Di creatività, uova verdi, e biglietti per Silicon Valley

L’altra sera la supermambanana family si è, inusitatamente per un lunedì, sistemata sul divano per una televisionata: complice il fatto che il Mister deve insegnare qualcosa sul tema il prossimo semestre, ci siamo visti un programma che avevamo registrato su Mark Zuckerberg, il signor Facebook (che ho trovato molto interessante, se vi capita di scovarlo da qualche parte è questo qui).

Ora, non voglio parlare del programma nella fattispecie, e certamente nemmeno dell’antropologia di FB, e neanche in fondo di lui, Mark, anche se con orgoglio-nerd devo dire che lo stile che traspariva dall’intervista mi piace molto, l’understatement come forma di vita, il suo essere in fondo pochissimo attaccato alle “cose” come oggetto (non che non abbia i miliardi, ci mancherebbe, ma non è, pare, il tipo da macchinone, villazzona, yacht, vestiti firmati eccetera, tutte cose che hanno un bassissimo tasso di apprezzabilità nella nerd-community, e il fatto che lui non possa star facendo come la volpe con l’uva in un certo senso rinforza lo stereotipo con molta soddisfazione dei due adulti seduti sul divano di casa).

No, comunque, quello che mi aveva colpito l’altra sera, e che poi ci ha fatto proseguire la discussione col Mister in macchina la mattina dopo, era la questione creatività e come assecondare il talento.  Tre episodi in particolare. Il primo: secondo il suo professore di computer science ad Harvard (lo stesso che ha insegnato a Bill Gates), Mark era un tipo affamato di sapere, ma scettico sul fatto che quello che gli veniva insegnato fosse in realtà la cosa giusta per lui (la stessa attitudine di Gates, dice il prof), non per strafottenza, ma proprio perché, sia lui sia Gates, avevano un’idea precisa di quello che volevano imparare, quindi erano lì assorbendo tutto quel che c’era da assorbire ma non prestando attenzione a quello che veniva insegnato allo stesso tempo. Il secondo: Mark stava seguendo un programma combinato (computer science e psicologia) ed era proprio questo che lo interessava, e da dove l’idea era partita, questo vedere il tutto SIA come geek SIA come psicologo, il prof di cui sopra diceva che il genio è anche prendere due materie diverse, giocarci e passare molto tempo ad essere creativi con questo gioco. Lo stesso Mark raccontava con entusiasmo di questa vita da studente (19 anni) e di discussioni intorno ad una pizza su una visione di un futuro in cui il mondo potesse avere una conversazione condivisa globale. E il terzo: uno di questi amici intorno alla pizza, il compagno di stanza in college, cui Mark aveva proposto di esser parte del progetto e co-fondatore di facebook, aveva declinato l’offerta, seguendo il consiglio di suo papà (un professor a sua volta) che era preoccupato da questi progetti non ben definiti. Mark invece non sembra aver incontrato opposizione all’idea di lasciare l’università (non ha mai finito il corso) per dedicarsi a facebook.

Uniamo i puntini, tanto per citarne un altro.

Fantasia e creatività sono doti naturali probabilmente, ma vanno curate e accarezzate e annaffiate. Zuckenberg, dice la sua biografia, anche prima di entrare ad Harvard, parlava tante lingue, sapeva programmare fin da scuola, era appassionato di classici greci, sapeva a memoria l’Iliade, recitava, insomma ci siamo capiti. Se uno è curioso, lo è a tutto tondo. Ora la scuola avrà anche la sua importanza (conosco quelle UK, meno quelle US, ma immagino abbiano lo stesso approccio olistico allo sviluppo dell’individuo, tipo il nuoto è parte del curriculum come la storia e le arti). Ma il discorso con il Mister era: cosa si può e si deve (?) fare come genitori?

Ora, va detto subito a scanso di equivoci che noi non siamo affatto invischiati in mille attività extrascolastiche, anzi è piuttosto vero l’opposto, l’unica cosa che fanno in questo senso è il nuoto il sabato mattina, anche se la scuola fa molto. Però cerchiamo di “esporre” i boys a cose differenti. Non solo da piccoli, anzi magari meno da piccoli: leggo in questo mese post bellissimi di modi per sollecitare la fantasia nella prima infanzia o comunque negli anni prescolastici. Trovo però che poi spesso con l’inizio della suola si abbassi la guardia: tanto ci sta la scuola per imparare, e quando non sono a scuola si devono rilassare, no? Noi negli anni prescolastici con i boys abbiamo fatto “quanto basta” non ci siamo accaniti, ecco. Ora invece, a parte i viaggi di cui parlavo l’altra volta, cerchiamo di portarli a teatro, a concerti, non spesso come vorremmo, ma se capita, o anche solo cerchiamo di limitare la televisione (loro la vedono un paio d’ore a settimana, quando va bene, e certe settimane si salta tout court) e fare altro, leggere, giocare a cose diverse (tipo sudoku per dire), scrivere, suonare (il Mister conosce la musica, ci siamo procurati un piano, gratis con quei sistemi di riciclo dell’usato, e il Mister, che è un matematico e quindi preciso e pedissequo fino al parossismo, sta tenendo lezioni di piano in casa con una costanza invereconda), o se televisione sia, allora documentari o cose che li possano stimolare, anche se alle volte non interamente comprensibili ancora. Insomma, non so se rendo l’idea, non sono attività “formali”, con insegnanti esterni, ma sono “ganci” per cercare di stimolarli ma senza troppa pressione.

Il punto però è che tutto questo è buono e giusto, ma non è la chiave, o meno non solo. Io, e sono pronta a subire prese in giro sul mio essere ormai ammeregana, credo molto che la cosa importante è che loro siano coscienti che possono fare qualsiasi cosa. E intendo, qualsiasi. Non voglio essere un genitore che ha remore ad investire nella loro creatività, la mamma prof che dice al figlio di lasciar perdere i progetti folli di Zuckerberg. Che non significa avere aspettative alte, o essere invaghita tanto dei figli da vederli già stelle fulgide, non sono per niente la mamma Anna Magnani di Bellissima per dire, quasi l’opposto, chi mi conosce sa che son fondamentalmente cinica e molto pragmatica. Ma allo stesso tempo non voglio limitarmi a considerare solo possibilità vicine o concrete. Io non sono neanche lontanamente un genio, ma al contempo credo sia stato un peccato che, quando ho cominciato l’Università, non mi abbia sfiorato neanche il pensiero di osare, di, chenneso, partire da subito, andare ad Harvard pure io, perché no? Ho fatto scelte conservatrici tutto sommato, che probabilmente ripeterei anche col senno di poi, ma mi sarebbe piaciuto avere quel moto dello spirito, quell’avere anche Harvard sul piatto della bilancia, come possibilità remota ma concreta, non come “roba da film”. Ecco, ovviamente con uno sguardo serio alle risorse (che, oh, la crisi sta pure qua, eh?) io spero di stimolare i boys a mettere sulla bilancia tante cose, tantissime, le più possibili e diverse. Ci sono tante possibilità and yes, you can! L’importante diventa a questo punto avere la coscienza che le cose vanno fatte bene, non tanto per. Non parlo solo in termini accademici ovviamente, se vogliono (boy-one sembra molto portato) diventare chef, per dire, yes you can! E se vorranno un biglietto solo andata per Silicon Valley, beh, lo compriamo.

C’è un libro di Dr. Seuss, quello di Prosciutto e Uova Verdi (nonché dei personaggi Thing-one e Thing-two, da cui il nick dei due boys qui) che mi/ci piace molto, si chiama in inglese “Oh, The Places You’ll Go!”. Vi prego, ditemi che lo hanno tradotto in italiano, credo debba esser una lettura obbligatoria, per i bambini (e ragazzi) ma anche per i genitori (chi si vuole avventurare con l’inglese, il testo lo trova ad esempio qui, o meglio ancora recitato su youtube, ad esempio qui, con le immagini originali del libro). È una bellissima favola in versi sulla vita, parla delle difficoltà, dei momenti di solitudine (ché non è sempre tutto facile, eh? Guai a lasciare che i ragazzi credano questo), dei momenti di stallo, dove non sai dove andare e che fare, ma anche delle meraviglie che ci sono là fuori, delle cose mirabolanti da fare, dei posti fantastici dove andare, reali o metaforici. Adoro leggerlo come favola della sera, sono contenta quando lo chiedono, ma ancora oggi dopo anni la mia voce si incrina in un passaggio, verso la fine, quando dice “Kid, you’ll move mountains!”, tu muoverai montagne, non “potrai muovere” ma “le muoverai”! Ecco, se riesco, di tutte le cose, a trasmetter questo ai boys, divento un utente fisso di genitorimbroccano.

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9 thoughts on “Di creatività, uova verdi, e biglietti per Silicon Valley”

  1. Scena da Elizabeth The Golden Age: la regina e il suo consigliere stanno parlando di pretendenti alla mano di lei. Lui elenca una serie di principi europei, lei prosegue con l’imperatore della Cina e il sultano ottomano. Lui si risente: Ma io stavo parlando nell’ambito del possibile. E lei: Ecco, io trovo che l’impossibile sia molto più interessante.

    Il problema è trovare il coraggio per sostenere (e farci sostenere da) chi amiamo quando si tratta di saltare dal possibile all’impossibile.

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  2. Anche noi aggiungiamo alla Letterina questi titoli, grazie! La mia personale esperienza di figlia e docente mi suggerisce di aggiungere un’altra parola chiave ispiratrice: felicità. Che penso nasca anche dalla realizzazione di sè. E quindi prevede in un certo senso anche il yes you can, mentre forse il contrario non è sempre vero. Cosa ne pensate? Io ho una bambina piccolissima.. non so anora quanto sia realizzabile questo ‘progetto’:)

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  3. Completamente OT, ma devo dirlo: io AMO Dr Seuss!!
    La prima volta che sono entrata in una libreria in America ho visto i disegni e ho avuto una specie di epifania: io quei disegni li conoscevo. Poi cercando ho trovato The Lorax e ho pensato: io questo libro lo conosco. Dopo settimane di sonno disturbato e peripezie varie ho ricostruito che una mia compagna di seconda elementare lo aveva, e io lo avevo letto a casa sua.

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  4. @silvietta, ma noi ci proviamo, che ci stiamo a fare qua allora? 🙂

    @mammamsterdam, lo so che i genitori comunicano cio’ che sanno, non mi sento di incolpare nessuno per non proporre scelte di cui non si conosce l’esistenza (e’ nostro dovere informarsi anche su questo allora, con lo stesso accanimento con cui informiamo sulle malattie esantematiche? io direi di si, ma non posso parlare per tutti), ma, e mi ricollego al commento di @serena, l’educazione dell’inutilita’ e’ deleteria. In una cena alla famosa conferenza di cui parlavo l’altra volta, commensali internazionali, parlando di bambini, alcuni mi chiedevano se mi dispiacesse non far crescere i bimbi in Italia. Ho detto di no, non in questa Italia, e non era solo una questione della politica attuale. Alcuni degli italiani mi hanno guardata male, dicono che esageravo. Forse si, forse sono stata troppo draconiana, ma il “chi te lo fa fare?” e’ una delle piaghe pestilenziali del nostro paese, che non trovo in egual misura altrove, cioe’ la trovi magari in certi ambienti, per cultura o tradizione, ma non cosi’ spalmata a livello nazionale, vivere in un paese dove anche per lo scontrino al salumiere ti devi porre questa domanda, chi te lo fa fare, sinceramente mi pare uno sforzo cognitivo che non mi sento di imporre ai miei bambini. Ci sono molti altri sforzi che dovranno fare nel paese che mi ospita, non lo nego, vivo qui da troppo tempo per averne una visione idealistica, nel bene o nel male, ma almeno sullo scontrino si possono rilassare, ecco.

    @Alice, purtroppo temo la risposta sia no, ho fatto svariate gugolate, mi pare di capire che la Giunti ha iniziato a tradurre Dr. Seuss (se segui i link sopra trovi gli altri) ma non tutti, spero non _ancora_ tutti, e che arrivino man mano: sono dei libri specialissimi, Dr.Seuss e Roald Dahl secondo me sono tra gli autori piu’ importanti nella letteratura per ragazzi (e anche per noi) anche se Dr. Seuss devo ammettere e’ molto molto legato alla lingua, i giochi di parole sono molto difficili da tradurre senza far perdere l’ethos originale. Quest o libro comunque mi pare accessibile, speriamo bene…

    @jolesulprato: Out there things can happen, and frequently do, to people as brainy and footsy as you 🙂

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  5. “You have brains in your head.
    You have feet in your shoes.
    You can steer yourself
    any direction you choose.”
    Questo verso, ormai da parecchio è il sfondo del mio cellulare…ed è il mantra quotidiano non solo per me ma quello che voglio trasmettere ai miei figli…
    Purtroppo fino ad ora nessuno si è preso la briga di tradurlo in italiano 🙁

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  6. Riconosco un mucchio di cose, a me non si può certo dire che mi tengo in fatto di interessi e cose da fare, eppure, ecco, quando la figlia di amici dei miei mollò l’ università per diventare attrice, io forse mi sono scandalizzata più dei miei, ma sei scema, l’ università non si molla per una cosa aleatoria (infatti l’ attrice ho cominciato a farla molto dopo la laurea). Questa cosa di avere una specie di visione limitata delle possibilità che ho davanti, mi sa che la riconosco, mi chiedo se venga dall’ ambiente, i genitori in fondo incoraggiano nei figli quello che conoscono.
    (E da attrice ti dico che se davvero la voce ti si incrina a quel punto lì, credo che il messaggio passerà forte a chiaro. Però controlla con loro, fai il piacere.)

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    • Io sono cresciuta al ritmo di Yes you can! di mia madre, ma non sono certa che abbia funzionato. Forse perché ero immersa in una società in cui il messaggio era piuttosto “sei una sfigata! E’ pure inutile provarci perché tanto non ci riesce nessuno”. Una bella lotta insomma. E nemmeno io ho preso Harvard in considerazione, e chissà perché poi. Però sono d’accordo con te, se si riuscisse a far passare questo messaggio, mi riterrei decisamente soddisfatta. Ora controllo se quei libri esistono in svedese 🙂

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