“Poppular! Bii pop ular” canta Pollicino agitandosi come una rockstar nel salotto.
“AI- WILL-BIII-POPULAR” lo corregge il Vikingo, e aggiunge “my body wants you girl”
Lo ammetto è inquietante avere un cinquenne e un duenne che cantano canzoni dell’idolo svedese Eric Saade, ovviamente senza capire nulla di quello che stanno dicendo.
Pollicino all’età di 2 anni e 2 mesi ha finalmente iniziato a parlare. E’ successo tutto alla chiusura dell’asilo. Lui ha iniziato ad andare al nido svedese lo scorso agosto, all’età di 16 mesi. Fino a quel momento aveva sostanzialmente sentito parlare solo italiano a casa, se si escludono i contatti fuori casa con amici vari. Non diceva molto, ma quelle poche parole chiave tipo ka, kaka, e kakaka potevamo darle per assodate 😉
Iniziato l’asilo siamo entrati nella fase di immobilità linguistica, che ben conosciamo dall’esperienza del primogenito, di cui vi ho parlato qui: quando i bambini ritardano a parlare. Di fatto il suo vocabolario è aumentato con una lentezza snervante durante l’anno, arrivando ad una manciata di vocaboli misti tra le due lingue, italiano e svedese, verso la fine dell’anno, nonostante l’impegno attivo nell’aiutarlo a parlare.
Sia per il Vikingo che per Pollicino lo sblocco è avvenuto in estate, e io mi sono convinta, magari anche a torto, che la differenza l’ha fatta il potersi finalmente concentrare su un’unica lingua. Anche Il Vikingo infatti ha fatto lo stesso salto in luglio, quando aveva 2 anni e mezzo, e abbiamo visitato l’Italia per le vacanze estive. Solo che il Vikingo ha iniziato direttamente con frasi intere, e non vi dico la sensazione di avere un figlio che fino a pochi giorni prima comunicava a gesti, e usava poche parole singole, e improvvisamente inizia a raccontarvi storie! Pollicino, forse perché è un po’ più piccolo ha iniziato con parole singole, ma si sta giù avviando verso conversazioni più impegnative. Io so solo che sentirlo parlare è uno spettacolo. Quasi ogni cosa che dice o prova a dire ci fa piegare in due dalle risate (ma cerchiamo di darci un contegno per evitare di trasformarlo nel buffone di corte).
Per noi, famiglia italiana all’estero, l’estate è il momento della lingua italiana, sia perché è la lingua che parliamo naturalmente in famiglia, sia perché è sempre previsto qualche viaggio in terra italica, o/e qualche visita di nonni o cugini in terra svedese.
Il Vikingo infatti ogni estate dimentica lo svedese. Ed ogni autunno, all’inizio dell’asilo passa qualche settimana prima di riprendere controllo e ricordarsi di rispondere in svedese ai suoi compagni. Ovviamente non è che lo dimentica del tutto, ma perde quella spontaneità che aveva acquisito prima dell’estate, e fatica i primi tempi a riprendere il ritmo, infilando qualche parola italiana casualmente nella conversazione in svedese. Non so se questo sia normale o diffuso per bambini con il nostro tipo di bilinguismo o se è una sua caratteristica. E qui per nostro tipo di bilinguismo intendo che loro vivono in due mondi totalmente separati, quello a casa con lingua e cultura (e cibo!) italiani, e quello fuori casa in svedese. La separazione tra i due mondi è così netta che il Vikingo questa primavera mi ha chiesto come si dice cena in svedese. Inizialmente sono rimasta un po’ sorpresa, e stavo per far partire tutto il macchinario di ansia e preoccupazione per il suo bilinguismo, quando ho riflettuto sul fatto che in effetti, la cena non si mangia all’asilo e quindi non gli deve essere capitato spesso di sentirlo dire in svedese. Certo è che il vocabolario del Vikingo in ciascuna delle due lingue in confronto ai suoi coetanei monolingua è più limitato, c’è poco da fare, anche se forse sommando il numero di parole che conosce in ciascuna delle due lingue arriviamo al pareggio. E’ normale, lo so, ma a tratti mi preoccupo.
In vista dell’inizio della scuola del Vikingo, quest’anno stiamo facendo degli sforzi per mantenere attiva la lingua svedese anche durante l’estate. Le vacanze le abbiamo frammezzate tra Italia e Svezia, e cerchiamo di incontrare amichetti svedesi, leggere libri e guardare film in svedese, nella speranza di arrivare all’inizio della scuola un po’ più tranquilli.
Ora però, ammesso che ogni bambino è diverso, e ammesso che io in quanto madre tenderò sempre a preoccuparmi più del necessario, mi raccontate la vostra esperienza di bilinguismo? magari conoscere altri casi aiuta a tranquillizzarmi.
Come ho potuto perdermi questo post…?
Come?
Forse ero troppo rilassata?
Comunque hai centrato il punto “sommando il numero di parole che conosce in ciascuna delle due lingue arriviamo al pareggio”.
Letizia
Prima di tutto complimenti per il sito, l’ho appena scoperto!
Il nostro Italo Svevo (mamma italiana, papá svedese, viviamo in Svezia)ha 17 mesi ed é in un momento di esplosione linguistica, impara a pronunciare e usare nuove parole ogni giorno in questo periodo. Io e mio marito siamo stati (mio marito lo é tutt’ora) a casa in congedo parentale in egual misurae per ora sembra che la sua comprensione delle due lingue proceda senza grandi differenze. A livello produttivo abbiamo notato che spesso viene scelta semplicemente la parola che é piú facile da pronunciare: “pappa” in italiano e “tack” (grazie) in svedese, “nonna” e “nalle” (orsacchiotto). Comincierá ad andare al nido tra due mesi e ci aspettiamo grandi cambiamenti a livello linguistico, anceh se io temo un po’ che lo svedese prenderá presto il sopravvento. Intanto ci divertiamo un sacco a scoprire la nuova parola del giorno. Oggi é in campagna con papá e ha ovviamente iniziato a dire “traktorn”! 🙂
Riciao Serena,
conosci già questo mattone? 😉
http://unesdoc.unesco.org/images/0018/001869/186961e.pdf
L’ho scorso velocemente ma credo che ci siano dei riferimenti alle pubblicazioni scientifiche che hanno studiato la relazione tra apprendimento formale della lingua madre, e acquisizione della seconda lingua.
Insomma sono io l’unica residente in Svezia che non sa come suona la canzone di Saade?
Il nostro treenne, avendo solo me come riferimento per la lingua italiana (il papá é svedese), quando la parla la usa sempre inframezzata e supportata dallo svedese.
Abitando in una cittadina del nord i contatti con altri italiani sono sporadici per non dire nulli, per cui ho fatto richiesta dell’ora di italiano all’asilo, sempreché ci sia un insegnante, e a casa cerco di avere libri, DVD e video nella mia madrelingua.
Noi andiamo giú in italia una volta all’anno, e ogni volta vedo che lo aiuta molto nell’uso dell’italiano, perché laggiú non ha alternative. Quest’anno ha iniziato ad avere coscienza che sono due lingue diverse, e ho notato per la prima volta che riesce ad usare l’italiano con persone, diverse da me, che lo parlino (prima si rivolgeva esclusivamente in svedese a chiunque non fosse me).
Un altro fatto curioso dopo le nostre visite nello stivale, é che lui diventa molto piú loquace, anche in svedese.
Attualmente noto che, rispetto ad altri coetanei, presenta uan grammatica leggermente piú grezza, in entrambe le lingue. Sul vocabolario mi pare di non vedere molte differenze.
Ad ogni modo, é un bambino molto loquace e si fa capire benissimo, per affinare grammatica e vocabolario ha ancora molti anni davanti, e ad ogni modo sono contenta di vedere che non ha rifiutato la lingua di minoranza, come talvolta succede presso altri bambini.
Serena, non so quale sia il meccanismo, ma e’ provato che una buona conoscenza della lingua madre porta un miglioramento della conoscenza della seconda lingua. E’ proprio per questo che i nostri rispettivi governi cercano di favorire l’insegnamento della lingua madre.
Il problema è che nel nostro comune la presenza italiana è molto scarsa, rischierebbe di diventare un problema logistico con spostamento in altra scuola e una classe sicuramente formata da bambini di età le più disparate. Il “contorno” di cui parli interessa anche me e lo ritengo fondamentale; spero che nasca qualche iniziativa con il club italiano di Lund ed un gruppo di famiglie che conosco e che hanno gli stessi bisogni/interessi linguistici e culturali.
@Serena se e’ il rallentamento futuro che ti preoccupa, allora sta super-tranquilla, con la scuola sono sicura che non ci saranno problemi, ho visto talmente tanti bimbi arrivare qui in scuola gia’ grandi, e finire per parlare in slang con l’accento locale in capo all’anno :-))
si comunque, usiamo l’inglese (specie io devo dire) senza problemi e senza troppe paturnie, anche se a volte non mi viene bene, all’inizio perche’ comunque in casa parlavamo un italiano misto e spurio, poi perche’ volevo, come dire, entrare di piu’ nel loro mondo (vedrai che quando inizieranno a confidarsi davvero e’ molto probabile che cio’ avvenga nella lingua scolastica): le chiacchierate che ci facciamo a letto la sera sui massimi sistemi sono in inglese spesso e volentieri, se per loro quella e’ la lingua in cui si sentono piu’ a loro agio non voglio metterli in difficolta’ o peggio limitare le loro confidenze perche’ devono passare per l’italiano.
A me interessa molto il tema “scrittura nella lingua debole”, finora l’abbiamo solo menzionato di striscio, probabilmente vista l’età dei nostri bambini.
Io vorrei far fare a mia figlia la scuola di italiano. In Germania ogni bambino ha diritto ad avere delle lezioni nella sua seconda lingua madre, e fin qui tutto fantastico. Senonché nessuno ti garantisce che queste lezioni siano effettivamente nella scuola che il bambino già frequenta. Già mi vedo a fare Mamataxi per una cosa che sicuramente a un certo punto mia figlia odierà :/
Forse dei corsi di italiano in estate? (così mi riporto in tema 😉 )
Grazie a tutte per l’incoraggiamento. Io però sembro avere il problema opposto. Se l’italiano fosse la lingua debole non mi preoccuperei più di tanto. ma la lingua debole per qualche oscuro motivo, resta lo svedese. Questo è quello che mi preoccupa di più. Lo so che prima o poi avverrà il cambio, e che lo svedese prenderà il sopravvento. Ho solo paura che questo rallentamento iniziale possa avere conseguenze a livello scolastico e a livello sociale. Per la scrittura in italiano non mi sono ancora posta il problema, vista la situazione, ma so che una delle associazioni di italiani a Stoccolma organizza incontri in italiano il fine settimana, in cui si gioca in italiano, e a seconda dell’età si gioca anche con la scrittura e la lettura.
@supermambanana ma voi quindi gli parlate indifferentemente le due lingue? Noi invece parliamo solo italiano a casa, e l’unica eccezione è la lettura di libri in svedese, oltre a DVD. Non vorrei parlargli in svedese, perché non lo sento mio, e mi sembra già molto strano quando lo faccio in presenza di ospiti.
@Melanele lo svedese ha la grammatica simile all’inglese, e il vocabolario di una lingua parlata da solo 9 milioni di persone. Insomma, non la considererei la lingua più difficile del mondo, anche se ha una pronuncia per alcuni suoni un po’ ostica, ma nulla di trascendentale. Io l’ho imparata in loco.
Comunque il mio livello di svedese è molto lontano dalla perfezione, e nonostante io sia in grado di sostenere una conversazione e di leggere giornali e libri, non lo ritengo adeguato al numero di anni che ho vissuto in questo paese.
A mia discolpa dico che siccome parlano tutti perfettamente inglese, diventa quasi impossibile esercitarla, a meno di pretendere di non parlare inglese (come ho fatto io!) 😉
Close mi sa che il problema della ragazzina è che sapeva un qualche dialetto della Francia, non il francese, e però gliel’avevano spacciato per francese.
Adesso non so l’altoatesino come si ponga rispetto all’hochdeutsch (alto tedesco). Anche se per farsi capire ad Amburgo magari tua figlia dovrà lavorarci su un po’, avrà comunque una buona base da cui partire no?
Se non sei sicura che l’eventuale babysitter parli hochdeutsch, allora vai di DVD e bona lì. Ti consiglio quelli del Topo, per cominciare e visto che tua figlia è ancora piccola (Die Maus, uno dei pilastri della cultura tedesca 😀 )
non so close, io non credo che faccia “danni”, anche se la costruzione era chiaramente sbagliata, lei sapeva a senso spiegare che voleva dire, questo e’ moltissimo secondo me – possedeva un certo lessico insomma, aveva orecchio (immagino) per ascoltare un madrelingua, insomma se avesse voluto iniziare uno studio formale si sarebbe almeno trovata con mezzo lavoro fatto. L’orecchio, ad esempio, e’ quello che manca a TUTTI i ragazzi italiani che vengono a studiare da noi: con la grammatica se la cavano bene, ma sulla conversazione sono persi, mentre per esempio i ragazzi che vengono da paesi in cui non si doppiano i film, per dire, potranno anche esser in difficolta’ nello scrivere, ma sono immediatamente immersi nel mondo reale.
Scusate è sparita la citazione della ragazzina (???)
La seguivo per tutte le materie, poi quando siamo arrivate al capitolo ‘francese’ lei mi ha detto:
“Ah io il francese lo so perché ho i nonni francesi e vado in vacanza da loro d’estate”
E diceva frasi tipo “Moi sa la montre” per dire “Je sais quelle heure il est” (“me sa l’orologio” per “so che ore sono”).
Ripeto:
non avevo assolutamente le competenze per ‘smontare’ un apprendimento linguistico di quel tipo salvo correggerla dall’inizio alla fine, ma è impossibile! Più avanti ho visto altri ragazzi mitizzare la loro conoscenza dell’inglese perché “avevano avuto la baby-sitter inglese”, e anche lì uscivano degli spropositi.
Insomma non so, mi domando se il bilinguismo abbozzato non possa fare più “”danni”” (doppie virgolette) che non un bel corso di lingua da grandi.
Voi che ne pensate?
@ Claudia
Diciamo che mi pongo il problema di un bilinguismo “abbozzato” perché mi è capitato di dare ripetizioni ad una ragazzina di 11 anni.
La seguivo per tutte le materie, poi quando siamo arrivate al capitolo ‘francese’ lei mi ha detto:
Ok e quindi? Diceva frasi tipo “Moi sa la montre” per dire “Je sais quelle heure il est” (“me sa l’orologio” per “so che ore sono”).
Non avevo assolutamente le competenze per ‘smontare’ un apprendimento linguistico di quel tipo salvo correggerla dall’inizio alla fine, ma è impossibile!
Più avanti ho visto altri ragazzi mitizzare la loro conoscenza dell’inglese perché “avevano avuto la baby-sitter inglese”, e anche lì uscivano degli spropositi.
Insomma non so, mi domando se il bilinguismo abbozzato non possa fare più “”danni”” (doppie virgolette) che non un bel corso di lingua da grandi.
Voi che ne pensate?
eccomi qui all’appello pure io. Noi siamo entrambi italiani, ma viviamo in Inghilterra (e prima in Scozia) dal ’96. Abbiamo avuto Boy-One nel 2004. Specifico perche’ vorrei far presente che anche se entrambi italiani, la lunga permanenza anche pre-boys ha significato che l’inglese e stato sempre piu’ presente nelle nostre conversazioni, specie lavorative, visto che entrambi abbiamo sempre lavorato “in inglese”.
E infatti e’ proprio quando sono nati i bambini che ci siamo posti il problema di cercare di mantenere un italiano piu’ “pulito” a loro beneficio. In ogni caso, l’approccio e’ stato sempre super-rilassato: non abbiamo mai preteso ne’ l’una ne’ l’altra lingua in casa, se chiedo qualcosa in italiano e rispondono in inglese non fa nulla. A volte quando sono stanca anche io parlo loro in inglese direttamente, che infognarsi in una costruzione italiana arditissima non e’ cosa da fare la sera per dire 🙂 La favola della buona notte puo’ essere italiana o inglese – e anzi visto che abbiamo piu’ (o meglio, esistono di piu’ secondo me, ma e’ un’opinione personale) libri per bambini “belli” in inglese che in italiano, la proporzione inglese/italiano direi che si assesta sul 70/30 per cento.
Sono entrambi andati al nido verso l’anno di vita, quindi il loro apprendimento della lingua e’ stato “bi” da prestissimo, e questo vuol dire che se c’e’ una lingua fra le due di cui non mi devo preoccupare e’ proprio l’inglese, al massimo era l’italiano che all’inizio non veniva fuori. Per entrambi i boys sono servite le estati, ma non tanto le estati con i nonni, quando le estati, una volta piu’ grandi, in cui si son dovuti trovare a giocare (e quindi a contrattare per esempio i giocattoli) con i bimbi italiani: l’italiano e’ venuto fuori quasi di getto, tutto in una volta, che ti fa capire che stava da qualche parte e aveva solo bisogno di esser tirato fuori. Comunque l’inglese e’ la loro lingua primaria, si sente: anche in Italia, quando sono stanchi, passano automaticamente all’inglese, e fra loro giocano in inglese (e parlano nel sonno in inglese), se ci provano in italiano, magari perche’ siamo in italia e si coinvolgono da soli, si vede pero’ che non sono altrettanto fluidi e veloci, e dopo un po’ tornano indietro.
Insomma l’Italiano direi che ci sta ma non perfetto, non rispetto ai loro coetanei italiani, ma l’importante e’ sapersi destreggiare. L’inglese non saprei, le insegnanti dicono che sono equivalenti agli altri monolingua, che poi i miei poi per fortuna (e grazie anche all’impostazione scolastica inglese) sono divoratori di libri, quindi il lessico lo costruiscono anche cosi’.
Il problema successivo che forse per te, Serena, e’ ancora prematuro e’ quello di se cominciare a far fare loro uno studio piu’ “formale” dell’Italiano, che parlarlo e’ un conto, scriverlo (capire se ci vuole l’accento, l’acca, l’apostrofo, e cose del genere) un altro. Non so, non mi so decidere – da un lato penso che un bilinguismo “proprio” sia auspicabile, non tanto perche’ voglio che imparino per forza l’italiano, ma proprio per le capacita’ cognitive (a parte il linguaggio in se’) che pare il bilinguismo dia. Dall’altro non mi ci vedo molto a insegnare il trapassato remoto e l’analisi grammaticale 🙂 Boh, se metton su dei corsi pro-expat ci pensero’.
E a proposito… I will be popular è stato per mesi un tormentone a casa nostra, da non farcela più! Solo che Orlando si rende conto di quello che canta, infatti alla strofa “my body wants you girl” abbassa sempre la voce in modo mezzo imbarazzato – ok, non che capisca il significato sessuale della cosa, ma deve avere una sfuocata percezione di un qualcosa. La sorella invece continua a strombazzarla a 10.000 decibel, ignara di tutto. 🙂