con tutte le coccole che sua madre gli fa anche adesso, inutile, gli manca un qualcosa.
Ciao,
sono mamma di un bimbo di 2 anni ed in attesa di una bimba che nascerà a giugno. Volevo commentare questo articolo riportando la mia esperienza. Per me “istinto materno” significa semplicemente ascoltarmi. Ascoltarmi meglio di quanto non facessi prima di essere madre. L’istinto materno non è nato insieme al mio bambino, ma è cresciuto con lui. Era quella sensazione di fondo che mi ha permesso di non sbarellare quando i primi giorni mi preoccupavo per i suoi pianti e chiunque mi diceva la sua: che non mangiava abbastanza, che aveva le coliche, che non dovevo prenderlo in braccio sennò lo viziavo, che era troppo vestito, che aveva freddo, ecc. ecc. ecc. Io ascoltavo me stessa. E sentivo una vocina flebile e intimidita, che mi diceva: «ha bisogno di te. Ha solo bisogno della sua mamma. E’ stato 9 mesi dentro la tua pancia, ora è qui fuori, ha paura, solo tu puoi rassicurarlo». Quella vocina che io chiamo istinto materno mi ha permesso di ascoltare tutti con molta pazienza, ma di fare solo ed esclusivamente quello che mi sentivo davvero di fare. Ora che i pianti non sono più un problema, l’istinto materno è quello che mi fa suonare campanellini d’allarme se penso che la pediatra della mutua non me l’ha raccontata tutta, che forse è il caso di ascoltare un altro parere. Oppure è la solita vocina che di fronte alla ricetta dell’antibiotico dato per ogni accenno di tosse mi fa optare per la medicina alternativa e preventiva. Non credo che questo istinto materno mi porterà poi a chiamare i miei figli 3 volte al giorno quando avranno 40 anni. Questa è un’altra cosa, che Serena ha fotografato benissimo quando parla di soddisfazione personale, di gratificazioni..forse fanno così le donne che si sono annullate per i propri figli, queste sono donne che esistono in ogni società ed in ogni generazione. Prima di avere figli vedevo queste donne anche nel mondo del lavoro. Magari si dedicavano al lavoro in modo totalizzante e quindi avevano delle aspettative maggiori di chi una volta fuori dall’ufficio pensava ai propri affetti e alla propria vita. Io ricerco sempre l’equilibrio, l’istinto può anche sbagliare quando per esempio sei al parco e vedi un altro bimbo che alza le mani sul tuo.. e partiresti in quarta ringhiando come un mastino per difenderlo. Ma qui subentra il cervello – che dovrebbe essere un po’ più sviluppato di quello di un mastino – e ti raccomanda di portare pazienza, perchè si cresce anche così..insomma, per dire la mia: io non confonderei l’istinto materno con l’attaccamento morboso delle mamme italiane, che pensano di essere brave solo in funzione di quanto sono opprimenti, misurano l’amore dei figli in base a quanto hanno bisogno di loro, senza capire che in realtà sono le mamme stesse ad avere bisogno dei figli per sentirsi utili ed importanti (e qui parlo un po’ da nuora, ihih! 🙂 ) Secondo me essere mamma è crescere un individuo, nutrendolo ed educandolo finchè ne ha bisogno e facendosi da parte quando è pronto a spiccare il volo. Un lavoro a progetto, per capirci. Poi resta l’affetto, la stima, il contatto. Ma se questo lavoro si esaspera si rischia di creare più danni che risultati positivi. E per riuscire a fare questo ci vuole il giusto mix di istinto e intelligenza/cultura. Impariamo dagli altri Paesi europei: i genitori – entrambi – insegnano ai figli il codice stradale nel momento in cui i piccoli appoggiano il culetto su un sellino (di biciclette senza rotelle, tra l’altro). Vorrà dire qualcosa?
Buona giornata a tutti,
eleonora
Posso solo sottoscrivere le parole di Monia, anch’io fino a qualche anno fa non consideravo per niente i pargoletti…non li ho mai calcolati, non sapevo come relazionarmici. Questi cosini urlanti e noiosi. Ora ho anch’io uno di questi cosini e per giunta ho scoperto che arrivano senza manuale di istruzioni. Ogni giorno è un’avventura per capire come comunicare con lui, per cercare di bilanciare le sue e le nostre esigenze di adulti. Lui mi chiama “mamma” e adesso mi sembra normale, quando l’ho partorito ho pensato “meno male che ci mette un pò a parlare perchè se mi chiamasse mamma da subito avrei uno shock!”
Pensavo di non avere istinto materno a chi mi chiedeva se avrei voluto avere figli. Infatti non ho istinto materno, ho un bimbo che adoro, e faccio fatica a spiegare il concetto, ma lui per me non è semplicemente “mio figlio”, ma è un essere a sè, che ora, insieme a mio marito, il suo papà, ci accompagna, che fa parte della nostra famiglia.
Non sono mai riuscita a considerare questo cucciolo come “mio” anche se l’ho portato in pancia 9 mesi, anche se l’ho allattato per quasi un anno…mah…
Vivere con lui per me è uno scambio, sì ovvio, mi prendo cura di lui, lo lavo, lo vesto, lo curo quando è malato, ma è come se lo considerassi un “piccolo adulto che ancora non sa fare le cose”. Mi viene da pensarlo così…non come prole…mah…sono strana vero?
Io sono mamma da 18 mesi. Prima, di bambini non ne volevo proprio sentir parlare, poi la vita cambia ed ecco che mi sono ritrovata una frugoletta tra le braccia o, per meglio dire, dentro al cuore. Non lo sapevo cosa volesse dire essere mamma, non lo immaginavo nemmeno lontanamente quell’amore che ti fa scoppiare il cuore solo a guardarla…
Ogni tanto, quando mi chiama “mammmmma” mi trovo sorpresa a dirmi “cavolo, parla con ME, sono io la mamma… cavolo sono MAMMA!”.
Io sono giunta alla conclusione che ognuno decide cosa essere. Ovviamente si può essere più “cose” nel corso della vita. Ebbene, io adesso sono prima di tutto mamma. Magari fra qualche anno sarò la donna in carriera, o tornerò ad essere l’amica delle serate che iniziano con l’aperitivo e finiscono chissà quando… Per ora sono Mamma e lo sono con gioia, passione, amore, divertimento, un po’ di preoccupazione, sorpresa… ecc ecc ecc 🙂