Venerdì scorso (12 febbraio) la trasmissione de La7 Le Invasioni Barbariche ha realizzato un servizio dal titolo “Nativi digitali” con relativo dibattito in studio tra tre ospiti “pro” e tre ospiti “contro”, come da consueta formula.
Tra gli ospiti “contro”: uno psicanalista che ha scritto il libro “La morte del prossimo”; la nuova tata May (che era lì, presumo, solo perchè toccava far promozione alla nuova serie de La Tata) e un poco convinto Nicola Savino (contuttore radiofonico e televisivo) presente, a suo dire, perchè la moglie era contraria a che la figlia cinquenne navigasse in internet (beh, potevano invitare la moglie, allora!).
Gli ospiti “pro”, invece, erano: Carlo Pizzati, autore del libro “Tecnosciamani”; Nicola Greco blogger diciassettenne e Patrizio Roversi (“turista per caso”, titolare di diversi siti e autore per web tv).
Il video da cui partiva la discussione, riguardava bambini che utilizzano con disinvoltura oggetti tecnologici e ragazzini che navigano in internet con naturalezza.
E già qui il primo dubbio: i bambini venivano ripresi mentre giocavano con iPad e iPhone, senza però chiarire se stessero usando una app di gioco o se fossero collegati in internet. Ma questo cosa c’entra con un ragazzino che ha un blog, che si collega in inernet per le sue ricerche o che frequenta abitualmente social network? Perchè le due attività, quella di un quattrenne che usa un giochetto sull’iPad della mamma e quella di un ragazzo che scrive sul suo blog, erano in qualche modo mescolate come se fossero una stessa cosa?
Posso anche concordare sul fatto che, con estrema probabilità, quel quattrenne crescerà in modo molto simile a quel dodicenne, ma ho avuto una netta impressione di confusione nel racconto, soprattutto nel dibattito che ne è seguito. Infatti, tra i detrattori dell’esposizione dei bambini alla tecnologia, non si percepiva nessuna distinzione.
Un paio di cose mi hanno particolarmente colpito.
La prima notazione dello psicanalista, teorizzatore della morte delle relazioni umane a causa dei social network, è stata quella di evidenziare come, nel filmato, il papà ed il bambino stavano sì giocando insieme con un iPad in mano, ma per questo entrambi guardavano verso lo schermo e… non si guardavano negli occhi! Questa acuta osservazione è stata accolta, da parte dell’uditorio, come una rivelazione. Ma io mi domando: se lo stesso padre e figlio fossero stati chini su un analogicissmo puzzle, si sarebbero forse guardati in viso??? Se avessero letto insieme un libro o costruito con i mattoncini, si sarebbero persi occhi negli occhi??? Se vogliamo trovare metafore ovunque, ditelo, perchè, altrimenti, questa argomentazione rischia di suonare come una emerita fesseria!
Del resto questo argomento è stato subito corredato da un’altra banalità: non sono solo i bambini ad essere troppo concentrati su uno schermo, sono gli adulti, i genitori, i padri in particolare (ma perchè???) che non escono più a giocare a pallone con i figli (!!!). Certo, il serioso psicanalista ha ammesso che lui, però, a pallone con i figli non è che ci abbia giocato molto, pure senza web!
Successivamente si è parlato dello studio su internet. L’illustre psicanalista e la tata May, sostenevano che, a causa del copia e incolla, le ricerche su internet sono molto superficiali. I ragazzi non rielaborano, si limitano semplicemente a prendere qua e là brani e a incollarli insieme. Ahimè, vorrei svelare loro che, questa non è un’abitudine dei soli ragazzi di liceo e, comunque, non era affatto scongiurata dall’uso delle enciclopedie cartacee. Certo, a copiare ci voleva solo un po’ di più! Tata May sosteneva che, quando al liceo faceva ricerche sull’enciclopedia, approfondiva quello che leggeva e lo rielaborava poi per la sua relazione. Il giovane blogger, però (dopo aver rassicurato tutti sul fatto che sa cos’è una biblioteca e gli capita anche di frequentarla), con un semplice esempio ha offerto una risposta mirabile: noi ora a scuola stiamo studiando Stalin e riusciamo a reperire in rete fonti originali, in pratica lavoriamo direttamente sui suoi discorsi, li ascoltiamo, li analizziamo e ci riflettiamo sopra. Studiamo così!
Direi 1 a 0 per il giovane nativo, non trovate?
Ed è proprio lui il personaggio che più mi ha colpito: Nicola Greco. 17 anni. Blogger? No, diciassettenne. Non aveva etichette, nonstante gli sia stata affibiata anche quella di “guru del web” ed aveva la luce negli occhi che si può avere solo a 17 anni. Sapeva parlare, era educato e rispettava i tempi di tutti, era competente, preparato, appassionato.
Qualcuno gli ha provocatoriamente chiesto quanti amici avesse su facebook, per dimostrare la tesi della superficialità delle relazioni nella sua generazione. Con spontanea naturalezza ha fatto capire che solo loro potevano pensare che i suoi 1.000 amici su facebook fossero “amici” in senso stretto o che lui potesse confondere l’amicizia “vera” con il contatto su un social network. Questo, per un diciassettenne, è un non problema. Lui sa benissimo chi sono i suoi amici, quelli con cui divide la vita di tutti i giorni. Sa benissimo cos’è un contatto su facebook. Ha parlato della sua esperienza all’estero, dato che sta facendo un biennio di liceo a Oxford (caspita, a 17 anni! Hai visto mai che ci possiamo scrollare di dosso la solita italianità provincialotta!) e delle persone che ha incontrato. Lui, davvero, non ha problemi a distinguere tra “reale” e “virtuale”, anzi, lui non ha alcun bisogno di distinguere: ha tutto chiaro. Era, in fondo, l’unico a suo agio, l’unico che sapeva perfettamente di cosa si stava parlando, era l’unico consapevole e sereno: per questo, forse, era l’unico sorridente!
Certo, non è un diciassettenne qualsiasi: è colto, è uno sviluppatore di social network, ma è anche tutto quello che possono essere gli adolescenti di oggi.
Credo proprio che i nativi digitali esistano solo per noi, che non lo siamo stati. Siamo qui a porci domande inutili, se sia giusto o meno, se sia sano oppure no. Siamo qui a parlare di bambini, ragazzi e internet, ma non sono discorsi che interessano loro. Quelli disorientati e spaesati siamo noi.
All’inizio della stessa puntata de Le Invasioni Barbariche, c’è stato un intervento introduttivo di Beppe Severgnini. Con incauto ottimismo ha ipotizzato un giorno in cui i ragazzi cresciuti su facebook ci liquideranno, ci faranno alzare da tutte le poltrone e ci diranno semplicemente che abbiamo fallito ed è ora che lasciamo il posto a loro. Quanti siamo ad aspettare con gioia e impazienza quel giorno?
Concludo solo con un tweet, copiaincollato dal blog di Nicola. Il messaggio lo invia Gullisc, il dodicenne, anch’egli blogger, che compariva nel video del servizio.
nicolagreco 😉 @nicolagreco, sono nel video a ” Le Invasioni barbariche”, di 12 anni. Se mi chiedi di giocare a pallone vengo. Sei un mito. /by @ Gullisc
Con buona pace dell’illustre psicanalista…
(foto di Robin Good – autore Moreno Bonechi 2010 – uso conforme alla licenza cc)
Ho visto la trasmissione anche se in modo un pò incompleto però ho avuto la tua stessa sensazione:un pò di confusione, mescolanza di luoghi comuni ecc. In generale a proposito di questo dibattito ho un pò questa idea: la vera linea di demarcazione sta nel talento e nella cultura con cui utilizzi lo strumento. Un ragazzo seduto al computer per mezza giornata ha parecchie possibilità : può usare quel computer per amenità più o meno dannose e può usarlo come strumento per moltiplicare opportunità che noi nemmeno ci sognavamo. Dunque alla fine la questione è sempre la stessa – lo era per noi quando usavamo la tv da piccoli, lo era quando sono usciti i primi videogiochi e poi molto dopo internet – e cioè: disporre delle basi per poter accedere agli strumenti disponibili in modo che diventino appunto moltiplicatori di opportunità e anche se ciò non è scontato, non per questo si può bloccare un processo. Penso che quel ragazzo abbia avuto almeno un adulto vicino in grado di dargli qualche spunto, di mostrargli quella scatola in una prospettiva diversa e lui ha poi aggiunto la sua curiosità e la sua passione. Quando un mezzo come il computer diventa un veicolo per esprimere un talento, imparare, inventare ecc. vedere un ragazzo di 16 anni a cui il cervello funziona molto bene e a velocità molto maggiore della mia, utilizzando strumenti che sono lontani da me, non mi disturba per niente, anzi, mi fa dire: meno male!
L’ignoranza è una brutta bestia. E spesso gli ignoranti danno contro a ciò che non conoscono perchè ne hanno paura, e ne hanno paura proprio per il fatto di non conoscerlo.
Se impiegassero metà dell’impegno che usano per denigrare ad apprendere, non ci sarebbero tanti problemi.
In effetti ho sempre più spesso la sensazione che ci sia una fetta di giovanissimi estremamente consapevoli, sereni nelle proprie competenze e sicuri nell’utilizzo di ciò che la tecnologia mette a disposizione. Non fanatici ma realistici utilizzatori di quello che sono i mezzi di comunicazione odierni.
Il terrore generalizzato di vedere contrapposti una banda di aspiranti veline/calciatori ed il resto destinato ad essere cupo “avatar” di se stesso, incapace di vivere rapporti umani, mi pare francamente riduttivo. Così come dire che l’uso massiccio di sms e fb riduca il livello linguistico dei giovani. Mio figlio è decisamente un nativo digitale ma ha una sua curiosità specifica per la lingua (immagino un pò ereditata!) e ogni sera prima di dormire, invece della solita favola, mi chiede di scegliere una “parola difficile” e di spiegargliela …
Le informazioni a cui hanno accesso sono immense e certamente occorre una mediazione da parte degli adulti, soprattutto durante l’infanzia. Ma proprio perchè iniziamo a confrontarci su questo già con bambini di 5-6 anni voglio sperare che alcune basi saranno poste al momento dell’adolescenza e delle decisioni importanti per la vita. Anch’io come Silvia aspetto che questi ragazzi acquisiscano abbastanza esperienza per sovvertire un corso da troppo tempo pericolosamente immobile.
Ciao! Io sono sempre dalla parte dei giovani nativi digitali. Però ci tengo a mettere in evidenza che la questione sul copia/incolla è vera. Sono docente universitaria e il 90% dei miei studenti non sa come fare ricerche su fonti originali, quasi tutti abusano di copia/incolla, non elaborano niente di personale. E’ un grave problema con cui la scuola deve confrontarsi.
Silvia, hai fatto bene a commentare il dibattito..a parte Nicola Greco che mi ha fatto sorridere con quell’espressione basita di fronte a cotanta intellighenzia, è stato il trionfo della banalità, della superficialità e dei luoghi comuni. Infine, con rammarico, l’ulteriore conferma che il web e i blogger, stanno sul naso ai guru della tv…
“il papà ed il bambino stavano sì giocando insieme […] entrambi guardavano verso lo schermo e… non si guardavano negli occhi!”
e
“non sono solo i bambini ad essere troppo concentrati su uno schermo, sono gli adulti, i genitori, i padri in particolare (…) che non escono più a giocare a pallone con i figli”
ahem mi spiace darvi questa notizia sconvolgente, e’ dura lo so, ma… e’ tutto vero! e’ proprio cosi’! sta succedendo, qui e adesso, in maniera massiccia, non lo sapete ma succede da almeno 30 anni. Volendo anche da prima. Davanti alla televisione.
La Bignardi è rimasta così tanto neutra da sparire proprio sullo sfondo, durante la discussione…
Oggi radical chic è di moda! 😀
La Bignardi è radical chic. 😀
Poi la gente si stupisce quando dico che non ho la TV perché non mi piace più guardarla.
Tra le tante, la cosa che mi fa più arrabbiare è essere giudicata da gente della stessa generazione che ci lasciava vedere Lady Oscar a 7 anni perché “i cartoni animati sono da bambini”. Nel senso: non è che voi giudici siate impeccabili. Ogni generazione di genitori deve stare attenta senza paranoie, punto.
Ma la misura vale per tutto. In fondo non ci preoccuperemmo anche se i nostri figli passassero tutto il giorno sui libri senza mai aver voglia di uscire o di giocare con un amico?
ecco, mentre scrivevo il mio luuungo commento voi parlavate gia’ di quantita’ – quindi di misura. mi sembra anche ovvio…:-)
paola
da quando ho l’ ipad, mio figlio si diverte con alcune applicazioni di disegno e altro che, sinceramente, sono davvero bellissime. cerco di limitare i tempi, facendolo disegnare prevalentemente su carta perche’ penso sia bello non perdere quest’abitudine.
ma non posso non ammettere che ci sono tantissime applicazioni istruttive, da cui un bambino impara e si diverte. senza dimenticare il gioco e la scoperta attraverso libri e altro.
come in tutte le cose, bisogna pensare alla misura: di certo non lascio l’ ipad in mano a mio figlio insegnandogli a navigare in liberta’. esattamente come i miei genitori hanno fatto con me: “controllando” i film che vedevo, le riviste che compravo….
voglio dire: i tempi cambiano. l` istruzione, lo studio si arricchiscono di nuovi mezzi, piu` veloci – forse piu` pericolosi perche` meno facilmente gestibili. di certo non si puo` pretendere che un ragazzo svolga una ricerca andando in biblioteca, fotocopiando…come facevamo noi. ma si puo` insegnare ad un ragazzo la curiosita` e l’ amore per la scoperta, la voglia di leggere un libro, a prescindere.
le amicizie? stessa cosa. e il tweet che avete pubblicato la dice lunga. io non sono un` amante di fb ma mi rendo conto che ormai sia diventato una forma quasi indispensabile di comunicazione. per un ragazzo, ancor di piu`. e` un modo per entrare in contatto, dopo avviene tutto il resto: gli incontri, le partite di pallone.
bello questo post,
paola
Hai ragione, Lorenza, la questione è quanto e come, ma il se mi sembra davvero fuori discussione. Ed invece si parla di se, con pochissima competenza e con triti luoghi comuni ed in modo molto superficiale.
Non ho visto la puntata in questione, ma ne ricordo un’altra sulle coppie che stavano sempre su Internet. Ad essere sincera, mi stupisce questa “acrimonia” della Bignardi nei confronti delle nuove tecnologie, e anche il format del “pro” e “contro” a tutti i costi mi appare un po’ vecchio e stereotipato, su questi argomenti soprattutto (come dire, sarebbe stato come se sessant’anni fa avessero fatto un talk show pro o contro la diffusione delle macchine utilitarie o della lavapiatti…). Mah.
A me sembra che il vero problema non è il “se”, ma il “quanto”: sui videogiochi, soprattutto, io ho questo personalissimo problema di volerne e doverne limitare il tempo di utilizzo. Questo sì mi pare un tema utile e interessante. Sull’utilizzo di Internet sono ancora un po’ piccoli, ma credo che sia doveroso interrogarsi su come e quanto controllare cosa i bambini ci fanno. Per il resto, lasciamo lo psicanalista a condurre la sua battaglia contro i mulini a vento (temo, per lui)