Entro. Un lungo corridoio, una porta aperta, un sorriso si apre e mi accoglie come un te’ bollente nel freddo della notte. Le pareti sono azzurre con dei disegni colorati appesi, osservo un attaccapanni in ferro battuto con figure di bambini stilizzati. Ci sono dei cuscini morbidi, giocattoli ordinati su uno scaffale bianco, due poltroncine azzurre con due cuscini blu fatti all’uncinetto.
Mi tolgo il cappotto verdeacqua, che mi tiene compagnia, e mi sento nuda, improvvisamente. Abbasso lo sguardo e vedo solo una macchia buia, sfumata, scura.
Mi siedo.
La guardo.
I contorni sfumano mentre provo a parlare, un fiume che scorre, prima lento, poi veloce. Gli occhi mi si appannano, mi asciugo le lacrime che scendono senza che riesca a controllarle, mi trema la voce, fatico ad ascoltami mentre metto a fuoco le parole.
Ho voluto iniziare, ho fatto un passo avanti per far uscire una voce che sentivo dentro da un po’, sfogare le insicurezze e i dubbi estremi, le angosce. Avevo paura dei miei pensieri, incapace di reggere un confronto continuo, nella mia mente, tra due esseri nati insieme eppure così diversi, nei modi, nelle reazioni, nell’approccio alle situazioni, nelle difficoltà.
Mi sentivo prevenuta, sempre, nei confronti di uno dei due, inconsciamente incapace di accettarne la diversità abissale dall’altro, e dal fratello più grande, questi ultimi invece più affini e compagni, nei giochi e nelle confidenze.
Mi sentivo sbagliata, inadeguata, a puntualizzare sempre le sue reazioni diverse, i suoi scatti di rabbia sorda e dura, le sue grida di dolore e di insofferenza.
Mi sentivo sbagliata nei pensieri, nelle reazioni, nella direzione delle parole, e nello stesso tempo mi sentivo immobile. Questa immobilità mi ha portato lentamente qui, in questo corridoio lungo con le pareti viola e i disegni dei bambini.
C’è uno specchio, mi guardo e studio la mia immagine riflessa, ne osservo i contorni, mi ascolto raccontare. Immagino la mia espressione quando parlo di uno, quando parlo dell’altro, quando mi sforzo per non fare confronti senza riuscirci, quando mi vedo sconfitta a ricordare l’ennesima furiosa ribellione, sentendomi come sempre bersaglio.
Perché avere due gemelli significa anche dire: “Non ce la faccio”, non riesco a stravolgere questo meccanismo mentale che metto in atto ogni giorno. Meccanismo per cui non li accetto per quello che sono, li proietto in un’unica immagine e da questa parto, invece che partire da loro, da quello che sono, con le loro caratteristiche e diversità. Non esistono prototipi, siamo quello che siamo, e i nostri figli, anche se nati a due minuti di distanza, possono essere abissalmente diversi, e vanno rispettati e capiti per quello che sono.
Non ci sono ancora arrivata, cammino ancora lentamente per evitare di sbandare, mi prendo i tempi che ci vogliono.
Si’, me li prendo, però ho deciso di togliere questa tenda scura, spalancare la finestra, e da li’, a pieni polmoni, prendere una boccata d’aria.
E respirare.
– di Valewanda –
Grazie per questa bellissima immagine, hai ragione, e’ veramente ineccepibile. Penso che sia la cosa più difficile in assoluto dell’essere genitori. Speriamo di riuscirci!
Mi riconosco molto nelle tue parole, ci vedo la nostra stessa fatica, la nostra stessa ansia. A volte credo che tre figli, molto diversi tra di loro, richiedano tanti vocabolari, tanti stili. Forse più di quelli che abbiamo nelle nostre corde.
Ieri sera ad una formazione il relatore diceva che il compito come genitori è riuscire ad essere lo sfondo per il dipinto dei nostri figli: i colori ce li metteranno loro. Ineccepibile. Speriamo di riuscirci.
In bocca al lupo
Silvietta, grazie, cme sempre, per le tue riflessioni e per le tue parole che vanno a toccare le corde più intime. Hai ragione, si cresce, e i bambini ti danno l’occasione per farlo ogni giorno, per mettere a nudo fragilità e dubbi che magari non avresti avuto occasione di sviscerare. E’ una vera occasione, e io cerco di prenderla, faticosamente, al volo. Un abbraccio
Credo ci sia un messaggio che si ritrova nel titolo di questo sito e che accomuna gli articoli che si incontrano giorno dopo giorno, seguendo diversi filoni e anche argomenti che (apparentemente) non ci toccano direttamente. Ed è crescere. Crescere come cambiare. Cambiare fa sempre paura, ci costringe a metterci in discussione, a lasciare porti conosciuti per lo sconosciuto. E talvolta lo sconosciuto siamo noi, quello che possiamo diventare. In qualche caso, lo diventiamo anche grazie alla genitorialità che c’è toccata in sorte. In qualche altro caso, per un caso, una coincidenza, un qualcosa di scomodo da portare.
Siamo come sia, io mi sento spesso in questo viaggio, magari a volte ho anche paura. Avere compagnia, avere una compagna come Valewanda e il suo modo delicato di descriversi, è una bella cosa. Fa bene rileggerti quando i dubbi ci costringono all’insonnia.
Grazie di quanto hai scritto e buona prosecuzione