Se penso a ciò che marca la differenza tra la mia infanzia e quella dei miei bambini prima ancora di pensare agli oggetti o ai diversi contesti, penso alle parole con cui cerco di prendermi cura delle mie e delle loro emozioni.
La paura, per esempio. Quante volte, quando ero restia ad andare in cantina a recuperare qualcosa, mi sono sentita dire “non c’è nulla di cui avere paura, va’ tranquilla”. Eppure io me la ricordo, la paura di quelle scale al buio, il batticuore prima di raggiungere l’interruttore della luce e poi l’orecchio teso, ad ogni rumore, mentre percorrevo i corridoi e le stanze interrate.
Per questo, e per gli attenti consigli di Serena, quando uno dei bimbi mi dice che “ha paura” (dei mostri, del buio, dell’ombra del lampadario, del vuoto, della maestra nuova, dell’inizio della scuola, del corso di nuoto, delle auto …) cerco di riconnettermi con quella bambina e dirgli che va bene, la paura ci può stare è anzi normale e necessaria per essere coraggiosi, ma ora bisogna affrontarla.
Di solito a quel punto ne parliamo, di questa paura, del suo colore, della sua forma, della sua dimensione. A volte è grande e nera, a volte è piccola, pesante e pulsante, qualche volta puzza, una volta aveva la voce della gallina. Mentre facciamo quest’operazione, alcune parti sono indecifrabili, frammenti di emozioni, di inconscio, di temperamento. Altre sono razionali, immediate, affrontabili perché è possibile immaginare una re-azione se capitasse questo, o quello. Spesso, ci scappa pure una risata.
Questo alternare momenti razionali, terraterra, e l’ascolto degli angoli più nascosti della nostra anima, mi ha fatto ricordare una citazione di Stephen Hawking in cui mi sono imbattuta quest’estate.
“Remember to look up at the stars and not down at your feet. Try to make sense of what you see and wonder about what makes the universe exist. Be curious. And however difficult life may seem, there is always something you can do and succeed at.”
È una citazione bellissima, di grande ispirazione.
Poi l’ho riletta alla luce del tema di questo mese e ho pensato che, per me, si porta dietro due paure ben definite.
La prima paura, quella a cui risponde la citazione, è quella di perdersi nelle cose minute del vivere quotidiano. Essere così persi nel trovare una soluzione alla polvere negli angoli, alle briciole sotto al tappeto, al “cosa cucino per cena” che dev’essere diverso da quello che hanno mangiato col menu della scuola, da dimenticarmi di inseguire, perseguire e inseguire lo scopo, interiore, unico, particolare, per cui io, e solo io, sono quaggiù sulla terra. Essere così quaggiù da dimenticarmi che in qualche modo vengo da un quassù, ho dentro di me una scintilla di spazio e di eterno – spero intuibile e condivisibile anche a chi concepisce un’esistenza terrena senza divinità che dettino direzioni e indicazioni.
L’altra paura, però, è quella di essere così presuntuosamente rivolto a osservare la corrispondenza tra le stelle e la mia anima, da dimenticarmi di guardare in terra quel tanto che basta da non inciampare e ruzzolare per terra.
Penso a quanti si sono perduti, in questo modo, o a quanti sono ingrigiti, sequendo l’altro stile di vita. Non so se tremo di più pensando che i miei figli scelgano questa o quella via.
Non ho una soluzione, navigo a vista.
Attrezzo mio figlio con una lucina che illumina il corridoio e un peluche da stringere che ha apparteneva a me, quando ero piccola e fragile quanto lui rispetto alle grandi paure.
Attrezzo me stessa di un’agenda, di schemi e tracce per perseguire i risultati. E poi ricavo tre quarti d’ora per vagare e camminare senza meta, osservando la forma delle nuvole e le sfumature del cielo. La paura, allora, prende le sfumature dell’indaco al tramonto e affascina, più che intimorire.
Mi sono ritrovato in questo articolo sia come padre sia come figlio. Quando ero piccolo quante volte mi sono sentito dire “ma di cosa hai paura”, “non devi aver paura”, “dai che è tutto finto”, etc. Io invece ero un bambino “pauroso”. Nel ruolo di padre mi sono ritrovato a dire alle mie figlie le stesse cose, d’altra parte è così che ho imparato ad affrontare la paura, ossia dicendomi “ma cosa vuoi che sia”, “non avere paura”, “cosa ti può succedere”, e come risultato non ho mai imparato a vivere la paura per quello che è, ossia una emozione. Adesso però sto imparando ad accettare anche la paura, e sto cercando di insegnarlo anche alle mie bimbe. Quando mi dicono che hanno paura di qualcosa, gli dico che è normale e che anch’io avrei paura, non cerco più di sminuire la loro paura. Ogni tanto mia figlia di sette anni si vergogna un po’ a dire di avere paura di qualcosa, allora io gli dico che solo se si ha paura si può essere coraggiosi, senza paura non si vedono i pericoli e si rischia di farsi male. Far sentire le mie bimbe coraggiose, piuttosto che paurose, spero le aiuti a superare le loro piccole e grandi paure.
Grazie Lorenzo !
Ottimo articolo pensieri belli e condivisibili.
Come mamma adottiva di un piccolo che di paure ne ha tante mi ci ritrovo in pieno.
L’unica cortesia che le chiedo, dovesse ricapitare il caso, è quella di inserire la traduzione di citazioni in altre lingue, per aiutare anche noi che…abbiamo sempre avuto paura di ammettere che non sappiamo l’inglese. 🙂
Federica, grazie e mi scusi, ha proprio ragione, sono stata sbadata. Ci ho messo talmente tanti anni a imparare l’inglese (e ho ancora il batticuore ora che provo a tradurlo) da sembrare presuntuosa. Mi scusi davvero. E grazie di aver scritto, mi fa piacere che i miei pensieri trovino eco nei suoi.
“Ricordati di guardare in alto, verso le stelle e non in basso, verso i tuoi piedi. Cerca di dare un senso a quanto osservi e meravigliati di cio’ che fa esistere l’universo. Sii curioso. Per quanto possa sembrare difficile la vita, c’e’ sempre qualcosa che puoi fare in cui puoi riuscire”.
A presto