Ma i giochi da tavolo sono tutti competitivi? E’ possible usare giochi da tavolo per insegnare la collaborazione? Lo abbiamo chiesto ad un esperto del settore, che ci ha introdotti a magico mondo di giochi collaborativi. Andrea è il papà di due figli, ed esperto di giochi, recensore e giornalista ludico. Lavora come consulente ludico per editori e ludoteche e conduce un blog www.ludologo.com in cui dispensa consigli ludici per curiosi ed appassionati. Tra le sue tante attività è anche il Direttore Artistico di PLAY: Festival del Gioco, l’evento di gioco più importante ed interessante nel panorama ludico Italiano che il 24 e 25 Marzo propone una due giorni di totale immersione nel mondo del gioco da tavolo. Dettagli su www.play-modena.it o www.facebook.com/PLAYModena
Competizione e collaborazione, almeno quando si parla di giochi, non sono in realtà due aspetti così diversi e lontani. Molti giochi competitivi, ovvero i giochi che prevedono un unico vincitore, hanno spesso delle fasi in cui la collaborazione tra giocatori è utile se non necessaria. Nel Risiko, per parlare di qualcosa che tutti conoscono, difficilmente si riesce a vincere senza passare per alleanze/tregue temporanee. Ci sono giochi, come ad esempio il famosissimo Coloni di Catan, che prevedono commercio e collaborazione in maniera esplicita.
Esistono però dei giochi che sono realmente collaborativi, in cui non sempre esiste un solo vincitore, in cui spesso si gioca “tutti contro il gioco”.
Ci sono i così detti “collaborativi puri” in cui tutti i giocatori devono unire le forze per vincere contro il gioco: si vince tutti assieme o si perde tutti assieme. Ci sono i “semicollaborativi”, in cui si devono unire le forze contro il gioco ma alla fine, tra i giocatori, ci sarà qualcuno che ha fatto meglio degli altri. Ci sono giochi in cui uno o più giocatori si uniscono contro un avversario (o più avversari) e alla fine sarà una fazione a prevalere sull’altra. Ci sono infine dei giochi in cui apparentemente si gioca tutti assieme ma in realtà qualcuno (segretamente) gioca contro gli altri giocatori.
Tutti questi giochi, ne loro insieme chiamati collaborativi, stanno godendo un momento di particolare interesse nel mondo del gioco da tavolo e sono tanti i titoli di successo pubblicati negli ultimi anni: perché ?
Senza addentrarmi in speculazioni psicologiche (una società troppo competitiva, bambini stressati dalla voglia dei genitori di emergere, …), che non rientrano nel campo delle mie competenze, ho osservato nella mia esperienza di Ludologo come sempre di più per certi bambini risulti difficile mettersi in competizione con l’amico/a, il fratello o la sorella o il genitore, anche solo per gioco: e questo già a partire dai 4-5 anni.
Ci sono bambini per cui è davvero difficile accettare la sconfitta ed altri per cui è difficile anche solo tollerare la tensione della competizione: a questi bambini è meglio proporre giochi collaborativi, che rafforzino la loro autostima facendoli sentire parte di un gruppo vincente o, mal che vada, vivere una sconfitta condivisa.
Per i più piccoli è facile trovare proposte adatte: a volte basta anche solo utilizzare un gioco “normale” proponendo una sfida “grandi contro piccoli” o “mamma e bambini contro papà”. Non so se sia una cosa diffusa ma per i miei figli è sempre più facile accettare di avere contro il papà piuttosto che la mamma: Francesco, il mio bimbo di 5 anni, gioca volentieri contro di me (io poi spesso lo faccio vincere) ma non accetta la sfida con la sorella maggiore e si intristisce quando la mamma perde.
Se dovessi suggerirvi dei titoli, per bambini a partire dai 6 anni, Ninjago: the boardgame, delle linea LEGO Games o Sherlock della Ilopeli. Il primo è un classico gioco LEGO Games con dado: fino a 4 Ninja collaborano per riuscire a sconfiggere il capo dei cattivi: un cooperativo puro. Il secondo è un’interessantissima rivisitazione del gioco del memory in chiave collaborativa con la possibilità di giocare anche in maniera semicollaborativa: mia figlia, di 10 anni, ne è rimasta davvero entusiasta. Peccato che non sia facilissimo da trovare.
Per i più grandi (bambini ed adulti) c’è il bellissimo Il Signore degli Anelli LGC, un gioco di carte che può interessare tutti i ragazzi che giocano a Magic (perché ne condivide meccaniche e struttura) o il gioco da tavolo Arkham Horror, ambientato nel suggestivo mondo sognato da H.P. Lovecraft. Ovviamente per gli adolescenti ci sono tutti i giochi di ruolo (dal classico Dungeons & Dragons in poi) che sono l’emblema della collaborazione: i giocatori rappresentano di solito un gruppo di avventurieri che assieme devono affrontare pericoli, risolvere enigmi, compiere le missioni che il “Master” prepara e dirige per loro.
Mi sono limitato a qualche titolo reperibile nei negozi specializzati e con regole in Italiano, ma il mondo dei giochi collaborativi è davvero grande e variegato con prodotti adatti a tutti i gusti e a tutte le età: se cercate qualcosa di specifico non esitate a chiedere.
In generale man mano che i bambini acquistano competenze e abitudine al gioco i collaborativi puri perderanno di interesse anche perché spesso hanno il difetto che il giocatore più bravo/più carismatico gioca per tutti, dettando le scelte del gruppo. Se lo scopo di questi giochi è cercare di coinvolgere e far giocare anche i bambini più timidi capite bene che non è un problema da poco.
Tra gruppi di giocatori abituali alcuni titoli non funzionano proprio: sono in molti infatti a dire “Perché lui deve vincere? Meglio perdere tutti assieme” e alla fine la partita prende delle strade diverse e poco divertenti.
Per concludere, partendo dalla mia esperienza di conduttore di laboratori ludici e di papà che gioca, non credo che proporre solo giochi collaborativi possa essere alla lunga una soluzione vincente, anche per quei bambini che patiscono o rifiutano la competizione. Il mio suggerimento è di intraprendere un cammino di abitudine al gioco in cui man mano la competizione, la vittoria e la sconfitta, devono essere spiegate e motivate ai bambini e possono trovare un loro spazio e un loro contesto. Il gioco da tavolo e giocare con i propri figli può essere davvero uno strumento eccezionale nelle mani di un genitore o di un educatore attento, ricordando però che giocare deve essere per il bambino e per l’adulto sopratutto divertimento: il divertirsi assieme è la base su cui poi si può costruire tutto il resto.
Buon gioco
Il Ludologo
Ciao, sono mamma di una bimba di 5 anni e mezzo e amo i giochi da tavolo perchè sono cose che si possono fare in compagnia. Spesso li noleggiamo alla ludoteca di quartiere e li sperimentiamo (e se qualcuno ci piace particolarmente lo comperiamo o lo regaliamo x qualche festa, compleanno etc…).
Ci piacciono il JINGO (mi pare si scriva così), il gioco dell’oca e ora che inizia a riconoscere i numeri la tombola.
Ma ha anche imparato dal nonno a giocare a carte a scopa con l’asso (siamo antichi…lo so…:-).
Altri giochi che ci piacciono sono UNO, SOLO, SABBIE MOBILI e ABISSI.
Anche il MONOPOLINO ci piace molto.
In particolare mi piace l’idea che i bambini possano “giocare” e far lavorare ingegno e fantasia, troppo spesso mi capita di vederli attaccati ai giochini elettronici (che io non ho mai sopportato)……
@mammasterdam hai la fortuna di vivere in un paese, l’Olanda, in cui il gioco da tavolo (in famiglia e tra amici) è prassi consolidata, forse ancor più che in Germania.
Interessante e davvero realistico il “quadretto” che hai dipinto su diverso approccio al commercio in Coloni di Catan. In effetti, generalizzando, anche io ho notato che le giocatrici tendono ad apprezzare di più i giochi in cui la competizione è meno schiacciante o comunque giochi a “costruire” (vince chi costruisce/gestisce meglio le proprie risorse) mentre i giocatori apprezzano anche giochi che premiano strategie “distruttive” (io vinco perché giocando contro i miei avversari vi avvantaggio).
I bambini, specialmente fino ai 10-12 anni, faticano a considerare nella loro strategia la possibilità che qualcuno gli giochi contro: specialmente un adulto. Suggerisco quindi di non vanificare lo sforzo tattico/strategico dei vostri bambini adottando tecniche di gioco “distruttive” ma stimolare il loro ragionamento e la competizione con strategie costruttive parallele.
Quando poi si parla di giochi collaborativi, tema di questo articolo, vi invito a non rubare spazio alle idee dei bambini suggerendo la mossa vincente … se sbagliano la scelta dovrete tutti assieme far fronte alla situazione.
Buon gioco
Il Ludologo
Da appassionati giocatori dei Coloni di Catan (prima dei figli) di cui abbiamo tutte le versioni io avevo notato a suo tempo delle derive culturali. Gli olandesi uomini, che pure sono un popolo molto abituato alla collaborazione a tutti i livelli del quotidiano, nel gioco gli veniva l’ attacco di solipsismo e quindi tutto il gioco mirava a procurarsi il prima possibile tutte le fonti di approvvigionamento in modo da ridurre al minimo il commercio. Autarchia pure. Io invece proponevo degli scambi di favori contro merci le volte che non avevo nulla da scambiare, sfruttavo la posizione per dire, o cercavo di comprare a credito (ti rido un legno appena ce l’ ho, oppure: ti do un mattone se per tre giri non lo usi per bloccarmi la strada che voglio costruire in questo punto) e le donne in genere ci stavano di corsa mentre i maschi protestavano tra alti lai contro l’ irregolarità della cosa, si rileggevano tre volte le istruzioni per scoprire che non era proibito e arrendersi alle variazioni.
Da poco abbiamo scoperto la versione Mayflower che introduce i latifondisti e da più dinamicità al gioco e nostro figlio di 9 anni lo adora, ma il bello è che anche quello di 7 si sta appassionando, e quindi resteremo Catanisti a oltranza mi sa. La parte più bella infatti è quando finalmente i figli si divertono a fare gli stessi giochi che divertono te.
Quante cose ho imparato in quest’ articolo, grazie.