Fiori nei cannoni: proviamoci

guerra-freddaQuando i genitori non si amano più. Anteporre il bene dei figli per preservare il loro benessere psicologico non si risolve necessariamente in una convivenza forzata, ma nel consentire loro di percepire e vivere nel modo più sereno possibile la loro nuova famiglia allargata.  

Non so se il matrimonio è un’usanza sopravvalutata, ma sono certa del fatto che spesso anche l’amore vero finisce. La vita cambia, le persone cambiano, i figli stessi possono mettere alla prova le coppie in maniera inaspettata: se la condivisione delle responsabilità non viene percepita in maniera sincrona, il talamo diventa un covo di rancore e risentimento.
La gente dunque a volte si lascia, più o meno male. Gente che si lascia felicemente forse c’è ma non la conosco.

Ci sono però molte persone che decidono di anteporre il bene dei propri figli al desiderio quotidiano di prendere a ombrellate l’ex o, nel migliore dei casi, dimenticarne per sempre i connotati. Anteporre il bene dei bambini non significa, a mio avviso, perpetrare unioni laceranti quanto economicamente e socialmente accettabili ma, anche di fronte alla fine di una convivenza, garantire loro la presenza continuativa delle persone che amano: mamma, babbo, nonni, zii, fratellastri se ce ne sono. Anteporre il bene del bambino non significa il male del genitore, ma significa, per il genitore, un sacrificio (quello di reprimere le ombrellate, appunto) in nome di qualcosa di molto più grande che è l’amore per un figlio. Non significa che una mamma o un babbo separati debbano per forza continuare a frequentare la famiglia del proprio ex, di cui spesso non sentono la mancanza più di quanto un pesce si strugge di desiderio per una bicicletta: significa solo che non dovrebbero fare in modo che il bambino muti improvvisamente percezione di quella che è la sua famiglia allargata, né tanto meno impedire che il bambino li frequenti, se non sono pericolosi per lui.

La pace contrattata è quello stato di “beatitudine” in cui sopravvivono molte famiglie s-composte, che però non sono, nella mia limitata esperienza, la maggior parte. Per definizione la pace contrattata non è sempre uguale. Ogni famiglia s-composta in pace contrattata definisce le sue regole, che spesso il mondo circostante si sente di commentare o biasimare. Ci sono bambini che vivono in due case; e ci sono bambini che vivono in una casa sola e vedono il genitore non residente fare la spola, garantendo comunque una presenza costante. Ci sono famiglie che si ritrovano a Natale, con nuove e vecchie coppie e figli non perfettamente fratelli tra loro ma quasi come; ci sono quelli che un Natale qua e uno là, però in serenità. Ci sono genitori insomma, che riescono a rimanere entrambi punti di riferimento del figlio come prima della separazione, al di là di quello che scelgono di fare della propria vita; e che, oltretutto, rimangono per l’ex partner la persona con cui il ruolo educativo viene condiviso.

La vita però è fatta anche di ferite e di errori e di dolore e di irrazionalità, che sia da una o entrambe le parti.
Se non si riesce a trovare un sistema migliore, la guerra fredda in fondo è umana. La guerra fredda propriamente detta, impediva alle due parti in causa, USA e URSS, di esagerare, nel timore del primo dei due potenti che, premendo il temuto bottone, avrebbe scatenato la guerra atomica. Le due parti avevano già dimostrato di poter scatenare la guerra atomica, ma la guerra atomica avrebbe fatto morire tutti. Era la paura di morire che faceva tenere le armi sempre puntate, ed era per la paura di morire che faceva sì che nessuno premesse mai il grilletto. La situazione politica internazionale, in questo modo, risultava equilibrata.
Chi si lascia con figli in comune, vorrebbe e dovrebbe aspirare a una pace contrattata, con più o meno compromessi. Però io credo appunto che tra la pace contrattata e la guerra vera, la guerra fredda sia più o meno accettabile. Niente colpi bassi però, mai, che sennò diventa guerra calda in un attimo.

I bambini delle famiglie in guerra fredda crescono percependo la palpabile tensione tra le parti, che cercano di frequentarsi il meno possibile, attenendosi a decisioni ufficiali o ufficiose. I genitori in guerra fredda si frequentano solo nelle grandi occasioni, come le lauree dei figli, spesso non sopportano i partner sopraggiunti e sono gelosi dell’influenza che questi hanno sui bambini. Però non impediscono loro di frequentarli, di volergli bene. Sono bambini che hanno il (più o meno pesante) ruolo di ponte tra famiglie.
Infine, ci sono le famiglie in guerra, e purtroppo sono molte. Gli adulti che perpetrano la guerra familiare in genere non sono orgogliosi di quello che stanno facendo però sentono di aver subito dei torti troppo grandi per riuscire a passarci sopra, oppure riconoscono di aver sbagliato ma pensano sia troppo tardi o che hanno sbagliato troppo per tornare indietro. Lasciano che i figli si assumano il difficile ruolo di proteggerli l’uno dall’altro.
Biasimare queste famiglie è semplicissimo, ma io credo che spesso, dietro a questi genitori ci sia un grande dolore più che una frivola stupidità.

Però la disciplina non è solo amore incondizionato verso i propri bambini: è anche un bell’insegnamento che possiamo imporci di dare, anche quando sembra impossibile, soprattutto quando sembra impossibile.

Ignoriamo quelli che ascoltando i nostri dipinti rabbiosi e parziali dei fatti e dei nostri ex, ci diranno che “un affronto del genere non lo puoi sopportare” e corriamo a contrattare la nostra pace: non è troppo tardi.

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2 thoughts on “Fiori nei cannoni: proviamoci”

  1. Gran bell’articolo Valentina!!! Ci vuole forza, coraggio, apertura mentale e generosità per pensarla così…brava!!!

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  2. “Biasimare queste famiglie è semplicissimo, ma io credo che spesso, dietro a questi genitori ci sia un grande dolore più che una frivola stupidità.”
    Provengo da una guerra fredda e tante cose che sentivo da ragazzina mi sono lampanti solo adesso, da genitore. Vorrei che questa riflessione sul biasimo ce l’avessimo tutti stampata sulla porta di casa, da leggere prima di uscire nel mondo.

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