Dal coosleping a Estivill ci passano infinite sfumature di attaccamento (non c’è niente da fare: il termine “attaccamento genitoriale” in italiano non funziona proprio, mentre suona soltanto “attaccamento materno”! Dovremmo riflettere di più su queste sfumature linguistiche e sulle loro ragioni…). Ma queste due teorie sull’autonomia nel sonno, sono davvero agli antipodi?
E poi, perché questo momento del sonno è così cruciale nell’identificare il tipo di relazione che vogliamo stabilire con i nostri figli?
Il sonno è un bisogno essenziale, ma è anche una metafora. Accudire nel sonno equivale a difendere: identificare il sonno con il pericolo, con l’essere indifesi è sentimento ancestrale. I cuccioli inermi vanno difesi nel sonno dai predatori.
E così ci si identifica in due modelli: chi accoglie i figli nel proprio letto è amorevole, fisico, ancestrale, naturale. Chi ne proclama la necessaria indipendenza fin dai primi mesi anche durante il sonno è pragmatico, moderno, razionale, autorevole.
Ma in fondo tutti noi cerchiamo semplicemente una risposta adatta all’equilibrio familiare. I due metodi si avvicinano se si riflette sul perché sono stati elaborati: per dormire. Semplicemente, per dormire. Per trovare una risposta a quel bisogno primario da cui siamo partiti.
Le diverse risposte, poi, si sono caricate di molti significati.
La maggior parte di noi, su questo argomento, come su tanti altri che riguardano i nostri compiti di genitore, è nel mezzo: cosleeper occasionali, estivilliani teneri. Lettini nella stanza dei bambini, ma risvegli e coccole “a domicilio” all’occorrenza o per addormentarli. Tutti nel lettone quando capita, a richiesta (loro o magari anche nostra). Lettini o culle accanto al lettone. Lettoni affollati a turno.
Ogni volta che pensiamo “questa cosa proprio non fa per me”, vuol dire che almeno uno in famiglia ne soffrirebbe: non è detto che siano i bambini, è lecito che si eviti qualcosa anche se a patirne sono (solo) i genitori. E così adattiamo metodi e teorie. Prendiamo il buono, il buono per noi e scartiamo il resto. Esercitiamo buon senso e spirito di adattamento (due ottime qualità, che sicuramente si intensificano quando si diventa genitore!).
Ripensando al post della dottoressa Sardo pubblicato ieri, balza subito all’occhio che questi due modi di concepire l’indipendenza nel sonno (e non solo) sono derivati dalla stessa elaborazione psicologica, semplicemente considerata in due momenti diversi.
Il cosleeping non è altro che un aspetto del così detto “alto contatto”: un punto di vista che si focalizza sulla prima fase della vita in cui la figura primaria di accudimento (meglio, piuttosto che “madre”) rappresenta la base sicura. Secondo chi applica questi metodi, la sicurezza data dall’interiorizzare la consolazione e la protezione, dà al bambino la possibilità e la serenità di allontanarsi con tranquillità dalla base.
Il metodo Estivill non fa altro che concentrarsi sulla seconda fase, quella del distacco, nel quale la sicurezza di ritrovare sempre al suo posto la base sicura, consente al bambino non solo di allontanarsi, ma anche di stare solo con sé stesso.
Perché lo stesso Estivill ha recentemente ammesso che il suo metodo non è adatto ai bambini con meno di tre anni? Semplicemente perché le aspre critiche al suo metodo riguardavano proprio la fase precedente, quella in cui la psicologia più radicata e accreditata puntava sull’attaccamento come strumento di costruzione della sicurezza.
E allora perché gli assertori dell’una o l’altra teoria si considerano in grave opposizione?
Chi pratica cosleeping considera coloro che isolano i propri figli fisicamente in un’altra stanza come persone autoritarie e, in fondo, egoiste, che provocano nei bambini traumi che ne minano certezze e sicurezze. Con conseguenze a lunga scadenza sull’autostima e sulla serenità futura.
Chi applica il metodo Estivill considera i cosleeper fautori del mammonismo. Bambini insicuri, fragili, troppo attaccati ai genitori, incapaci di autonomia.
Insomma, entrambi crescerebbero, a detta degli altri, figli insicuri.
Possibile? Realistico? Utile? Ma soprattutto: ha senso farne due schieramenti?
In ogni caso presentare queste modalità di accudimento come l'”unica scelta sensata” è un modo per trascinare molti (neo)genitori nel baratro. E’ più realistico guardare a quella infinita serie di possibilità che ci sono nel mezzo (e la nostra cara Tracy Hogg è solo un esempio tra tanti, che spesso non hanno bisogno di alcuna teorizzazione, ma che semplicemente fanno parte della pratica domestica di ogni famiglia).
(*foto credits Kelly Sue usata in creative common licence)
E brava Silvia! Mi piace la tua pragmatica 🙂
Perchè i bimbi crescono bene se hanno genitori sereni e riposati!
PS: mia mamma mi rinfaccia ancora adesso di non aver mai dormito con loro nel lettone…la nemesi: il letto occupato da due figlie scalcianti
ps. cmq il co-sleeping con i miei è impossibile… per due motivi:
– o loro scalciano (e scappiamo noi)
– o io russo troppo forte (e mi cacciano)
… da noi ogni tanto domina il divano-sleeping.
Flessibilità allo sbaraglio!
Ciao sono d’accordo sul succo dell’articolo: elasticità, rispetto dei bisogni di tutti in famiglia (anche dei genitori) e soprattutto spazio alle varie soluzioni che devono andare bene alla singola famiglia e non aderire a qualche dogma.
Mi sembra però che mettere sullo stesso piano Estivill e co-sleeping non sia corretto: il co-sleeping non è un metodo, è una pratica che ognuno può trovarsi a usare per un periodo più o meno lungo al di là dell’idea di genitorialità che ha. L’obiettivo finale è comunque che il bambino dorma da solo, solo si ha fiducia che il momento arriverà con i suoi tempi e non bisogna forzare la situazione. Nessuno ha il copyright del co-slpeeping, ma è semplicemente un modo trendy di chiamare quello che si è sempre fatto dalla notte dei tempi e si continua a fare in tutto il mondo.
Estivill invece è un tizio che prescrive un metodo (con indicazioni precise al minuto di cosa deve fare il genitore…per niente flessibile), che si è inventato lui e con il quale si è garantito la vendita di tantissimi libri, ma soprattutto che (come dici) lui stesso ha dovuto ritrattare, perché numerosi studi hanno dimostrato che propone una pratica pericolosa per lo sviluppo psico-fisico dei bambini (che è quella di lasciarli piangere, non di farli dormire da soli!).
Commento parafrasando un successo di Mina: “L’importante è dormire”. Voto per le infinite possibilità, l’unica scelta davvero sensata. Sensata ed equilibrata come questo bellissimo post. Te lo condivido urbi et orbi, ma non ci ti abituare 😉
Da sempre refrattaria a dormire tutti insieme nel lettone e non portata per il sacrificio estremo, col primo figlio sono stata una “estivilliana tenera” fin da subito. Missione compiuta in una settimana e nessun trauma per lui, che adesso ha tre anni e mezzo e adora il suo letto. Col secondo è stato tutto più naturale, anche perché io ero molto meno ansiosa, e ha imparato ad addormentarsi da solo con una mamma meno Estivill e più Tracey Hogg :-). Dormono tranquilli nella loro cameretta e per noi è la soluzione ideale. Ogni bambino e ogni mamma sono un caso a sè, idem ogni famiglia; l’importante credo sia trovare un modo di dormire che stia bene a tutti, e impegnarsi a cambiare abitudini se e quando lo riteniamo necessario.
Noi abbiamo praticato il cosleeping con entrambi i bambini, (partendo peró dal lettino nelle prime settimane, per provare se funzionava). Non per ideologie particolari, ma perché entrambi sono dei maniaci della tetta, e per me é stato molto piú pratico e meno faticoso averceli direttamente a fianco anziché dover alzarmi n volte di notte, prelevarli, allattarli e poi riporli. Inoltre, quando erano nel lettino arrivavano a svegliarsi completamente (con conseguente problema nel riaddormentarli, mentre avendoli vicini a volte basta che ci sentano con la mano per continuare il sonno)
Il grande, quando ha cominciato a diradare le richieste, ha potuto esser spostato in un lettino suo, con nostra gioia, devo dire.
Forse non é tanto una questione di teorie, ma di soluzioni piú congeniali alla singola situazione.
Anche noi non abbiamo mai vagliato teorie varie, pero’ nella nostra testa l’unica scelta sensata era quella di NON dormire con i figli, probabilmente eredità del modo di pensare dei nostri genitori. Dopo le prime notti in cui non appena si accorgeva di essere nella culla si svegliava e piangeva, ho mandato a quel paese la vocina e me la sono tenuta vicina nel lettone. Quando ha compiuto sei mesi ho provato a metterla nel suo lettino: ha dormito come un ghiro da subito e ho capito che era giunto il momento. Questo il mio “compromesso” fra le varie teorie che non conoscevo!
Anche qui una via di mezzo: quando serve (per malanni o se ci addormentiamo mentre si poppa) stanno nel lettone, ma sennò normalmente il piccolo nella culla in parte al nostro letto, la grande nel suo lettino in camera sua ed è sempre stata contentissima di starci.
Anche secondo me sono entrambi degli estremismi e anche secondo me non bisogna generalizzare con “bimbi nel lettone o bimbi nel letto in camera loro = bimbi insicuri”.
Condivido quest’articolo in ogni virgola. E avete scelto una bellissima foto 🙂
Quando aspettavamo l’arrivo del biondino ci siamo informati, come chiunque, e ci siamo scontrati con teorie agli antipodi, attraverso le quali, faticosamente, abbiamo costruito un’idea di genitori quali avremmo voluto essere che l’arrivo di Puki ha, ovviamente, completamente mandato all’aria. Ma devo ammettere che le teorie, con tutti i loro pro e i loro contro, le voci dei fan e dei detrattori, in realtà mi sono rimaste dentro a lungo. Si sono messe a litigare con le convinzioni di nonna, suocera, consulente dell’allattamento e amica del cugino della cassiera del supermercato, e solo quando gli ormoni sono tornati al loro posto ho ritrovato anche io la capacità di vagliare quali cose fossero davvero adatte a noi.
Mi sono così resa conto che tutta l’informazione di cui i neogenitori possono oggi approfittare a volte si trasforma in una trappola e che il concetto di flessibilità che emerge da questo post e che mi piace tanto, spesso è proprio l’unica cosa che non viene raccontata durante quei nove mesi. In pochi ti dicono che dopo una settimana di insonnia avrai la forte tentazione di applicare un metodo Estivil che alla luce del giorno semplicemente detesti, o che le fasi di un bimbo sono così veloci che il co-sleeping potrebbe anche durare un paio di mesi e poi lui si cercherà da solo la serenità della sua stanza, come nel nostro caso. Sono concetti cui si potrebbe arrivare da soli, da brave persone adulte e razionali, ma chi è davvero razionale nei primi mesi del primo bimbo?
Insomma, con tutto questo pippone vorrei semplicemente dire che questo post è per me decisamente importante, e che parole come equilibrio, adattamento ed elasticità andrebbero urlate nelle orecchie in sala parto, insieme al caro vecchio adagio “stiamo sereni, sono fasi, passerà…”
propongo attaccamento parentale, che suona meglio 😉
con il sonno dei bambini e anche con tutto il resto si va a tentoni, questa è la verità, è il tuo post lo dice bene. le soluzioni elastiche sono sempre le migliori.
se ne parlava in un gruppo privato, lo dico anche qui. quando cerchiamo il modo giusto di crescere i figli non dobbiamo mai perdere di vista l’obiettivo primario,che è quello della crescita appunto. devono andare nel mondo con le loro gambe, e per questo devono essere abbastanza forti per farlo. tra questi due poli c’è tutto quello che possiamo fare, amore incondizionato, senso di sicurezza quando se ne ha bisogno, tenerezza, protezione ma anche la sicurezza che viene dal dire ce la fai da solo, ti lascio la mano. vale per tutto e vale anche per il sonno.
Brava Silvia, un post equilibratissimo su una delle classiche questioni che in rete fanno scatenare dei flame spaventosi. Come giustamente dici tu (e forse, da madre di insonni anch’ io, solidarizzo su questo punto) la cosa fondamentale è dormire, e dormire bene. Da noi la preadolescenza ha portato una ancora maggior difficoltà ad addormentarsi di figlio 1, che va in giro pallido e con le occhiaie, ma nel weekend si sveglia sempre alle 7 per giocare. E quindi da qualche mese noi lavoriamo sulla sopravvivenza: quando alle 10 di sera abbiamo ancora dei fantasmi che vanno in giro, giocoforza ci dividiamo i figli, purché si addormentino. Oppure, meno male che questa fase sembra passata, schianto io per prima accanto uno dei due a caso nel tentativo di farlo addormentare e l’ altro mezz’ ora dopo mi sveglia brutalmente per capire perché non vado ancora da lui. Risultato, io che giro come una belva in gabbia fino alle 3 di notte. In questi casi quello che deve alzarsi presto o ha bisogno di recuperare va a dormire in un letto qualsiasi, fosse pure quello nello sgabuzzino che facciamo passare per stanza degli ospiti, che non ha porte ne tende alle finestre, ma ci si dorme da dio, perché da soli.
Vittore io sono perfettamente d’accordo con te e mi chiedo anche io perché ogni metodo debba diventare il baluardo di qualche teoria.
Silvia non puoi sapere quanto questo post mi trovi vicina, come tutti i genitori 2.0, noi abbiamo letto di tutto e di più, ma allo stesso tempo, forse per il nostro background e la nostra attitudine professionale, l’adesione/aderenza ad un metodo ed uno solo ci è risultata impossibile da concepire. A parte le nostre soluzioni personali al fattore sonno, che sono di relativo interesse al pubblico essendo soltanto ancora un’altra soluzione, non hanno valenza statistica né prescrittiva, la nostra filosofia è che in famiglia siamo stati prima due, poi tre, e poi quattro, e tutti con le proprie esigenze che non devono prevaricare le altre, inclusi i genitori, anzi i genitori devono aver garantita la loro stessa agibilità, altrimenti tutta la cosa collassa miseramente. La retorica del “sacrificio” dei genitori che si spaccano in quattro, della madre (è sempre la madre) che si distrugge fisicamente pur di far felice la creatura, non mi trova in sintonia, sinceramente, ed è sempre il punto di maggior tensione quando ci troviamo nella famiglia allargata con i nonni 🙂
Noi non abbiamo applicato nessuna teoria come scelta. Ci siamo limitati a vivere la realtà di due bambini che da una parte non hanno mai avuto problemi a rimanere nel loro letto, anzi hanno vissuto come conquista il passaggio dal lettino a quello “vero”.
Due bambini che ogni tanto (raramente) arrivano nel lettone (a turno per fortuna) senza un motivo particolare e si infilano tra me e mia moglie… in qste circostanze dormire diventa faticoso ed ecco la reazione di due genitori pragmatici: scambio letto. Bambino nel lettone genitore nel letto del figlio.
Ergo noi siamo “nel mezzo”. Ma allo stesso tempo “l’alto contatto” del tutti nel lettone (semplifico) e il “distacco estivilliano” mi sembrano quasi delle forzature. Perché considerare dei bambini che dormono tranquillamente nel loro letto soggetti ad un distacco? Non lo capisco.