Mentire per questioni di sopravvivenza, adeguarsi alle circostanze, adattarsi ai cambiamenti ma poi trovare il coraggio di essere se stessi, anche nei contesti sociali più difficili.
La Staccata
Nella sua prima stesura, Federico il pazzo si intitolava “Sono tornato a casa” e ha conquistato il Premio Pippi per la categoria opere inedite nel 2006. Recentemente, è rientrato fra i 55 libri candidati alla prima edizione del Premio Strega Ragazze e Ragazzi per la fascia di lettori dagli 11 ai 15 anni.
Il protagonista di questo romanzo è Angelo, un ragazzino che fluttua fin dalla primissima infanzia in una sorta di limbo galleggiante. Una capacità, la sua, che acquisisce quando a soli nove mesi perde i sensi ed entra in coma. Lo supera, ma è da allora che utilizza una forma di evasione da tutto ciò che lo destabilizza: un dolore fisico, un disagio psicologico, la paura di non essere all’altezza. Non può fuggire materialmente, allora si rifugia in un coma che torna, con le molecole del corpo che ubbidiscono al ricordo. La sua tecnica di galleggiamento solitario gli consente di trasformare le emozioni in ovatta: vede e sente tutto, ma nulla può fargli male.
Galleggiante è anche il suo posto nel mondo, una condizione comunissima negli adolescenti. In alcuni, quelli che vivono in contesti sociali complicati, lo è decisamente di più. Patrizia Rinaldi, splendida ed eclettica scrittrice napoletana, sceglie la periferia della sua città per raccontare la storia di un tredicenne che si trasferisce da Verona in un quartiere dove “in fondo a un viale con lampioni mezzi rotti, un palazzo ingombrante occupa quello che in una prospettiva ragionevole dovrebbe essere lo spazio blu del cielo”.
Un sobborgo difficile di Napoli, ma potrebbe essere quello di una qualsiasi altra città. Le dinamiche sono molto simili: capire quali sono i limiti da non superare, cosa dire e cosa invece no, comprendere i codici di comportamento.
Quella di Angelo è una storia di adattamento, l’ennesimo della sua vita. Torna finalmente “a casa”, così dice sua madre. É una terra in cui è nato ma che non ha mai conosciuto, una città dominata da uno strano istinto di sopravvivenza, da barriere e taciti accordi che dividono i più deboli dai predatori, inondata di sole e di luce che lui non riesce a vedere. Impara ad apprezzare cibi che non ha mai assaggiato in vita sua, a convivere con una lingua sconosciuta e dinamiche che non comprende, come quella di dover mentire per non essere preso a pugni e calci.
Mimmo, un ragazzo poco più grande di lui, gli suggerisce come cavarsela. Lo protegge, è la sua voce fin quando Angelo non imparerà a comportarsi e a parlare come si deve. E come si deve significa anche inventare zii inesistenti che lavorano al porto di Napoli e un padre defunto invece che scomparso nel nulla. Essere vedova e poter contare su fratelli robusti in città è una cosa che rende sua madre, giovane donna molto bella, meno appetibile per uomini con qualche ideuzza per la testa di troppo.
Saper parlare, per Mimmo, non significa solo insegnare ad Angelo cosa significa “fare filone”, ma dichiarare Milano come città di provenienza invece che Verona. La rivalità calcistica fra ‘a città ‘e Pulecenella e quella di Giulietta è una delle più accese e pericolose, meglio non rischiare. Una forma precauzionale deprecabile per alcuni, in primis per Angelo. Ma si adegua, fin quando non diventa il bersaglio di un gruppo compagni di classe, guidati da Capa Gialla, che lo pestano a sangue a scuola. Angelo reagisce in modo insolito: incassa i colpi, senza reagire con la stessa violenza. Debolezza? No, assolutamente. Coraggio, invece, potere della diversità e dell’unione con altri diversi. Diversa è Giusy, che da grande vuole diventare meccanico, diverso è soprattutto Federico il pazzo, che in realtà si chiama Francesco e divora libri fin da piccolo, si esprime in modo arcaico, addomestica un nibbio, nutre una passione smodata per il medioevo e per Federico II di Svevia, è salito in auto tre volte soltanto in vita sua.
Federico il pazzo racconta la parte sana di una gioventù che non è affatto bullismo e regole non scritte, persino nelle realtà più problematiche da vivere. Insieme ai suoi nuovi amici Angelo riesce a trovare il coraggio di ribellarsi. Emblematica una sua dichiarazione quando, a pestaggio subito, rientra a scuola dopo una convalescenza in cui diventa più alto e robusto, improvvisamente. Cresce, in tutte le possibile accezioni, si alza in piedi e dice questo, davanti a tutta la classe: “Tra di voi ci sarà anche chi è d’accordo con Capa Gialla, e va beh, non fa niente. Ma ognuno sta dicendo quello che pensa, come gli pare. Se le botte che ho preso sono servite anche a questo, allora il dolore e la paura mia e di tutti sono stati un guaio, ma anche una cosa buona… Io non parlo come voi, ma se ci pensiamo bene, in fondo nessuno parla come gli altri, però ci possiamo capire lo stesso.”
La Rinaldi, supportata dalla sua esperienza di insegnante in contesti sociali difficili della sua città, riesce a raccontare con freschezza e a tratti meravigliosa ironia tematiche serissime comuni e riscontrabili ovunque. Ciò fa di “Federico il pazzo” un testo universale, che sconfina dai margini del Vesuvio regalando speranza e positività. Mentire per questioni di sopravvivenza, può capitare. Trovare poi il giusto equilibrio e la forza di affermare la propria individualità non capita, invece. Quello si chiama coraggio.
Consigliato a partire dagli 11 anni di età.
Superboy
C’è una cosa che mi ha divertito molto in questo libro: alcuni personaggi parlavano in napoletano stretto e Angelo ( che è il protagonista ) non riusciva a capire nulla. Il napoletano è una vera e propria lingua, più che un dialetto, come in molti altri dialetti riesce a spiegare una cosa meglio dell’italiano.
Ad esempio:
casa=ambiente conviviale in cui diverse persone interagiscono secondo le regole dettate dalla società.
casa= ‘ndo vivi ( questo è romanesco). Chiaro il concetto?
Quindi: Federico il pazzo è un libro molto divertente anche se parla di cose serie. Questa è una storia che può succedere in tutte le città, la differenza la fanno i personaggi e come sono scritti. La scrittura di Patrizia Rinaldi è una sorta di sfogo creativo, perché non è il solito concetto del “c’era una volta, in una scuola lontana lontana…” che trovi in quasi tutti i libri per ragazzi. Fortunatamente, adesso nei libri moderni di “c’era una volta…” ce ne sono meno.
Angelo è molto particolare: quando litigo con mamma o papà, allora io mi chiudo in camera. Angelo si chiude nel suo “galleggiamento solitario”. Però a un certo punto bisogna uscire da quella camera e affrontare i problemi. Lui ha molti problemi: cambia città, scuola e amici e non sa come comportarsi. La nuova casa in cui vive solo con la mamma è meno accogliente e Napoli non è come gliela raccontava sua madre, perché lei forse se la ricordava diversa.
Un ragazzino che cambia città, la prima cosa che cerca sono amici. Ma non è facile, soprattutto se il quartiere è malfamato. I nuovi comportamenti lui non li capisce, addirittura deve dire le bugie. Queste cose gliele spiega Mimmo, che è più grande di lui e più esperto. Invece Giusy è più coraggiosa, da grande vuole fare la meccanica e ha paura dei bulli, ma il giusto. Federico in realtà si chiama Francesco e anche lui è chiuso in una stanza che non è vera. Lui fa così solo per difendersi dai bulli, perché pensano che sia uno stupido e non vale la pena neppure prendersela con lui. Dicono addirittura che è pazzo.
Invece Federico/Francesco non è matto per niente, diventa matto per esigenza. Pure questa è, in un certo senso una bugia. La cosa bella è che alla fine Angelo non vuole più dire le bugie o nascondersi e diventa Capa di ferro. Cioè, lo ammazzano quasi di botte ma ha la testa dura. E’ stato molto coraggioso, ma perché ha visto che intorno a lui non sono tutti bulli ma c’è chi ama i libri, che sono libertà, come Federico. Vede Giusy che vuole studiare, non è come tutte le altre ragazze gné gné ( aiuto! Mi si è rotta un’unghia ) e di ragazze che non pensano solo alle unghie ce ne sono molte, ma pensi sempre alle donne come te le raccontano dai tempi di Carlo Magno. E te le raccontano male.
Angelo vede anche molti suoi compagni di classe che lo ammirano, perché dopo il pestaggio lui non si nasconde, ma ha il coraggio di tornare a scuola.
In classe di Angelo, un ragazzo piccolino ma molto coraggioso, faceva i discorsi mettendosi in piedi su una sedia. Lo prendevano in giro, tipo così: “Attento a non cadere! Sei accusì corto che se cadi va a finire che muori con una coltellata di una punessa!” ( puntina da disegno ).
Quando Angelo ritorna, questo ragazzino inizia un discorso sempre in piedi sulla sedia: “Parlo a nome di tutta la classe. Noi ci siamo comportati da infami, perché tre contro uno è da infami. Ma ci siamo messi paura di levarti da sotto a Capa Gialla e abbiamo sbagliato. Perciò d’ora in poi se ti trovi un’altra volta sotto, non avere paura che ti leviamo noi. Ho finito.” E altri prendono le sue difese, persino le ragazzine che si truccano al primo banco.
Questo significa che Angelo è stato coraggioso e ha dato coraggio anche agli altri.
Lo consiglio a partire dagli 11 anni circa di età.
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