Fecondazione assistita: ora la possibilità di non riconoscere il figlio

E’ stato recentemente approvato un emendamento alla legge n.40/2004 che regola la fecondazione assistita in Italia, secondo il quale è estesa anche alle donne che hanno usufruito della fecondazione assistita la possibilità di non riconoscere il figlio alla nascita.

Per qualsiasi donna questo diritto è sancito dall’art.30 del DPR n.396/2000, e nel sito del ministero della Salute si può leggere una chiara spiegazione dei motivi di questa norma e delle sue applicazioni, con tanto di linee guida sull’atteggiamento che deve essere tenuto dai sanitari nelle strutture ospedaliere (“senza giudizi colpevolizzanti ma con interventi adeguati ed efficaci, per assicurare – anche dopo la dimissione – che il parto resti in anonimato”).
E’ considerata una norma a tutela della “maternità responsabile” e tesa a combattere gli “abbandoni traumatici” di neonati.

Tra i tanti articoli apparsi, per chiarire i termini della questione, linko questo de La Stampa, perché meramente informativo e nel quale non si esprime alcun giudizio, limitandosi a riportare sinteticamente le opinioni di alcuni rappresentanti politici.
Nel web e sulla stampa c’è stato un ampio coro di voci sdegnate nei confronti dell’estensione di questo diritto anche alle madri che hanno fatto tanto per avere un figlio. Come si concilia il mancato riconoscimento del figlio con una maternità tanto desiderata da indurre alla fatica del lungo iter della fecondazione assistita?

Partiamo da un dato tanto semplice e scontato quanto necessario come premessa: il riconoscimento di un diritto non fa sì che il contenuto di quel diritto si verifichi.
Se una donna arriva ad essere madre con la fecondazione assistita, perché dovrebbe essere una madre “diversa”? Perché il principio di parità e uguaglianza suscita perplessità?
Questo emendamento fa sì che un diritto garantito dal nostro ordinamento non sia escluso per alcuni soggetti, nel rispetto del principio costituzionale di uguaglianza (art. 3 Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.“).
Del resto una donna, o meglio una coppia, che si sottopone a tutta la trafila per la fecondazione assistita, con tanto di pesanti dosaggi ormonali, difficilmente poi non riconoscerà il figlio per un “capriccio”, o per un ripensamento improvviso.
Questa norma serve a evitare che esistano due tipi di maternità e a sancire che la maternità è uguale per tutte le donne.
Semplice no?

No, non è così semplice. Non è semplice in Italia, perché da noi, come è noto, sono vietate alcune pratiche come la fecondazione assistita eterologa e il così detto “affitto dell’utero”.
Questa norma potrebbe consentire un aggiramento del divieto: una donna che si presta ad “affittare l’utero”, potrebbe semplicemente fingere di essere in coppia con il padre (o un padre, in caso di coppia gay) del futuro bambino, procedere alla fecondazione artificiale e poi, al momento della nascita, non riconoscere il figlio. Il bambino sarebbe riconosciuto solo dal padre, che ovviamente lo crescerebbe con la “vera” madre o con l’altro padre, sua/o reale compagna/o.

Ma allora, il vero dubbio è quale domanda porsi: questo emendamento che permette di non riconoscere il bambino alla madre “da fivet” è accettabile? Oppure: il divieto di fecondazione eterologa e affitto dell’utero è accettabile?
Il timore che un diritto generi abuso è sempre presente nella nostra mentalità e spesso lo è anche nella mente del legislatore, che finisce per concepire norme complicatissime perché tese ad arginare e anticipare tutte le possibili violazioni ipotizzabili al momento dell’emanazione.
Sì, questa norma potrebbe generare un suo uso distorto, teso ad aggirare i divieti presenti nel nostro Paese. Così come fin’ora sono stati aggirati andando a concepire all’estero.
E questa norma potrebbe anche creare un “mercato” di uteri in affitto, spingendo giovani donne a mettersi a disposizione, per denaro, delle coppie che non possono avere figli.
Se questo sia successo nei Paesi dove è consentito l’affitto dell’utero sarà sempre difficile stabilirlo: chi può indagare sulle motivazioni di una donna che decide di mettere a disposizioni di altri la sua gravidanza?

Di sicuro ci sono molti motivi psicologici e anche pratici che possono creare il bisogno di dare un figlio in adozione. Motivi che possono sopraggiungere a gravidanza inoltrata, o, addirittura, essere creati dalla stessa tribolazione di sottoporsi a una fivet, che potrebbe generarne di nuovi e pregnanti.
Se è un diritto per tutte le madri essere ascoltate in questo grido, perché non può esserlo per le madri fivet?

In realtà, la preclusione per le donne che si sono sottoposte a una fecondazione assistita del diritto di cui all’art.30 del DPR n.396/2000, nel nostro ordinamento presentava semplicemente profili di incostituzionalità. L’emendamento è semplicemente doveroso per motivi giuridici, prima che etici o morali: la legge n.40/2004, senza quell’emendamento è contraria a una norma fondamentale dell’ordinamento (il principio di uguaglianza costituzionale). E’ una modifica tecnica, prima che ideologica.
Se questa incostituzionalità non è mai stata rilevata fin’ora, è proprio perché non ci sono stati casi concreti di donne che, dopo una fivet, abbiano chiesto di non riconoscere i figli. A dimostrazione che l’allarme per i facili ripensamenti è decisamente esagerato.

Questa modifica, però, resta un provvedimento tronco. Se la preoccupazione è che con questa norma si aggirino i divieti previsti nella legge 40, non sarà un chiaro sintomo che questa legge deve essere ripensata?

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13 thoughts on “Fecondazione assistita: ora la possibilità di non riconoscere il figlio”

  1. com’era la stroria che i figli naturali vengno equiparati a quelli legittimi, ma n on nelle parentele, nel senso che i cugini non sono cugini e i nonni non sono nonni? OT, ma visto che si è sollevata questa questione

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  2. @quasimamma, ti rispondi da sola 🙂 e’ giusto che tutti abbiano gli stessi diritti, punto. Sarebbe incostituzionale se non fosse cosi’. Anche, sarebbe incostituzionale dire che uno puo’ cambiare idea (magari anche chi ha avuto il figlio senza trattamenti lo desiderava tanto e ci si e’ “messa d’impegno”) mentre altri no. E lo dici anche tu che i trattamenti sono estenuanti, frustranti, faticosi… tutto cio’ a me sa di terreno fertile per far innestare meccanismi psicologici di varia natura e specie, anzi, direi che “a maggior ragione” queste mamme dovrebbero avere questo diritto esteso anche a loro (che poi non e’ un diritto che si “estende”, e’ una svista, la situazione che c’era prima, cui ora si e’ messo riparo)

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  3. Non so.. la cosa mi lascia perplessa.
    Per carità giusto che tutte le donne abbiano gli stessi diritti. Però non capisco perchè qualcuno, dopo estenuanti trattamenti (e per racconti di amiche che non ce l’hanno fatta so quanto può essere faticosa e frustrante una fecondazione)debba decidere di non volere il figlio. Voglio dire non ti è “capitato” di restare incinta. Vi ci siete messi parecchio d’impegno. E poi, perchè il padre dovrebbe potere? Adesso non so di preciso burocraticamente come funzioni ma ritengo ti facciano firmare carte su carte per una cosa del genere.. al padre no?
    E infine sì, a me sembra tanto un “dare il permesso” per fare quello che in Italia stupidamente non si può. Vedi fecondazioane eterologa e utero in affitto.

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  4. @Barbara scusa ma non trovo la notizia, leggo solo che manca poco alla cancellazione di questa assurda distinzione, articoli (ottobre 2012).

    @Silvia attendo il tuo post, allora.

    grazie!

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  5. @Barbara, @Giovanna, al più presto scriverò anche su questo, anche perchè comporta delle modifiche a vecchi post. Grazie di avermelo ricordato!

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  6. @Giovanna qualche settimana fa è caduta anche la dicitura “figli naturali” e tutti i diritti dei figli nati nel matrimonio sono stati allargati anche a quelli nati fuori. Non ci sono più distinzioni, per fortuna e finalmente.

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  7. Io all’inizio leggendo la notizia, devo ammettere di aver storto il naso, proprio perchè considero assurda la legge 40 (medievale forse è un aggettivo più calzante) e stare ad emendarla invece di provare a cambiarla per renderla più moderna mi sembra una perdita di tempo.

    Inoltre nella nostra legislazione c’è gia la distinzione tra bambini di serie a e bambini di serie b che non viene risanata. I bambini nati fuori da matrimonio sono “figli naturali” (negli anni ’70 si è cambiato in naturale il termine illeggittimo) quelli nati nel matrimonio sono “figli leggittimi”. Io trovo questa distinzione a dir poco odiosa e in pieno contrasto con la Costituzione.

    Poi ragionando con calma mi sono detta anche io. Estendere i diritti non è mai un male, quindi ben venga questa estensione!

    Ottimo articolo Silvia!

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  8. Ottimo articolo Silvia!
    Non sapevo nulla di questa cosa, e tantomeno dei possibili raggiri alle norme in fatto di ‘utero in affitto’.
    Mi sembra che si stia proprio a guardare il pelo nell’uovo per non garantire diritti alle persone (che poi, se anche fosse che una donna facesse questi raggiri, io non potrei che sorriderne sotto i baffi).

    Che poi, appunto, chi puo’ sapere se una donna ha fatto la pma o no, al momento del parto?
    Noi l’abbiamo detto che era frutto di eterologa (e per fortuna non ci sono leggi contro chi lo dice, oltre alle leggi contro i gninecologi che mandano all’estero!), ma avremmo potuto benissimo tenercela per noi questa cosa…

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  9. concordo con te al 100%. é la cosa che cerco di spiegare sempre quando si parla di fecondazione assistita, di aborto, eutanasia, matrimoni gay e altri temi così delicati che parlarne senza conoscerli appieno e senza aver vissuto situazioni del genere è sempre un rischio. ma io sono convinta che l’estensione di un diritto a chi non ce l’ha, non significa che poi tutti lo debbano usare per forza o che vengano ridotti i diritti di chi li ha già (per dire, se i gay si potessero sposare, cosa cambierebbe per le coppie etero? non sarebbe più valido il loro matrimonio?)

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  10. trovo semplicemente giusto l’emendamento, e di più anche ,perchè la possibilità di non riconoscere un figlio nasce prima di tutto anche per la prevenzione dell’infanticidio e dell’abbandono nel cassonetto dell’immondizia. In fondo non è che anche un diritto alla vita del bambino…sarebbe assurdo che i bambini nati da fecondazione assistita venissero considerati bambini di serie B.

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  11. E’ bello vedere hce ogni riflessione genera altre domande, altri problemi… 🙂
    Sono di nuovo d’accordo con te: la pma in Italia è un compromesso orrendo fra parti talmente lontane fra loro che non poteva certamente uscirne nulla di decente.

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  12. Si, Barbara, il padre può comunque non riconoscere, anche perché è la donna che si sottopone alla fivet, non la coppia (ma allora come far restare in piedi in via di logica il divieto di fecondazione eterologa?!), quindi il padre è tale quando riconosce o secondo le regole normali valide per le coppie sposate (presunzione di riconoscimento, salvo disconoscimento).
    Certo poi che è impossibile “riconoscere” la madre che è diventata tale per fivet o meno nel momento del parto. Fin’ora però un eventuale richiesta per la madre di rimanere anonima al momento del parto, poteva essere disattesa. Del resto, poi, la coppia che si sottopone a fecondazione assistita è seguita da strutture mediche per tutto l’iter della gravidanza.
    Insomma, sono queste domande, con le loro risposte traballanti a dimostrare che la legge 40 è retta su una volontà “cerchiobottista” di accontentare chi una legge sulla p.m.a. non la voleva in Italia.

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  13. Sono d’accordo con te al 1000%, Silvia. Certe volte il nostro bisogno (mania?) di controllare i possibili aggiramenti a una norma finisce per ledere il diritto di alcuni rispetto agli altri, e questo per fortuna non è costituzionalmente accettabile. In questo caso in modo lampante, in altri meno e ci troviamo ancora con norme profondamente lesive di alcuni diritti civili.
    Faccio un’ulteriore riflessione, forse un pò provocatoria: io vedo la nostra normativa ancora piuttosto indietro nel riconoscimento della genitorialità paritaria fra uomini (padri) e donne (madri), e questo non mi piace. Voglio dire, il padre di un bambino nato con fecondazione assistita può non riconoscere il bambino una volta nato?
    Un’ultima domanda, forse stupida: ma come si fa a fare una distinzione fra madri “naturali” e madri fivet? Cioè, quando io vado in ospedale a partorire, mica mi chiedono come sia stato concepito il bambino…

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