I Paladini di Francia: più che un libro, un incanto familiare

Questa recensione l’ha scritta per noi Chiara Yeni Belqis, che di libri e storie fantastiche se ne intende (ricordate? La definiamo la nostra esperta di vita incasinata! 😀 ). Per lei questo è un libro della memoria, un pezzetto di infanzia e quando l’ha incontrato di nuovo in uno scaffale di una libreria, lo ha accolto come un vecchio amico e ce ne ha voluto regalare un assaggio anche a noi.
Perché a Natale è bello un libro per sognare.

Quando l’ho visto sullo scaffale delle novità alla libreria Feltrinelli di Largo Argentina, mi è mancato il fiato. Lui, il libro per eccellenza della nostra infanzia, ristampato. Incredibilmente facile da trovare, dopo anni di caccia al tesoro tra le librerie delle mie sorelle (chi ce l’ha? Alla fine, solo di recente, l’avevo rintracciato), speranzose quando solitamente vane ricerche nei cataloghi delle biblioteche comunali. I Paladini di Francia, con le sue inconfondibili illustrazioni-capolavoro di Emanuele Luzzati, per noi sorelle era più di un libro. Era un’esperienza collettiva, una performance infinita.
Canta, canta, cantastorie
la canzone di tre storie
che racconta le vittorie
dei cristiani sui pagani
dei valenti paladini
contro i mori saracini
”.

Questa filastrocca, abbinata ai disegni onirici di armature, castelli e cavalli, direi che mi appartiene da sempre. Da ben prima di conoscere i pupi siciliani, alle cui rappresentazioni si ispira evidentemente la storia. Da ben prima di collocare nello spazio e nel tempo i paladini, Gano di Magonza e Roncisvalle. La storia la sapevamo tutta a memoria. Già, tutta. Facevamo le gare tra sorelle, dandoci sulla voce alla minima esitazione. Ancora oggi, con incertezze minime, la saprei declinare, quadro dopo quadro: dalla “prima storia (… c’è un maniero / c’è Rinaldo che è un guerriero / c’è Baiardo che è un cavallo / ci son cento paladini / con la lancia e col cimiero / che difendono l’onore / della bella Biancofiore”) alla “terza storia / che alfin ci porta / alla vittoria”, fino al trionfo finale. Una filastrocca perfetta, senza errori di ritmo, senza rime fasulle o rimediaticce. Posso dire che è stata per noi scuola di lessico, di metrica, di musica e di fantasia.

Le immagini, anche in questo momento, le ho tutte ben presenti. Non riuscirei a immaginare in altro modo i protagonisti: il mago Urluberlù, campione indiscusso della vicenda; la scialba Biancofiore, rapita in spalla dal piccolo Gano (indimenticabile nella tavola che lo ritrae “sul momento / di tramare il tradimento”); il mago Gradasso; il nero sultano “Salam Alemme / in cima alla torre di Gerusalemme”.

Certo, non era molto politically correct. Non intendeva esserlo, come non lo è neanche la Chanson de Roland. Dai “mori saracini” che “son venuti dalla Spagna / attraverso la campagna”, al feroce sultano, per giunta nero come un tizzo, che sbatte in prigione senza complimenti l’innocente fanciulla che aspira a sposare contro la sua volontà, l’Islam non è che ci faccia una gran figura. Del ruolo passivo e insulso della donna abbiamo già detto. E che dire di questa meravigliosa invettiva, che fa da contrappunto alla sfilata trionfale dei vincitori? “Abbasso i mori, abbasso il sultano / morte, supplizio, tortura per Gano / e chi vuol esser lieto sia…”. L’illustrazione mostra i nemici sconfitti trasportati in parata, esposti al pubblico ludibrio, ben chiusi in una gabbia con robuste sbarre. Altro che Amnesty International. Ma indulgere a questo tipo di considerazioni sarebbe un po’ come criticare Picasso per una prospettiva sbagliata. Questo libro ha una magia che nemmeno io, con tutto il mio amore viscerale, riesco a descrivere. Stasera, presa dalla nostalgia, ho addormentato Meryem scandendo la storia del rapimento della principessa e degli interventi provvidenziali del Mago Urluberlù. “Guarda in su / guarda in giù / ed il mago non c’è più”.

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6 thoughts on “I Paladini di Francia: più che un libro, un incanto familiare”

  1. La tua dichiarazione d’amore per questo libro mi sembra molto bella. Nel ritrovare da adulti qualcosa che abbiamo amato tanto da bambini si rivive in qualche misura un pò della meraviglia di allora. Qualche giorno fa anche il mio compagno ha ritrovato alcuni suoi libri di bambino. Non smetteva di farmeli vedere, di raccontare a me e ai bambini come e quando li leggeva. Qualche volta dalla casa del nonno arriva qualche suo vecchio gioco : ho visto che i bambini utilizzano quel gioco in un modo diverso, con più rispetto, come se quel legame speciale tra il loro papà bambino e quell’oggetto a loro fosse perfettamente percepibile.Poi non importa se quel libro o quell’oggetto piacerà anche a loro, però è bello che si crei il senso di una memoria, qualcosa che parli a loro di noi per come siamo stati e che loro comprendono.

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  2. Ah, sulla morale concordo. E’ anche vero che una volta questi temi erano meno strettamente legati al quotidiano. Ma a me da piccola non è mai venuto in mente di legare i mori saraceni all’amico senegalese (e musulmano) Babacar. Siamo sicuri che ai nostri figli verrebbe in mente di identificare il cattivo di una favola con l’amichetto, se non glielo suggeriamo noi (anche con i nostri pudori)? Non lo so davvero, eh?

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  3. 🙂 e’ complesso, o forse noi lo rendiamo tale. Io non ho problemi con storie crudeli, tipo cappuccetto, ne di parlare di squartamenti vari ad esempio (e la filastrocca di tuo padre non e’ sessista chiara, e’ la pura verita’ hihihi) pero’ su questioni razziali si, specie quando in classe ci sono bambini di tutte le etnie come fai a parlare dei mori con leggerezza? Certo abbiamo parlato delle guerre, dell’olocausto, di tante cose, in un contesto diverso, ma quando leggo una favola vorrei tenere fuori queste situazioni, boh e’ un problema mio probabilmente 🙂 Detto cio’ anche certe moderne storie in italiano con una morale troppo evidente e sfacciata mi innervosiscono alquanto, sono artificiali da raccontare, sono chiaramente l’adulto che sale in cattedra e insegna ai bambini – ecco, fra le storie con la morale e i saraceni, mille volte i saraceni 🙂

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  4. Grazie per lo spunto di riflessione (avete acchiappato l’esca che avevo un po’ volutamente lanciato). Le favole sono spesso crudeli. In Cappuccetto Rosso il lupo la mangia la nonna o, come dice la versione moderna che hanno regalato a Meryem, lei si nasconde nell’armadio fino all’arrivo del cacciatore? Non lo so, io a volte credo che esageriamo con le nostre correttezze. Io sono cresciuta con questo libro e mai e poi mai ho avuto pregiudizi verso i musulmani (uno di loro è il padre di mia figlia) e non pratico né incoraggio la tortura. Comincio a credere che i bambini siano in grado di distinguere i piani, forse meglio di noi. Che sia una filastrocca con disegni e non un film con attori veri forse aiuta… non so. Se ci pensate, anche molte ninne nanne sono terribili. Mio padre me ne cantava una che sembrava il vademecum del terribile destino della donna (“dormi, mia bella dormi… che quando sarai mamma non dormirai così”). Non sono certa che vada tutto cambiato, epurato, sostituito. Voi che ne pensate?

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  5. Anche io ho questo dubbio e non riesco a risolverlo. A volte mi sento molto a disagio nelle storie “scorrette” rilette oggi, eppure credo nel potere evocativo delle parole. Sono con Chiara nel dire che una “filastrocca perfetta” senza nessuna forzatura nelle rime, è un momento di godimento che è giusto provare fin da piccoli. Ma poi ci sono i Mori e i Saraceni! Come se ne esce?
    Quei nomi pieni di fascino, perchè incomprensibili e complicati, quei disegni pieni di colore… Questo è il valore della favola: immagini, suoni, musicalità. Anche il ripeterla sempre uguale che ne fa una musica familiare.
    Le favole, le storie sono tutte più o meno crudeli e forse per questo esorcizzano la crudeltà reale.

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  6. ecco, e probabilmente e’ proprio una madeleine che funziona per te, perche’ invece io quando rileggo le storie da piccola mi sento molto a disagio per le componenti scorrette, spesso se leggo ad alta voce salto dei pezzi a beneficio dei boys, leggevamo delle cose abominevoli (vabe’, specchio dei tempi sicuramente, ma proprio per quello poco riproponibili secondo me, almeno fino a quando non avranno acquisito strumenti per capirne i limiti)

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