Guardarsi attraverso il proprio gemello

sciare-gcUna distesa di neve infinita, alberi fitti e pennellate di bianco come in un quadro, immobile e immenso.

Gli sciatori scorrono veloci, qualcuno si attarda a scattare una foto, qualcun altro è in difficoltà  e si ferma a studiare il percorso.

Due bambini in giacca a vento azzurra e rossa sfrecciano dietro al papà che gli mostra il percorso. Uno fa le curve lentamente, intento a seguire le indicazioni del genitore davanti, l’altro si precipita veloce sulla discesa, cercando qualche sentierino parallelo in cui sperimentare alternativi fuori pista.

Lei sta indietro, per una volta invece di guardare il paesaggio innevato guarda loro, attentamente, e cerca di cogliere i movimenti, l’andatura, le espressioni del viso, i cambiamenti nelle traiettorie.

Li studia da dietro, rallenta il passo per non superarli, si ferma a pensare.

Guardando quei due esseri che scendono sulla pista, nati a due minuti di distanza in quel lontano marzo di sei anni fa, lei prova a farsi delle domande, proprio lì in mezzo alla neve, che inesorabile continua a scendere lenta per salutare il 2013 che se ne va.

Si immedesima come a solito nel più piccolo dei due, quello nato due minuti dopo, dal fisico dirompente e dalla sensibilità più spiccata.

La pista è azzurra, larga, facile ma ghiacciata e piena di gente, lui ha paura e fa un po’  fatica a lasciarsi andare, il suo gemello invece corre come il vento. Segue il fratello più grande sui fuoripista, scimmiotta ancheggiando, ride e mostra sicurezza. Lui no, è concentratissimo sulla pista, sul ghiaccio da evitare, sulle curve, sulle persone, sul papà davanti a lui che gli mostra la via più semplice.

Ha cinque anni, ha messo gli sci l’anno scorso per la prima volta, è la terza volta che scia in vita sua, e riesce a scendere senza cadere mai, ha solo paura.

In astratto è bravissimo, le vien da dire, un bambino così piccolo, energico e instancabile, scia dalle nove del mattino alle quattro di pomeriggio, chiede di andare su tutte le piste, ci prova.

E’  diligente e non si arrende, non dice mai di essere stanco, né si lamenta per la fame, segue il papà attentissimo a fare le curve.

Tanti dei suoi compagni non hanno ancora provato a sciare, qualcuno ha iniziato ma per poco tempo, su piste piccole con il tapis roulant, in pochi sono già saliti in alto come lui, che già prende ovovie o seggiovie lunghe, stando attento a non cadere.

“Però, è proprio portato per lo sci!”, le dice un giorno la mamma di un suo compagno di scuola, “Fa già le piste rosse?”

Lui è orgoglioso, per un attimo è da solo davanti al suo armadietto, si sta vestendo per uscire. Il suo gemello non sente, è ancora in classe, suo fratello grande non è ancora uscito da scuola. Sente le parole di questa mamma e le sorride, iniziando a descrivere le sue prodezze “Ho fatto la pista che si chiamava la nuvola rossa, era per i grandi, era difficile e ghiacciata”.

“Ma davvero? Caspita, chissà che missione difficile!”, prosegue lei, “il mio bambino proprio non se la sente”.

Per qualche minuto lì davanti  c’è lui, da solo, nessun gemello, nessun fratello, nessun confronto. Si sente speciale, persino più “bravo” di altri suoi compagni. Per una volta si sente di saper fare delle cose prima di altri, meglio, si prende i complimenti che gli arrivano felice, fiero, orgoglioso.

E’ su un piedistallo, per una volta, e ci resta, immobile, ancora per qualche interminabile minuto.

Poi la magia finisce, nell’attimo in cui dalla classe a fianco esce il suo gemello, che corre all’armadietto e sente parlare di sci, di montagna, di curve e di fuori pista. Sente questa mamma commentare estasiata le prodezze di Riccardo, che ha fatto piste rosse avendo solo cinque anni e senza neanche  tanta dimestichezza con gli sci.

Ascolta per un po’ e poi interviene, a rompere quell’incantesimo di stupefacente immobilità.

”Ma io ho fatto anche la pista nera!”, dice.

Lui, uno scricciolo di un metro, con la vocina da cartone animato e la giacca azzurra, intrepido sempre e comunque, pronuncia una frase che in quel momento vuol dire tutto. Sono parole che tranciano l’aria, e lei, guardando quel figlio scendere dal piedistallo e rabbuiarsi, capisce ancora prima di vedere la sua espressione ferita.

Perché quello che all’esterno sembra un’impresa, e ai più fa sembrare Riccardo portato, precoce, veloce, in famiglia risulta essere esattamente il contrario. Perché Tommaso, il gemello più agile e dal fisico più minuto, riesce sempre a fare qualcosa in più, meglio e prima, e l’asticella da raggiungere risulta inevitabilmente sempre troppo alta.

Riccardo ha tolto il pannolino a tre anni? Tommaso a due e mezzo.

Riccardo ha tolto le rotelle alla bici a tre anni e mezzo? Tommaso a tre.

Riccardo ha tolto i braccioli a cinque anni? Tommaso a quattro e mezzo.

Riccardo fa le piste rosse a cinque anni e mezzo? Tommaso alla stessa età fa le nere.

E se anche lei di confronti si sforza di non farne, il problema è che è lui il primo a guardare il suo gemello e a sentirsi sempre in rincorsa tra le mura di casa.

Non ha scuse, non può dire come tutti i fratelli minori, “è più bravo perché è più grande..”, questa scappatoia tra gemelli non c’è. E’ un rospo da mandare giù, ma a cinque anni si è solo dei bambini, e si ha bisogno di spiegazioni semplici, non astratti ragionamenti sulla vita.

Lo guarda risalire dagli abissi, lo prende per mano, gli fa una carezza, si abbassa e guarda i suoi occhi profondi e scuri, gli sorride.

“Sai che sei il mio campione vero? Che fai tante curve proprio come la mamma?” Lui fa sì con la testa. “Come la mamma”, ripete.

Lei lo prende per mano, gli allunga la sua macchinina rossa, guarda i suoi passi un po’ goffi, la sciarpa a righe blu, il cappello azzurro fatto a mano in una di quelle serate lente, passate davanti a un film.

Vorrebbe prendere un barattolo e riempirlo di tutto l‘amore che ha per infilarglielo in tasca di nascosto, da usarlo come medicina quando è triste.

Forse funziona, almeno un po’.

– di Valewanda

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16 thoughts on “Guardarsi attraverso il proprio gemello”

  1. bello bello bello. stavo per piangere ma mi son bloccata perchè sono in ufficio. il barattolo pieno d’amore è una metafora toccante.
    il problema però non credo che si possa restringere ai gemelli o ai fratelli. i bambini si confrontano anche fra coetanei. e vedere che gli altri riescono in ciò che non riesci tu è frustrante comunque. e il barattolo d’amore ci vuole sempre. (certo, il confronto fra fratelli è sempre il peggiore)

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