I bamboccioni nascono davvero all’asilo?

Un articolo apparso sulla 27esima ora un paio di giorni fa dal titolo I bamboccioni nascono all’asilo. Le follie dell’inserimento all’italiana ha fatto velocemente il giro del web. Era abbastanza prevedibile visto il titolo ad effetto (il richiamo ai bamboccioni quarantenni), e la rabbia diffusa in questi giorni tra le mamme italiane a causa della lunghezza estenuante dell’inserimento alla scuola materna.
L’articolo è l’espressione sacrosanta della rabbia e frustrazione di una mamma che si è trovata evidentemente costretta ad affrontare il lento ritmo dell’inserimento dei suoi due gemelli, pur collidendo con un suo viaggio a Londra, però come ogni manifestazione di rabbia si permette di essere superficiale nell’analisi, e di generalizzare quel tanto da renderla perfettamente in linea con la cultura italiana che pretende di contestare.
Ci sono però almeno due argomenti principali che l’articolo ha avuto a mio parere il merito di contestare, pure nella sua superficialità.
Il primo è il problema del lungo inserimento alla scuola materna, da alcune strutture applicato rigidamente, indipendentemente dalle abitudini del bambino, e che costringe genitori (che lavorano) a rimanere a disposizione anche nel caso in cui il bambino non mostra nessun problema apparente. Il secondo è l’atteggiamento, tutto italiano, di iperprotezione dei figli, al punto da renderli dei “bamboccioni” da adulti.

Il problema (o forse dovrei dire uno dei problemi) è il corto-circuito che l’autrice di quell’articolo fa tra questi due argomenti.

Il corto circuito ha infatti confuso cause con effetti, l’inserimento lungo voluto dalle scuole si è confuso con l’iperprotettività della mamme, e sorvoliamo sull’aritmetica che permette facilmente di calcolare che buona parte dei bamboccioni 40-enni non hanno fatto nessun inserimento lento quando hanno iniziato la scuola materna ai loro tempi.
Se il proliferare delle generalizzazioni sia fatto ad-hoc per aumentare i consensi (e quindi i contatti) oppure dovute ai fumi dell’arrabbiatura che si è presa, non ci è dato di saperlo. Fatto sta che dalla sua esperienza in UNA scuola materna italiana ha dedotto che TUTTE le scuole materne italiane eseguano un inserimento rigido per tutti i bambini su più settimane, e dalla sua esperienza in UNA scuola britannica a Milano, ha dedotto che in UK non si faccia l’inserimento (fatto negato ad esempio dalla nostra “inviata” in UK supermambanana). Inoltre ha dedotto che siccome i suoi figli non hanno avuto problemi ad inserirsi in quella struttura questo non debba mai essere un problema per nessuno (mai sentito parlare di temperamento?), e che i bambini che vengono lasciati in 5 minuti nelle mani esperte dell’insegnante possano tranquillamente mettersi tutti a giocare da soli sereni come se fossero a casa loro.
Ma come ben si sa la miglior difesa è l’attacco. Sentendosi accusata in qualche modo (da chi?) per non aver potuto essere presente all’inserimento dei figli a causa di un viaggio a Londra, ha iniziato ad attaccare tutte quelle mamme che a suo parere rendono i figli insicuri (cosa che a suo parere un calcio nel sedere non farebbe) accompagnando i bambini durante questo percorso di inserimento.
E questo è il secondo problema grosso che io vedo in questo articolo. Lo schierare le mamme lavoratrici contro le mamme che o per scelta o per forza, restano a casa con i figli.

E se mentre da un lato posso simpatizzare con l’arrabbiatura di essere costretta ad effettuare un inserimento lungo 2 settimane, visto che i suoi figli non ne avevano apparentemente bisogno, dall’altra questo articolo mi fa arrabbiare perché ci riporta dritti dritti in tutte quelle dinamiche da cui dobbiamo così faticosamente lottare per uscire.
La mamma non è l’unica responsabile dello stato d’animo dei bambini al momento dell’inserimento alla materna. E’ un momento delicato che dipende da madre, padre, temperamento del bambino, atteggiamento delle persone che lavorano nella struttura di accoglienza, e forse persino i nonni o chi per loro, e tutti hanno un ruolo importante e a volte determinante per la buona riuscita.
E proprio perché non è l’unica responsabile, la mamma che per motivi di lavoro o altro non può accompagnare i figli in questo percorso non dovrebbe sentirsi in colpa, o venire accusata, o avere bisogno di sparare a zero sul resto delle mamme italiane, né su un sistema di inserimento tout-cour che può si avere le sue pecche (e ne abbiamo parlato anche spesso su questo sito) ma ha un suo perché, che chiunque con un minimo di preparazione pedagogica, ma anche di buon senso dovrebbe riuscire a capire.
Inoltre il legame tra l’atteggiamento italiano di iperprotezione nei confronti dei figli ed un metodo di inserimento “lento e graduale” è decisamente debole, visto che l’inserimento avviene in molti altri paesi d’Europa se pur con dinamiche leggermente diverse.
Ora non capitemi male. Io sono la prima a condannare questo metodo di inserimento da stillicidio. Sono la prima a dire che i bambini avrebbero bisogno di essere lasciati un po’ più liberi, e con meno maglioni addosso. Abbiamo parlato spesso dell’importanza di educare all’indipendenza. Ma tutto questo si fa tramite l’ascolto, l’empatia, il costruire insieme una base solida da cui partire, e non certo a calci nel sedere a 3 anni.

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23 thoughts on “I bamboccioni nascono davvero all’asilo?”

  1. @Closethedoor Infatti ci vuole flessibilità ma non credo che si possa parlare di “problema italiano” per l’inserimento quando ce ne sono ben più gravi sul tema figli e famiglia. L’articolo, fatto ad hoc per creare dibattito intorno, non mi piace perché vuol fare un accostamento del tutto senza senso tra inserimento e “bamboccioni”.
    E poi, lo dico essendo dalla parte delle mamme, anche perché alla fine sembra che la causa di tutto siano proprio le mamme. Le mamme apprensive al nido, le mamme che creano i “bamboccioni”, ecc.

    Proprio l’altro giorno ho scritto un post su una serie di trafiletti di IODonna (il Femminile del Corriere della sera), con un uso della parola “mammo” se i padre anche solo spinge la carrozzina, dai quali sembra che i figli li debbano seguire solo le mamme, con tutto quello che questo implica (es. lavoro).
    http://babbonline.blogspot.it/2012/09/perche-eros-ramazzotti-e-un-papa-mentre.html

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  2. ecco, Chiara, e invece io penso che, proprio perche’ di asilo e di inserimento e’ stato detto tanto, l’accento di questo post sulle dinamiche che fanno scaturire post come quell’altro, le eterne conflittualita’ fra mamme che prendono decisioni diverse, e’ l’unico possibile, se decidiamo che siamo tutti diversi, mamme e bambini e maestri (mettiamo anche loro nell’equazione) la questione dell’inserimento si o inserimento no esiste fino ad un certo punto, non e’ neanche troppo il caso di parlano. Esiste pero’ la questione “io penso che voi sbagliate”, che poi e’ il tema del mese, il tema dei tanti bellissimi post di questi giorni, e il tema, nel mio piccolo, di un contributo di qualche tempo fa, che riallego qui non tanto per autoreferenzialita’ quanto per mancanza di tempo in questo momento per elaborarlo ulteriormente.

    https://genitoricrescono.com/faccio-cose-vedo-gente/

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  3. @ BabbOnline: ecco, per esempio: io ho fatto 2 settimane di inserimento al nido e faccio 4 settimane di inserimento alla materna. Vogliamo parlarne? Ok, è da fare in un altro post…

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  4. Nella mia esperienza l’inserimento al nido è stato flessibile, sulla base di come ha reagito mia figlia. Solo il primo giorno sono stato 1 ora in giardino insieme ai bambini nel caso mia figlia mi cercasse. Poi dal secondo giorno alla fine della settimana orario in aumento ma senza la mia presenza. Inoltre, l’inserimento dei nuovi bambini viene fatto 1 bambino a settimana per permettere alle maestre di seguirli.
    Concordo che anche l’inserimento, come tutte le altre fasi del bambino, debba vedere il coinvolgimento di tutta la famiglia. L’inserimento di mia figlia l’ho fatto io perché mia moglie era rientrata a lavoro dalla maternità e conosco altri padri che l’hanno fatto.
    Per quanto riguarda l’articolo, a parte titoli e temi pensati per farsi leggere, direi che sarebbe bene prendere il meglio dall’estero (vedi Paesi del nord Europa)in tema di sostegno alle famiglie. Un’analisi seria del tema dei “bamboccioni” (altro termine terribile) dovrebbe iniziare proprio da un’analisi dei problemi della famiglia e società italiana.

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  5. Comunque nella stragrande maggioranza dei casi le fantomatiche 2 settimane di inserimento sono puramente indicative nel senso che se il bambino è tranquillo e non ci sono problemi durano anche due giorni (mia esperienza personale con 2 figli e di tantissime altre mamme).
    Se invece il figlio in questione ha problemi, le due settimane ci vogliono (o no?).

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  6. A me l’articolo non è sembrato così scandaloso e in parte condivido quanto la giornalista scrive. Ritengo che l’inseriemnto debba essere un po’ meno rigido di come viene spesso fatto. Si parte sempre dal presupposto che tutti i bambini DEBBANO aver problemi di distacco. Se qualcuno non si conforma deve comunque fare l’inserimento che fanno tutti, senza tener conto del temperamento!
    Inoltre non tutti hanno nonni o la possibilità di avere ferie, permessi e quant’altro a disposizione per 2 settimane o più di inserimento e quando questo si somma alla tranquillità del figlio quello che si vede è la semplice assurdità della pratica dell’inserimento nel suo personalissimo caso.

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  7. io sono la mamma di un bambino che ha frequentato il nido e il primo anno di materna, la settimana di inserimento gli è servita tutta (anzi è servita a poco perchè ha sempre pianto) io al momento lavoravo e fosse stato per me avrei preferito trovarmi nella condizione di quelle mamme che dopo dieci minuti se ne possono andare tranquille,non sono per niente una mamma apprensiva ma ho un figlio poco aperto ai cambiamenti e alle novità è inevitabile che ti senti giudicato da tutti questi pareri e da questi articoli , secondo me non c’è un metodo giusto o sbagliato ma bambini con esigenze diverse e comunque in tutti gli asili che conosco viene dato un tempo massimo di ambientamento ma se il bambino non ne ha bisogno i genitori se ne vanno non è che è imposto niente

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  8. Anche io leggendo questo articolo penso che rientri nella categoria “fuffa”, un po’ come la storia del cartello “vietato l’accesso ai bambini” che si userebbe in Germania.
    Il problema della mancanza di autonomia dei giovani adulti italiani è grave e reale, e troverei molto più sano il britannico calcio nel sedere ai nostri giovani 18enni perché presuppone non solo il fastidio di accollarsi l’accudimento, ma anche la fiducia che l’erede potrà farcela da solo a mantenersi, e stirarsi le camicie, senza “mammà”. Però non sono così sicura che rispetto ai bambini, le mamme straniere – e inglesi in particolare – siano così pieni di disamore come ce li figuriamo qui da noi, ecco.

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  9. Ho letto l’articolo nei giorni scorsi e anche diversi commenti che ne sono seguiti. Anch’io ho il sospetto che , dato il tono generale assolutamente sopra le righe e provocatorio dell’articolo che hai citato, lungi dall’intenzione di voler suscitare un dibattito serio sull’argomento della conciliazione tra le esigenze del bambino e quelle dei genitori, l’organizzazione del lavoro e certi stili culturali, l’autrice abbia semplicemente trovato un modo per far crescere i contatti. Sminuire la prassi dell’inserimento non risolve i problemi delle mamme che lavorano. E poi penso che l’inserimento sia un momento importante non solo per per il bambino ma anche un’occasione preziosa per il genitore di consegnare ad altri adulti la propria delega educativa. Poi che ci possano essere miglioramenti organizzativi, aggiustamenti e che a volte ci possano essere anche distorsioni è naturalmente possibile ma questo non equivale a dire che si tratti di una modalità sbagliata, che viene adottata solo in Italia perché siamo culturalmente arretrati, mammoni e bamboccioni.

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  10. L’articolo è ben scritto e mi trova d’accordo su tutto, ma devo dire che mi trovo d’accordo anche con quello che scrive Chiara: quell’articolo non mi sembra di livello più alto di un post che potrei scrivere io sul mio misero blogghino.
    Anzi, forse io non userei toni così antipatici.
    Però ecco, proprio perché superficiale e provocatorio (ma NON in modo intelligente e costruttivo) avrebbe dovuto essere ignorato.
    Insomma, non mi sembra nemmeno un pezzo da pubblicare sul sito del maggior giornale italiano.

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  11. Effettivamente l’articolo è un bel pacco di generalizzazioni un tanto al kg. I nostri inserimenti (asilo nido e primo anno di scuola dell’infanzia) sono stati graduali e commisurati al bambino e li abbiamo gestiti suddividendoceli tra genitori e ricorrendo a ferie e scampoli di maternità (e paternità) come i vari “primi giorni” successivi, recite, scambi d’auguri et similia. Abbiamo cercato di viverli non come delle grossissime rotture di scatole, ma come delle occasioni di continuità tra la scuola e la famiglia.

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  12. Io vi porto l’esperienza della Maternelle francese che a mio avviso rappresenta un ottimo compromesso. La maestra ci ha accolto con un messaggio che in sintesi diceva prendetevi il vostro tempo aiutando il bimbo con tutto quello che può tranquillizzarlo (dudù, Ciccio, etc) fate tutto dolcemente (peccato non potervi postare la foto del messaggio) allo stesso tempo il genitore è libero di andare via nel momento in cui lo ritiene opportuno e allo stesso modo può decidere se e quando lasciarlo mangiare alla mensa. Il tutto secondo me rispetto temperamenti ed esigenze diverse

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  13. Non sono del tutto d’accordo con Chiara: questo post a mio avviso nasce come risposta a un articolo di cui si parla in questi giorni molto, con grandi polemiche e discussioni, pertanto giustamente lo analizza, per consentire a chi non lo conosce di comprendere la discussione e a chi lo conosce di capire la posizione di Genitori Crescono, che ha fornito comunque già numerosi spunti di riflessione sul tema. Io credo che anche solo i link suggeriti nell’ultima spettacolare frase siano sufficienti a suggerire molte riflessioni.

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  14. Aspettavo questo post, ma confesso che mi spiazzate. Me lo immaginavo molto diverso. Mi sembra che dia all’articolo scatenante una rilevanza che non merita, visto che è una sorta di “recensione/commento” di quello. So che ne avete già scritto, ma mi sarai immaginata che questo fosse uno spunto per una riflessione o un approfondimento sul tema.

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