Darsi degli obiettivi consente di sbandare meno?
Forse. Per lavoro ho aiutato molte associazioni a formulare progetti per ottenere finanziamenti e mi sono resa conto che ragionare per progetti aiuta a utilizzare con efficacia le proprie risorse, tempo compreso.
Come funziona, però, ragionare per progetti?
Esistono master e certificazioni professionali per scrivere, costruire e gestire progetti ed è una specializzazione che appartiene a diverse aree professionali, scientifiche, ingegneristiche e sociali: non tenterò perciò di raccontare tutto il complesso di tecniche e strumenti che servono per costruire e gestire un progetto ma vi racconterò una piccola parte di quanto utilizzo a volte nelle aule di formazione.
Da dove possiamo partire?
Di solito utilizzo le scene iniziali di un film di animazione molto noto, Kung Fu Panda.
Ci si ritrova immersi nel sogno di Po, un panda un po’ imbranato che adora l’arte marziale del Kung Fu, che vorrebbe tanto che di sé venisse detto: “La leggenda narra di un guerriero leggendario la cui abilità nel kung fu era materia di leggenda” … ma la sua storia non è affatto leggenda, anzi, il suo risveglio è piuttosto brusco. Non è che un sogno, nella realtà è grasso, grosso, piuttosto imbranato e il suo lavoro è aiutare il papà nel cucinare spaghetti per il ristorante di casa.
Possiamo pensare di iniziare un progetto se avvertiamo uno scarto tra la realtà in cui viviamo, in cui siamo immersi, in cui operiamo e la realtà che desideriamo, una realtà che consideriamo “migliore”.
Il progetto è il cambiamento che mettiamo in atto per passare dalla situazione in cui ci troviamo alla situazione “migliore”.
Parte, quindi, dal sogno, ma per metterlo in moto richiede un accorgimento fondamentale per l’uomo: una scadenza, una deadline, un tempo dedicato perché il cambiamento avvenga.
Che cosa intendiamo come situazione migliore?
A Po è chiaro: essere così bravo e stimato nel Kung Fu da ottenere il rispetto dei Cinque Cicloni.
A noi, è chiaro quando ci sentiamo allo sbando, ci lamentiamo o soffriamo una determinata situazione che cosa vorremmo cambiare?
Diceva Sun Tzu nell’arte della guerra: “ha perso chi non ha alternative”. Il trucco, allora, è quello di osservare la situazione da tutti i punti di vista fino a scoprire, fosse anche che siamo in fondo a un vicolo cieco, come possiamo creare una strada alternativa per uscirne – oppure, come arredarlo, se è qui che dobbiamo stare.
Non solo: più siamo precisi nell’identificare esattamente che cosa intendiamo come migliore più facile sarà costruire quelli che sono il fulcro della progettazione, ossia gli obiettivi con cui abbiamo iniziato. Un obiettivo ampio “essere in forma” non è un progetto, ma una proclamazione di intenti. Un obiettivo specifico invece catalizza il nostro tempo e il nostro sforzo ma soprattutto ci consente di scoprire quali sono i cambiamenti da mettere in atto, di quali strumenti abbiamo bisogno, che tempi aspettarci per il cambiamento. Pensiamo, per semplificare, alla costruzione di una casa e ai vari passaggi: fondamenta, intonaco, soletta, posa delle piastrelle o del parquet… ognuno di questi passaggi richiede tempo e risponde a un aspetto che è stato desiderato e immaginato per quella casa. Avrà uno o due piani? Quante stanze e quante finestre? Voglio le piastrelle o il parquet? Perché?
Sapere che dobbiamo porci tutte queste domande e rispondervi in prima persona ci aiuta a tenere a mente un aspetto fondamentale ossia che non si possono fare propri progetti scritti da altri. A ognuno spetta decidere i propri obiettivi.
Cambiare è faticoso e difficile
Who wants change? (chi vuole il cambiamento?) Chiedono in una vignetta … tutti alzano la mano
Who wants to change? (chi vuole cambiare?) … nessuno alza la mano
Abbiamo capito che cosa vorremmo migliorare, ce lo siamo descritti bene nella testa, ci siamo anche dati dei tempi ed ecco che qualcuno – o noi stessi – pronuncia la tipica frase “ma abbiamo sempre fatto così”
È il momento di rileggersi l’obiettivo e di capire con quanta passione lo desideriamo.
Ritengo, per mia personale esperienza, piuttosto inutile combattere l’affermazione con una serie di condizionali “ma dovrebbero capire, dovrebbe essere così, si dovrebbe”.
Pragmaticamente, apprezzo di più l’approccio: sono qui, ho deciso di andare lì, ho pensato che si possa fare passando da a, b e c quindi devo cambiare il modo in cui ho sempre fatto quella determinata cosa oppure trovare una strada alternativa.
Nel film di Kung Fu Panda, per chi lo conosce, tutto questo si concretizza nella strategia con cui il maestro Shifu intuisce finalmente che cosa possa costituire la motivazione che guida Po interiormente (il cibo) e lo utilizza per allenare e confrontarsi con Po, divenuto veramente allievo, a base di Kung Fu.
Un secondo film che amo molto guardare a questo punto è Apollo 13: come è stato definito, il racconto di un fallimento di grande successo. Racconta di un progetto – andare sulla luna – fallito e sostituito dal progetto (molto chiaro) “non abbiamo mai perso un Americano nello spazio, non cominceremo proprio ora”: trovate in azione obiettivi, scadenze e anche la carica motivazionale necessaria per ripensare alle attività e riconfigurarle dove occorre per arrivare dove volete. Come dice Ed Harris interpretando il Direttore di Missione:
“Non mi interessa per cosa è stato progettato. Mi interessa che cosa può fare.”
Darsi degli obiettivi allora può consentire di sbandare meno?
Darsi degli obiettivi consente di trasformare un nostro sogno in una meta raggiungibile, ma occorre:
- darsi un tempo, in cui vogliamo raggiungere quella meta
- descrivere la meta nella maniera più precisa possibile, per capire quante risorse ci occorrono e come attivarle
- accettare di sbandare, di dover trovare strade alternative e che sarà tutto estremamente faticoso.
Alla fine, però, l’esperienza ci insegna: finire una cosa nostra, esattamente come la vogliamo noi, ci fa un gran bene.