Intervista ad Apetta: un clown in corsia e nel cuore.

apettapinoPalmira ha due bambini, una famiglia, un lavoro ed un bel giorno è rimasta folgorata dall’idea di scoprire il clown che è in lei, per portarlo in giro tra i bambini che stanno male.
Oggi, oltre che mamma, è anche Claun (scritto così, mi raccomando!) Apetta e ci parla di clowntherapy e sorriso per reagire.

Allora, Claun Apetta, dicci tutto, ome si chiama la tua associazione? E’ possibile contattarla per richiedere aiuto o vi offrite voi?
L’Associazione Applausi VIP-Roma ONLUS, della quale faccio parte, nasce dal primo corso di formazione svoltosi a Roma nell’ottobre del 2004 ed è costituita ufficialmente il 17 dicembre dello stesso anno. VIP Roma è regolarmente iscritta come associazione di volontariato nel registro regionale del Lazio. Siamo soci della Federazione VIP ViviamoInPositivo Italia Onlus (che unisce tutte le associazioni presenti nelle diverse città italiane), federazione di esclusivo volontariato che ha come obiettivo quello di portare la Gioia ed il Sorriso laddove regnano degli stati di tristezza o di sofferenza nei bambini ed adulti in Italia e nel Mondo.
L’Associazione VIP-Roma collabora con l’ospedale pediatrico “Bambin Gesù”, l’istituto di riabilitazione “Santa Lucia”, e l’ospedale “Sandro Pertini”. Inoltre partecipiamo (dietro richiesta di altre associazioni o su presentazione di un progetto da parte dei soci) ad eventi tipo feste o partite del cuore (per esempio) che abbiano le stesse finalità della nostra associazione. Nella nostra “missione” di portare la gioia ci avvaliamo della clowntherapy

Cosa è la clown therapy?
La clown therapy è uno strumento di intervento sul disagio psicofisico e nasce negli ospedali americani, sull’esempio dell’ormai famosissimo Patch Adams.
Gli operatori della clown therapy sono accuratamente formati a portare in modo dolce e rispettoso ma, se occorre, anche brioso ed energizzante, il sorriso ed il riso nelle situazioni di disagio e di malattia.
Il lavoro è rivolto ai bambini nei reparti di pediatria, agli anziani nei reparti di geriatria, nei centri per l’Alzheimer, ai soggetti diversamente abili, sia bambini che adulti, agli ammalati oncologici, ecc.
Ridere fa bene e aiuta anche a guarire. Non lo dice solo la gente comune, ma anche le ricerche scientifiche lo confermano, attraverso studi rivolti a chiarire i meccanismi psico-neurofisiologici che entrano in azione.
Lo scopo è quello di usare il sorriso non come una cura, ma come un complemento al processo naturale di guarigione.[quote]
Parecchi studi hanno dimostrato che nei soggetti che vivono esperienze divertenti, quali assistere a commedie o film comici, aumenta la capacità di affrontare il dolore. In questa ottica si possono formare dei medici–clown e anche volontari-clown.
Perché per noi la clown therapy è anche uno stile di vita.
Ci sono diverse “figure” claun (noi abbiamo italianizzato clown): dottori (medici), para-medici e noi volontari; la nostra associazione forma solo volontari.
Il corso di formazione e poi la vita in associazione, gli allenamenti, servono a sbloccare condizionamenti e barriere, accrescere la nostra autostima ed imparare ad avere un approccio positivo alla vita attraverso la Comicità.
[quote1]Tutti abbiamo sempre avuto e avremo sempre un cuore da clown, e per farlo rivivere è necessario il semplice desiderio di riacquistare la propria innocenza e la propria ingenuità in tutti gli aspetti della vita. L’essenza del clown, in senso puro, è una combinazione di innocenza e saggezza.
Durante gli allenamenti cerchiamo di unificare queste due qualità al fine di permettere ad ogni socio di scoprire e sviluppare il proprio clown per farlo vivere nella realtà di tutti i giorni.
Attraverso la partecipazione a giochi, attività fisiche, esercizi d’improvvisazione, performance e dimostrazioni sociologiche, ognuno di noi trova la sua “semplicità” comica che è alla base della formula clown.
Durante gli allenamenti e i servizi si sviluppa la fiducia reciproca nel gruppo; ognuno è disponibile, flessibile e pronto a liberare tutta la sua creatività e la sua immaginazione.
Il corso base di formazione è una sfida a se stessi e contemporaneamente una scoperta di se stessi, impegnativa ma soprattutto molto divertente.
L’arte del clown non è soltanto una professione ma è uno stile di vita che ci insegna a capire e liberare il nostro cuore, a ridere e a vivere meglio.
L’impegno del gruppo e del singolo clown non si limita allo svolgimento dei servizi, ma è volto soprattutto al miglioramento personale e corale del gruppo, che è il punto di forza. Vengono svolti più allenamenti mensili che mirano allo sviluppo continuo delle capacità, all’improvvisazione, all’acquisizione di tecniche teatrali, tecniche di giocoleria, alla coesione del gruppo, alla crescita personale, nonchè alla preparazione delle avversità e del rifiuto che talvolta il clown incontra sulla propria strada.
Questo, tradotto in “ore” significa due allenamenti al mese (di tre ore circa ognuno) e due servizi al mese (di circa tre ore l’uno – gli allenamenti si tengono di sera o al sabato mattina mentre i servizi presso gli ospedali ci sono il sabato pomeriggio o la domenica pomeriggio).
Per chi, come me in questo periodo della mia vita, non ha tutto questo tempo da dedicare alla formazione costante (fondamentale per “offrire” un servizio di qualità) esiste una figura di “transizione”: il Claun Joy: è un claun con una formazione media che non presta i servizi in ospedale (in quanto non può partecipare a tutti gli allenamenti e a tutti i servizi) ma è presente in quelli che si chiamano eventi, che hanno sempre la finalità dell’associazione e cioè portare gioia e sorrisi: feste in case, accoglienza per bambini onco-ematologici (Peter Pan – Roma nov. 2009), animazione in mense dei poveri (2009), presenza in feste con bambini diversamente abili (2008-2009).

Come ti è venuta l’idea di diventare un clown in corsia?
Caratterialmente ho sempre avuto un atteggiamento positivo verso la vita, ho fatto parte di un gruppo scout per circa 10 anni e poi svolto attività di volontariato. Tre anni dopo la mia prima gravidanza mi trovavo in una situazione di “ritorno alla vita normale” quando una mia amica mi ha proposto questo fine-settimana da claun… senza pensare troppo ai successivi impegni che avrei dovuto assumere mi sono “buttata” ed è stato magnifico: un ritorno alle mie origini, alle mie radici (anche nella promessa Scout si dice che lo scout sorride e canta anche nelle difficoltà), persone che non avevo visto prima hanno condiviso lacrime, segreti e ci siamo “messi a nudo” senza problemi: tante persone diverse accomunate dagli stessi principi. E’ stato bellissimo come un innamoramento! Come tale ho vissuto il primo anno e mezzo, dividendomi tra claun, lavoro e famiglia (quanta fatica !). Poi sono rimasta incinta di Francesco ed ho dovuto lasciare l’ospedale e gli allenamenti. Poi si è ammalata mia mamma, ho partorito, ho seguito il mio cucciolo che cresceva e mia mamma che tornava bambina… beh, il tempo non c’era e sono diventata claun joy. Lo sono tuttora: partecipo circa ad un allenamento al mese e, quando ci sono gli eventi, cerco di partecipare. Mi piacerebbe tornare effettiva ma con due bimbi piccoli e un marito che non condivide appieno questa mia scelta non è facile, ma prima o poi tornerò negli ospedali, perché noi diamo tanta gioia, ma quello che in cambio riceviamo è 10,100, 1000 volte di più.

Ci racconti un episodio che per te è stato molto significativo, e ti ha fatto capire che stavi facendo qualcosa di buono?
Ultimamente ho partecipato ad una festa in onore delle “principesse” affette dalla sindrome di rett e vedere quei genitori combattere quotidianamente per le loro bimbe (che sanno già condannate a non fare la loro festa dei 18 anni) con coraggio, forza e anche col sorriso… beh, è stata una grande lezione di vita.
Essere claun per me vuol dire guardare sempre il lato positivo della vita, goderne come un dono, imparare ogni giorno, mettersi in discussione e indossare sempre un sorriso.[quote2]
Quando mia madre – dopo due lunghe operazioni al cervello – tornò dal reparto di rianimazione al reparto normale poteva muovere soltanto il braccio destro e sentire… non apriva gli occhi, tutta la parte sinistra del corpo non sapevamo se avrebbe ripreso a funzionare, il capo era avvolto da una garzona enorme… beh io ero al suo fianco col naso rosso al collo, il suo naso era lì accanto a lei (glielo avevo regalato prima di entrare in ospedale). Le parlavo e lei allungò il braccio, frugò con le dita, prese il naso rosso e se lo portò al naso. Questa scena, anche se mi fa ancora piangere, mi fa continuare con convinzione nel mio cammino.

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